IL MARE E LA SUA COSTA

 

Elisabeth Bishop

 

Un giorno, su una delle nostre ampie spiagge pubbliche, un uomo ricevette l'incarico di mantenere la sabbia libera da cartacce. A questo scopo gli venne dato un bastone con in cima un lungo chiodo lucente.

            Lavorava solo la notte, quando la spiaggia era deserta, e gli venne quindi data anche una lanterna.

            La sua dotazione consisteva inoltre di un gran cesto di rete metallica per bruciarvi la carta, una scatola di fiammiferi per accendere il fuoco, e una casa.

 

       La casa era alquanto interessante: di legno, con il tetto a spioventi, più o meno quattro metri per quattro per due, issata su pali infissi nella rena.  Non aveva finestra, non aveva battenti nel vano della porta, ed assolutamente nulla all'interno. Non c'era nemmeno una scopa, così che il nostro amico di tanto in tanto si inginocchiava e con le mani spazzava fuori la sabbia che aveva portato con sé.

            Quando sulla spiaggia il vento si faceva troppo forte o troppo freddo, o quando era stanco, o quando voleva leggere, sedeva in casa.  Lasciava che le gambe ciondolassero dalla soglia, o le ripiegava sotto di sé al coperto. La casa, era più un'idea di casa che una casa vera.  Avrebbe potuto essere sia all'uno che all'altro estremo delle possibili idee di casa.  Avrebbe potuto essere la perfetta casa giocattolo di un bimbo, o la casa ideale di un adulto - dal momento che era stato eliminato tutto ciò che rende quasi ogni casa un problema.

            Era un riparo, ma non per vivervi, per starvi a pensare. Stava alla casa normale come un copricapo cerimoniale da meditazione sta a un cappello normale.

            Certo, secondo le leggi naturali, una spiaggia dovrebbe sapersi tenere pulita da sé, come i gatti.  Tutti abbiamo osservato:

Le mobili acque all'opera sacerdotale

dell'abluzione pura sulla riva umana della terra.

            Ma il ritmo della vita moderna è troppo rapido.  Le nostre rotative emettono troppa carta stampata, che in qualche modo poi si fa strada fino ai nostri mari e alle coste, lasciando la natura sola a se stessa.

            Così del Signor Boomer, Edwin Boomer, si poteva quasi dire che si fosse dato al "sacerdozio".

            Ogni notte percorreva avanti e indietro la distanza quasi di un miglio, al buio, con lanterna e bastone, ed un sacco da patate sulla schiena per mettervi le carte - pittoresco a vedersi, per certi aspetti un Rembrandt.

            Edwin Boomer viveva la più letteraria delle vite possibili. Nessun poeta, narratore, critico, nemmeno chi di loro sta curvo alla scrivania otto ore al giorno, potrebbe immaginare l'intensità della sua concentrazione sulla vita delle lettere.

               La testa, nella piccola nube di luce della lanterna, era perennemente protesa in avanti, mentre gli occhi scrutavano la sabbia, o studiavano le pagine e i frammenti di carta che trovava.

               Leggeva in continuazione. Le spalle gli si erano arrotondate, e si era visto costretto ad iniziare a portare gli occhiali poco dopo avere intrapreso questa attività.

       Le carte che ad una prima occhiata non parevano interessanti le gettava nel sacco; quelle che voleva studiare se le ficcava in tasca.  Poi le avrebbe stese sul pavimento della casa.

A causa di tale necessità di saper discriminare, era divenuto un giudice eccellente.

A volte infiggeva uno dopo l'altro sul chiodo pezzi di carta senza valore o non stampati finché non era pieno da ciò che si sarebbe potuta chiamare elsa sino alla punta.  Allora ricordava una di quelle suppellettili da ufficio che si vedevano una volta sulle scrivanie di sciatti uomini d'affari e dottori.  A volte accostava un fiammifero a questa filza di carte, e camminava tenendolo alto come una torcia, come se le carte fossero le sue bollette pagate, o uno di quei piatti di carne detti kebab, che si servono “alla fiamma” nei ristoranti russi o siriani.

            Oltre alla lettura e a simili possibilità di illuminazione occasionale, le carte, i giornali in particolare, venivano usate in altri modi.  Li poteva mettere sotto la giacca d'inverno, per cercare di proteggersi dal vento freddo del mare.  In quella stagione poteva stenderne diversi strati sul pavimento della casa, per il medesimo motivo.  Ad un certo punto delle sue sterminate letture aveva imparato che l'inchiostro impiegato per la stampa dei quotidiani li rende utili ad  eliminare i cattivi odori; ma non riusciva a pensare ad un'applicazione pratica di questa qualità per sé.

            Aveva dimestichezza con tutte le qualità di carta in tutti gli stadi di fradiciume e secchezza.  La carta da giornale umida si faceva traslucente appena.  Si appiccicava al piede o alla mano e, piuttosto che strapparsi, si sfaldava molle in brandelli, in un modo che gli pareva alquanto disgustoso.

            Se davvero inzuppata dal mare, se ne potevano fare palle o altre forme.  Una o due volte, ubriaco (Boomer di solito veniva al lavoro in questo stato diverse sere a settimana), s'era cimentato in qualche rozzo tentativo scultoreo.  Ma non appena i busti e gli animali che aveva plasmato si essiccavano. li bruciava, anch'essi.

            La carta di giornale ingialliva presto, anche solo dopo un giorno di esposizione.  A volte ne trovava dell'altro ieri che era stata gettata senza cura mezza spiegazzata, mezza accartocciata.  Sollevandola davanti alla lanterna notava, ancora prima delle guerre e degli assassinii, gli effetti degli angoli ingialliti sulle pagine gialle, ed il contrasto tra i fogli esterni e gli interni. I giornali più vecchi si facevano quasi del colore della sabbia. Le notti che Boomer era più ubriaco il mare era benzina, tremendamente pericoloso.  Gli lanciava occhiate timorose da sopra la spalla dopo ogni frase letta, e faceva il fuoco ben dentro la spiaggia. Era brillante oleoso, ed esplosivo.  Era abbastanza folle allora da pensare che si potesse incendiare, distruggendo il suo unico mezzo di sussistenza.

            Nelle notti ventose era più difficile ripulire la spiaggia, ed in quelle occasioni Boomer era più cacciatore che raccoglitore.

            Ma il volo delle carte era interessante a guardarsi.  Aveva elaborato molte accurate similitudini tra le carte e gli uccelli che a volte volavano nel raggio dell'alone della lanterna.

            L'uccello, naturalmente, ispirato da un cervello, da lunga tradizione, dal desiderio che poteva perfino venir percepito da altri di raggiungere un certo luogo o ottenere una tal cosa, volava lungo una linea, o lungo una serie di curve che appartengono ad una linea.  Si poteva riconoscere la differenza tra i voli metodici finalizzati ad ottenere qualcosa e i voli di svago.

            Ma le carte non avevano meta discernibile, cervello, sentimento di razza o di gruppo.  Si libravano in volo, ricadevano, non sapevano decidere, esitavano, si quietavano, volavano dritte alla loro dannazione nel mare, o si capovolgevano a mezz'aria precipitando nella sabbia senza moto ulteriore.

            Se vi era un modo che paresse il loro favorito, era un modo obliquo, uno scivolare trasversale.

            Facevano un uso più sottile delle correnti d'aria e vi si abbandonavano con maggior estro dei sovente ottusi uccelli.  Nemmeno erano orgogliose dei propri trucchi, ma piuttosto sembravano ignare della loro sventata abilità, dell'ignoranza che manifestavano, e di Boomer in attesa di catturarle con il chiodo acuminato.

            La piega nel mezzo degli ampi fogli di giornale agiva come una sorta di colonna vertebrale, ma le ali non erano coordinate. I tabloidi volavano un po' meglio dei quotidiani di grande formato. I piccoli ritagli spiegazzati erano i più fantastici.

            Alcune notti l'aria ne sembrava colma.  Alla vista ubriaca di Boomer le lettere parevano volare via dalle pagine.  Alzava la lanterna e il bastone e, mentre titoli e frasi gli sciamavano intorno, correva agitando le braccia come un uomo che scaccia uno stormo di piccioni.

            Quando li trafiggeva con il chiodo, pensava all'Antico Marinaio e all'Albatro, poiché, naturalmente, si era imbattuto nello spaventevole poemetto più e più volte.

            Conduceva a buon fine più cose nelle notti senza vento, quando gli rimanevano a volte diverse ore di primo mattino per se stesso. Si sistemava a gambe incrociate nella casa ed appendeva la lanterna ad un chiodo che aveva conficcato all'altezza giusta. I muri scheggiati rilucevano ed il piccolo luogo si faceva tiepido.

            I suoi studi si potevano suddividere in tre gruppi, e lui stesso li classificava mentalmente in tal modo.

            Il primo e di maggior consistenza numerica: tutto ciò che pareva riguardare direttamente lui, la sua professione, e ogni tipo di istruzione o ammonimento a ciò attinente.

            Il secondo: storie di altre persone che gli catturavano l'immaginazione, le cui carriere seguiva di giorno in giorno sui giornali ed in frammenti di libri e lettere; e delle cui ulteriori avventure rimaneva in perpetua vigile attesa.

            Il terzo: gli argomenti che non poteva affatto capire, che lo sorprendevano confondendolo completamente ma che allo stesso tempo lo interessavano tanto da indurlo a conservarli ed a leggerli.  Cercava, in modo quasi spasmodico, di far rientrare questi prima nell'una, poi nell'altra delle prime due categorie.

            Forniamo qui alcuni esempi da ciascun gruppo.

            Dal primo: "Il Discepolo trarrà tanto più giovamento quanto più si isolerà da tutti gli amici e conoscenti e da qualsivoglia preoccupazione terrena, per esempio lasciando l'abitazione in cui dimorava e traslocando in un'altra casa o stanza in cui possa ritirarsi nella massima riservatezza possibile ... [illeggibile] addiviene ad utilizzare le proprie facoltà naturali più liberamente nella ricerca disciplinata di ciò che tanto intensamente desidera".

            Esempio senz'altro chiaro quanto basta.

            Questo invece era il tipo di ammonimento che lo preoccupava: "L'abitudine di sottoporre ad attenta lettura i periodici può essere senza dubbio aggiunta al catalogo di Averroè degli Anti-Mnemonici, ovvero dei fattori che indeboliscono la memoria.  Anche 'cibarsi di frutti acerbi; contemplare nubi ed altre entità che si muovono sospese nell'aria (questo era il caso suo); cavalcare tra una moltitudine di cammelli; ridere spesso (no); ascoltare sequenze di amenità ed aneddoti; l'usanza di leggere pietre tombali nei cimiteri, eccetera."' (E quest'ultime potevano essere pertinenti).

            Dalla seconda categoria: "Ha dormito circa due ore ed è tornata al suo posto nel buco portando con sé la bandiera americana, e poi se l'è posata accanto.  Il marito le porta fuori i pasti.  Lei ha annunciato che intende rimanere nel buco finché la Compagnia Pubblica dei Servizi Sociali accantonerà l'idea di piantarvi un palo".

            Boomer si interrogò su questa signora per due notti.  La terza trovò ciò che segue; secondo il suo modo di vedere, gli parve chiarire un poco la situazione.  Era parte di una pagina di libro, mentre la prima citazione era tratta da un giornale.

            "Sua Signoria presupponeva di avere, in qualsiasi momento della vita, ogni privilegio - ciò la rendeva dolcemente bella, quasi magnanima: cosicché lei non notava gli occhietti protuberanti degli insetti sociali minori, spesso dotati di un tale campo visivo, da......

            Ci sarebbero però forse volute due altre notti o due settimane, prima che trovasse il passo successivo della sequenza.

            Nel terzo gruppo - le cose che affascinavano senza essere comprese - Boomer conservava cose d'ogni genere, di questo tenore (una fascetta di carta rosa intatta):

            "Occhiali da gioco con occhi semovibili.  Mettete gli occhiali e prendete il boccaglio tra le labbra. Soffiatevi aria ad intermittenza. Gli occhi e le sopracciglia si alzeranno ed abbasseranno.  Il movimento può essere effettuato in modo rapido o lento a seconda dell'effetto che si vuole ottenere.  Se le stanghette sono troppo corte, ad esempio nel caso si abbia una testa grossa, piegate la porzione ricurva attorno all'orecchio.  La celluloide è infiammabile!  Quindi non avvicinatevi con i vostri occhiali ad una fiamma viva!!"

            Gli pareva che questa citazione fosse più pertinente all'insieme degli ammonimenti che lo riguardavano.  Ma se si sentiva in grado di ottemperare all'ultimo consiglio, vi erano molte cose delle precedenti istruzioni che non riusciva a capire.

            0 anche una cosa del genere, scritta a matita su carta da lettera, stinta ma leggibile:

            "Mi davano fastidio i denti, e ne ho fatti togliere tre di quelli grandi, perché a volte mi rendevano nervosa e mi facevano stai male, e questo è il motivo per cui non sono stata in grado di spedire la mia lezione anche se penso di essere capace di scrivere come tutti gli Autori, perché credo ci sia nella mia testa più che in qualsiasi altro tipo di lavoro, dato che mi concentro sulle lezioni, spesso, molte volte.

            Signor Margolies, penso a come quegli Autori scrivano storie tanto lunghe di 60.000 o 100.000 parole su quelle riviste, e a dove prendano l'immaginazione ed il materiale.

            Mi farebbe molto piacere scrivere storie come quegli Scrittori".

            Benché Boomer non albergasse infantili desideri di tal fatta, sentiva che la questione posta aveva qualcosa a che vedere con il suo stile di vita; poteva quasi essere indirizzata a lui oltre che allo sconosciuto Signor Margolies.  Ma la risposta qual'era?  Più carte raccoglieva e più leggeva, e meno sentiva di capire. In un certo senso dipendeva dalla "loro immaginazione", ne era persino schiavo, ma allo stesso tempo pensava fosse una specie di malattia.

            Proporremo un altro degli auto-enigmi del nostro amico.  Eccolo, in un carattere confuso su carta marrone alquanto vecchia (non faceva discriminazione alcuna tra gli stupori della prosa e quelli della poesia):

Come una stanza con un solo occhio,

tutta velata di notte,

solo quel lato, che all'occhio nemico

solo lascia un angusto passaggio

alla luce, è coperto da bianchi

panneggi splendenti, cento forme vaganti

nell'arie che si muovono adagio

irrompon possenti, affollando la piccola

via; e sul muro dal volto

luminoso oscuramente danzando

giocano.

 

            Gli suonava come qualcosa di cui aveva avuto esperienza. Prima di tutto gli pareva la sua casa fosse la "stanza con un solo occhio, tutta velata di notte" e il resto pareva la sua vita intera di notte sulla costa.  Dapprima le carte che volano nell'aria, e poi ciò che su loro è stampato erano le "cento forme".

            Dovremo esplicitare che quando finalmente era pronto per cominciare a leggere Boomer solitamente non era più molto sbronzo?  L'alcool era svanito. Si sentiva ancora isolato e presuntuoso ma del tutto sveglio, in modo innaturale.

       Ma che significava tutto ciò?

            Forse perché gli insetti degli eserciti dei caratteri a stampa tanto tenacemente gli assediavano gli occhi, o perché era davvero così, il mondo, l'intero mondo a lui visibile, prima che molti anni passassero gli parve fosse stampato, anch'esso.

            Boomer alzò la lanterna a guardare un albastrello che correva distratto qui e là.

            Parve, alla sua vista stressata, come un segno di interpunzione contro le "rotonde onde dispiegantesi".  Stampava caratteri sottili con le zampe.  Aveva penne appena macchiettate; e specie sul minuto orlo delle ali si vedevano segni che parevano poter essere lettere, se solo fosse riuscito ad avvicinarsi abbastanza da leggerli.

            A volte i frequentatori diurni della spiaggia, che lui non vedeva mai, sentivano il bisogno di scrivere sulla sabbia.  Boomer, da parte sua, pensava che anche il cancellare questi scritti probabilmente rientrasse tra i suoi doveri.  Abbassando la lanterna lisciò con cura la sabbia su cui prima si leggeva "Scuola Francis Xavier", "Liliana", "Che diamine".

            La sabbia stessa, se ne raccoglieva un po' e la portava vicina vicina ad un occhio, assomigliava un poco alla carta stampata, macinata o masticata.

            Ma la parte più bella delle sue lunghe notti studiose era quando aveva ripulito tutta l'area assegnatagli ed era pronto a dar fuoco alla carta stipata nel cesto di rete metallica.

            La sua fronte sembrava già calda, per il bere o per il tanto leggere, ma lui stava vicino quanto poteva al calore febbrile della carta in fiamme, e notava con ardore ogni dettaglio dell'incenerimento.

            La fiamma camminava uguale, senza fretta, su un tratto di carta; dopo un attimo la carta nera si piegava in sotto o all'insù.  Cadeva torcendosi in forme che a volte ricordavano leggiadri lavori in ferro battuto, ma poi si sfaldava al primo alito di brezza.

          Ampie scaglie di carta annerita, ancora scintillanti rosso sull'orlo, volavano in cielo. Finché gli occhi riuscivano a seguirli, non aveva mai visto palpiti tanto elaborati e vivi.

          Poi rimanevano fragili fogli di cenere, bianchi com'era stata la carta, e soffici al tatto, o una matassa di piume grigie come di faraona.

          Ma la verità era che tutto doveva venire bruciato alla fine.  Tutto, tutto doveva venire bruciato, anche gli straordinari ritagli che s'era portato con sé per settimane, per mesi.  Bruciare carta era il suo mestiere, che gli dava da vivere, ma soprattutto lui non poteva permettere che le tasche gli si riempissero troppo, o che la casa fosse ingombra e disordinata.

          Anche se a Boomer il fuoco piaceva, non gliene piaceva l'inevitabilità.

          Lasciamolo nella sua casa, alle quattro di un mattino, selezionate le sue letture, il conflagrare del fuoco tutto intorno, la lanterna che riluce chiara. E una scena assai pittoresca, per certi aspetti un Rembrandt, ma per molti altri no.

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