Il milionario, la milionaria, cani e operai in grande confusione

Augusto Boal


Giorno indimenticabile per Heleno e famiglia, per i loro domestici, per quelli della società dei telefoni e persino per i quattro eleganti dobermann che facevano la guardia alla casa insieme ai guardiani uomini, meno affidabili.
Mentre Heleno era fuori nel suo ufficio, a casa sua due incaricati dei telefoni chiedevano il permesso di risistemare i fili dell'appartamento. Lavorarono ore di fila. Senza tirare il fiato. Andò a finire che fecero amicizia con i cani.
Mezzogiorno: si sedettero in giardino, aprirono le loro marmitte, i cani intorno a gironzolare, facendo scherzetti, facendo sul serio.
Avevano appena incominciato a mangiare quando uno dei due si ricordò di aver lasciato aperto in strada l'armadietto delle connessioni. C'era il pericolo che qualcuno rubasse del bulloni.
Scostò la marmitta per terra e corse in fretta a chiudere l'armadietto.
Nel frattempo l'altro operaio, mangiando, andava compilando varie schedine, del calcio, del lotto, sceglieva il nome dell'animale del gioco degli animali e quello del cavallo del settimo palio. I compiti erano tanti e tutti insieme che nemmeno si accorse quando uno dei componenti la muta dei cani si avvicinò alla marmitta, momentaneamente abbandonata, e con pochi ma vigorosi bocconi divorò i fagioli, il riso e i pezzetti di carne del compagno assente.
Quando costui tornò, trovò la marmitta vuota. Che fare? La fame era tanta: meglio dirlo alla cameriera e chiederle di rimpiazzare il suo mangiare con un po' del pasto bello tiepido dei cani.
Ridendo allegramente, i due raccontarono l'accaduto e chiesero la sostituzione.
-Lei vorrebbe fare un pranzetto con il nostro mangiarino speciale, in cambio del suo? - disse preoccupata la cameriera.
-Il suo cane ha mangiato il mio e adesso io ho fame.
La donna diede ragione all'operaio affamato:
-C'è una cosa, però: devo domandare il permesso al maggiordomo.
Promise di tornare con la debita autorizzazione. Purtroppo tornò solo con il maggiordomo che pretese ulteriori e minuziosi dettagli sulle cause dell'accaduto. Constatato che il responsabile era davvero il cagnetto, il maggiordomo precisò:
-Non posso autorizzare il pranzo perché oggi il menu del cane è pollo in umido, molto più buono dei suoi fagioli e riso, scusi il paragone, e con il cambio lei finirebbe col guadagnarci. Ma domando il permesso alla signora.
All'operaio era già andata via la fame con tutta quella burocrazia culinaria quando, improvvisamente, apparve proprio la signora Agata in persona, comproprietaria del canile. La sua voce, benché controllata, non riusciva a nascondere orrore e sgomento:
-Qual è il cane che ha mangiato la sua zuppa? Mi risponda?!
È stato Teddy, Freddy, Bobby o Betty? Voglio saperlo! Chi è stato?!
-È stato quello scuro…
-Ho quattro meravigliosi cani dobermann e tutti dello stesso colore. Stia bene a sentire: Dobermann con la "D" maiuscola! Lei deve dirmi che è stato. Avanti! Lo indichi!
-Signora mia, non è poi così grave… La marmitta era lì con dentro la minestra, va a sapere che il cane abbia pensato che non aveva poi sta grande importanza e l'ha mangiata senza preoccuparsi, senza pensarci su, senza riflettere…
L'operaio credeva che l'ira della vecchia finisse a botte per i poveri animali e cercava di minimizzarne le responsabilità.
Agata insisteva nel voler conoscere il colpevole.
-Facciamo così, Signora: lei può tenersi il suo mezzo pollo in umido, perché io ormai non ho più fame. La spia non la faccio. Nemmeno ai tempi della dittatura, quando fui arrestato e torturato, neppure allora non ho mai denunciato nessun compagno, non denuncerò adesso un cane…
-Voglio salvare la vita al mio cane… non voglio che muoia avvelenato…
La vecchia esternava la sua ira con misura per paura crollo lifting. Visto che l'operaio non si decideva a denunciare il cane signorino, ordinò di caricare le quattro bestie su una delle tante Mercedes Benz di famiglia e disse al maggiordomo che le portasse dal veterinario con l'ordine tassativo di fargli una lavanda gastrica - tanto al colpevole che agli innocenti - perché si liberassero del pericolo dovuto all'ingestione dell'intruglio dell'operaio… In fin dei conti erano cani dobermann di razza pura.
Dobermann con la "D" maiuscola. Incompatibili con fagioli e riso, uova e carne tritata.
Gli operai - con la "o" minuscola che più minuscola non si può - tornarono al loro lavoro di arrotolare fili.

Heleno arrivò a casa poco dopo che gli indignati cani erano rientrati alla magione. La rivolta canina era tale che non la smettevano di abbaiare, assolo e in coro. Stranamente ora abbaiavano un'ottava sopra. Forse il fatto di essere stati vilmente attaccati - tre senza ragione! - aveva affinato le corde vocali degli indomiti quadrupedi. Erano diventati tenorini.
Chihuahua.

(traduzione di Mirella Abriani)

 


 

(Tratto da "Il suicida che aveva paura della morte" - romanzo)

 

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