La Lavagna Del Sabato 14 Febbraio 2009


NIEMEYER: IL MODERNISTA CON LE CURVE

– Brasile, Oscar Niemeyer, cento anni in rosso –

Antonella Rita Roscilli





“Quando una forma crea bellezza, trova nella bellezza la sua motivazione… Io sono attratto dalla curva libera e sensuale, la curva che incontro nelle montagne del mio Paese, nel corso dei suoi fiumi, nel corpo della donna preferita…”. In queste parole è racchiuso tutto l’amore per le forme che nutre Oscar Niemeyer, la più importante e riconosciuta personalità della moderna architettura internazionale.

Nato a Rio de Janeiro nel 1907, Oscar Ribeiro de Almeida Niemeyer Soares Filho ha festeggiato i 100 anni di età il 15 dicembre 2007 e il presidente Lula gli ha dedicato l’intero 2008. Innumerevoli negli anni i titoli, i riconoscimenti e i premi internazionali tra i quali il grado di Grande ufficiale dell’Ordine della Stella concessogli nel 2007 dal presidente della Repubblica italiana Giorgio Napoletano.

Niemeyer, “colui che ha le montagne di Rio negli occhi”, come lo ha definito Le Corbusier, inizia la sua carriera nel 1936 partecipando al progetto per la costruzione del ministero per l’educazione e la salute. È modernista come i suoi maestri, Lucio Costa e Le Corbusier, ma la ricerca di un’architettura grandiosa lo porta a elaborare nuove forme in cui i tratti curvilinei rompono la rigidità delle linee rette che predominavano nello scenario architettonico. Crea strutture spettacolari che rispecchiano le sinuose curve delle spiagge e della baia di Rio de Janeiro. Nella sua Casa das Canoas (1953), oggi sede della Fondazione Niemeyer, una mattina del settembre 1956, il presidente della Repubblica Juscelino Kubitschek gli propone un grande progetto: “Sto per far costruire la nuova capitale del Paese e voglio che lei mi aiuti (…) Oscar, questa volta costruiremo la capitale del Brasile”.. Nasce così Brasília e opere come il palazzo del Planalto, la Corte suprema federale, il palazzo Arcos, la Cattedrale e il museo Juscelino Kubitschek, edifici divenuti pietre miliari del simbolismo moderno. Brasília viene inaugurata il 21 aprile 1960 e nel 1987 dichiarata patrimonio storico dell’Umanità dell’Unesco.

Negli anni 60, durante la dittatura in Brasile, viene perseguitato perché membro del Partito Comunista. Il suo studio viene completamente devastato. Sceglie l’esilio a Parigi dove costruirà la sede del Pcf. Ma ritroviamo i suoi capolavori sparsi nel mondo: tra gli altri, la sede dell’Onu a New York, l’Università di Costantine in Algeria, il padiglione della Fiera internazionale di New York, la sede della Mondadori a Milano e gli stabilimenti della Fata European Group a Pianezza (Torino). Uno de4i lavori più recenti è il monumento a Simon Bolivar di 100 metri di altezza, consegnato al presidente venezuelano Hugo Chávez.

Il suo studio si trova in un edificio sull’Avenida Atlântica di Copacabana, davanti alla baia di Rio de Janeiro. Qui, a fine gennaio 2008, Oscar Niemeyer risponde alle mie domande. Dalle sue parole scaturisce l’immagine di un uomo che valuta l’essenza della vita al di là della passione per l’architettura, e che, come sempre, guarda ai suoi futuri progetti con coraggio e grande coerenza politica.


Da piccolo amava disegnare con il dito in aria…


È vero. Parlo un po’ di questo nel mio libro di memorie, As curvas do tempo. Memórias (Ed. Revan), in cui racconto come il disegno mi abbia condotto all’architettura.


Com’è stata la sua infanzia?


Meravigliosa. I miei migliori ricordi dell’infanzia sono nella casa che si trova nel quartiere di Laranjeiras, di Rio de Janeiro, dove vivevo con i miei cari nonni materni, Maria Eugenia e Antonio Augusto Ribeiro de Almeida. Lui era un esempio di correttezza etica e di non attaccamento al denaro che influì molto su di me.



Oscar Niemeyer

Nel dicembre 2007, in occasione del suo compleanno, durante il convegno di Brasilia (organizzato dall’ambasciata d’Italia) i suoi allievi hanno sottolineato la sua grande professionalità e umanità. Ma chi è Oscar Niemeyer?


Un essere umano come qualsiasi altro. Qualcuno che porta con sé le angustie che caratterizzano la nostra precaria condizione umana, qualcuno che ha sempre la consapevolezza che la vita è un soffio e l’uomo è insignificante davanti a questo universo che incanta e umilia.


Cosa rappresentò all’epoca l’invenzione di Brasília bel centro dimenticato e inospitale del Brasile? Cosa pensa oggi di Brasília?


Preferisco limitarmi a dire che Brasilia fu il sogno prediletto di Juscelino Kubitschek. Fu il cammino che lui trovò per trasportare il progresso all’interno del paese. E ciò è accaduto, indipendentemente dalle critiche che alcuni fecero (o fanno!) alla nuova capitale.


Nel 1964, quando tornò da Israele dove aveva progettato l’Università di Haifa, il presidente João Goulart succeduto nel 1961 a Jânio Quadros venne deposto da un colpo militare dal generale Castelo Branco. La dittatura in Brasile durò fino al 1985. Lei si autoesiliò in Francia. Cosa ha rappresentato l’esilio nella sua vita?


L’esperienza dell’esilio è stata molto ricca perché mi ha garantito la possibilità di approfondire la mia coscienza politica. Fuori del mio paese mi sono potuto dedicare a progetti importanti come la creazione dell’Università di Costantine (in Tunisia), l’università dei sogni, un’esperienza pioniera nella costruzione di un’università volta all’integrazione tra le varie aree della conoscenza, che potesse combattere l’iper-specializzazione riduttiva che ancora colpisce i corsi superiori scolastici in tutto il mondo. È una risposta che ha un significato politico e educativo importante che ho spiegato nel libro pubblicato recentemente dall’Editore Revan di Rio de Janeiro.


Cosa pensa del leader comunista Luiz Carlos Prestes?


È uno dei più grandi brasiliani che conosciuto. Ho mantenuto con lui un buon rapporto di amicizia. Luiz Carlos Prestes è stato un patriota, un cittadino che ha lottato durante tutta la vita per il suo popolo, contro la miseria e le differenze sociali che purtroppo, ancora persistono nel Brasile.


Cosa pensa del governo Lula?


È un governo che conta su un innegabile appoggio popolare e si è unito al movimento di difesa dell’America Latina, che si sta spandendo in tutto il nostro continente.


Come riesce ad essere sempre così coerente con il suo pensiero politico?


Credo di essere giunto a questa coerenza senza alcuno sforzo.



Fidel castro una volta ha detto: “Nel mondo restano solo due comunisti: io e Niemeyer”. Cosa pensa di Fidel castro e di Cuba oggi?


Fidel ancora è il riferimento politico fondamentale nella lotta per la sovranità del popoli latino-americani, contro l’imperialismo degli Stati Uniti. Cuba rappresenta secondo me un esempio grandioso di resistenza contro questo mostro infame.


Cosa pensa della politica degli Stati Uniti nel mondo?


Secondo me è uno schifo completo!... Dobbiamo comprendere che la politica globale nordamericana non è rivolta all’esterno, ma verso il suo interno sebbene il suo impatto sul resto del mondo sia grande e disastroso.


La moglie di Jorge Amado, la memorialista Zélia Gattai, mi ha mostrato a Salvador nella sua casa una scultura che lei ha realizzato per Amado accompagnata da una frase bellissima. Questa scultura verrà esibita nel futuro Memoriale. Cosa può raccontare sulla vostra amicizia?


Jorge Amado era un compagno straordinario. Sono indimenticabili gli incontri che ho avuto con questo grande scrittore e con sua moglie Zélia Gattai. Non mi ricordo con esattezza come li ho conosciuti: ma come mi è caro il ricordo dei nostri dialoghi interminabili, dell’allegria di Jorge, della simpatia di questa coppia!


Nel libro del ’99 “Le curve del tempo. Memorie” scrive: “Com’è bella l’Italia e come sono buoni e allegri i nostri amici italiani. Come mi piaceva conoscere le opere del Palladio, di Brunelleschi, il Palazzo dei Dogi ecc. Lei ha lavorato molto in Italia, a Milano (sede della Mondadori), Torino (Fata e il progetto per un nuovo stadio), Venezia( progetto del Ponte dell’Accademia), Vicenza e Ravello (il progetto di un auditorium). E nel 2007 ha ricevuto il titolo di Grande Ufficiale dell’Ordine della Stella della Solidarietà Italiana concessole dal presidente della repubblica Napolitano e consegnato a Rio personalmente da Michele Valensise, ambasciatore dell’Italia in Brasile. Cosa ha provato in quella occasione?


Mi sono sentito veramente molto onorato nel ricevere questo premio dall’Italia. Parlo sempre con molto affetto e entusiasmo dell’Italia, della sua gente amabile, del peso della sua cultura artistica. L’Italia… percorrere questo paese significa incontrare dappertutto la bellezza in modo sempre sorprendente rinnovato. Ho fatto molte amicizie che coltivo ancora oggi… insieme a teneri ricordi che ho dei miei viaggi a Venezia…


Al Convegno di Brasilia è intervenuto anche un suo caro amico italiano, l’architetto toscano Massimo Gennari che ha portato per lei un riconoscimento concesso dalla Facoltà di Architettura di Firenze. Può dirmi qualcosa su di lui?


Massimo Gennari è un amico generoso, di una gentilezza fuori del comune. Gennari con competenza e affetto si è occupato del mio progetto della sede Fata-European Group a Torino alla fine degli anni 70.


L’Istituto di Architettura e Umanità a Niterói è un progetto a cui lei è molto interessato. Perché?


La denominazione corretta è Scuola di Architettura e Umanità. Cerca di rispondere alla problematica della formazione che affligge i giovani in Brasile, specie quelli che escono dai corsi di livello superiore. In questa Scuola un ampio spazio sarà riservato a incentivare la lettura – non solo di scrittori, ma anche di intellettuali che hanno dato contributi in campi diversi come la Filosofia, la Teoria Politica, la Storia, l’Economia, per affrontare le grandi questioni che formano il tessuto della nostra vita. L’obbiettivo di questa istituzione è creare un corso più libero che includerà anche attività connesse alla mia architettura e al tempo culturale in cui essa si inserisce.


Perché lei e altri avete deciso di tenere lezioni di Filosofia nel suo studio di Copacabana?


Ci ha motivato non la pretesa di ritenerci intellettuali, ma l’interesse a conoscere di più il dramma dell’essere umano e altre questioni che la Filosofia cerca di affrontare.


Cosa rappresenta l’architettura nella sua vita?


È il mio lavoro. È l’attività a cui mi dedico con maggiore entusiasmo, pur essendo cosciente che la cosa importante non è l’architettura. Le cose fondamentali sono la vita, gli amici, la famiglia, questo mondo ingiusto che dobbiamo trasformare.


Qual è il suo sogno oggi?


Forse è quello di veder funzionare nella città di Niterói la Scuola di Architettura e Umanità.




(Intervista concessa a Antonella Rita Roscilli, pubblica su Alias, di Il manifesto, il 7 giugno 2008.)


Antonella Rita Roscilli - Giornalista-brasilianista, scrittrice e traduttrice, vive a Roma. Si dedica alla divulgazione di attualitŕ e cultura del Brasile e dei Paesi dell’Africa lusofona. Collabora con varie riviste italiane e internazionali tra cui “Latinoamerica e tutti i Sud del mondo” diretta da Gianni Minŕ, “Patria”, “Iararana” (Salvador), “Latitudes-Cahiers lusophones” (Parigi) ecc. Laureata in Letteratura Brasiliana, é in Italia la biografa della memorialista Zélia Gattai Amado e ha pubblicato in Brasile il primo saggio su di lei: “Zélia de Euá rodeada de estrelas” (ed. Casa de Palavras, 2006). Collaboratrice della “Fundaçăo Casa de Jorge Amado” a Salvador (Bahia) , ha curato la post-fazione dell’edizione italiana del libro “Un cappello da viaggio” di Zélia Gattai (ed. Sperling & Kupfer, 2007).






Lavagne Precedenti




        
       Home Page