Annarè

Vincenzo Sagnelli

Una mezza pioggia di capelli scuri
gli occhi grigio chiaro, verdi e azzurri
che cambiano con la luce di fuori
e i pensieri di dentro.

 

Il signor Di Stefano, vecchio medico in pensione, abitava sul nostro stesso pianerottolo, proprio alla porta accanto. Le mura del palazzo in cui viviamo sono piuttosto sottili e quando la sera tardi si addormentava davanti alla televisione non bastavano i pugni dati alla parete, mi toccava uscire, bussare al suo campanello e aspettare ogni volta un quarto d'ora prima che mi sentisse. Ma non mi sono mai arrabbiata con il signor Di Stefano. Una sera venne ad aprirmi con indosso il pigiama e una vestaglia macchiata di sugo e i capelli ritti in testa, mi disse "Anna mi devi scusare perché non ci mettiamo d'accordo?". Per farla breve mi consegnò una copia del suo mazzo di chiavi autorizzandomi ad entrare direttamente in casa sua per spegnere la televisione mentre lui continuava a riposare sulla poltrona, a patto che stessi attenta a non svegliarlo perché, come mi aveva spiegato, da un po' di tempo riusciva a dormire solo poche ore per notte e allora sarebbe stato un vero peccato fargli perdere quel poco di sonno che arrivava a rubare alla vecchiaia.
Il signor Di Stefano era fatto così, diceva 'sono diventato vecchio in un giorno' e chi lo ascoltava credeva parlasse del giorno in cui era morta la signora Erminia, sua moglie, una donna gentile e di buon cuore che non mi aveva mai rifiutato il favore di badare per un'oretta alla bambina quando ne avevo bisogno.
Io però sapevo che non era a quel terribile mattino che il signor Di Stefano si riferiva né alle giornate successive, quando le piccole incombenze pratiche come il funerale da organizzare, amici e parenti da accogliere e tutto il resto gli avevano distratto la coscienza dal dolore che già nasceva ma preferiva restarsene in agguato chissà dove. Qualche mese dopo lo vidi uscire dall'ascensore con una poltrona color verde muffa, piena di graffi sui braccioli e un brandello di spugna che penzolava da uno strappo sullo schienale. Lo aiutai a portarla in casa, la sistemammo a un metro dalla televisione, gli chiesi "Dottò, dove l'avete trovata questa specie di trappola?"
"Al mercatino delle pulci."
"Ma non potevate comprarne una nuova?"
"Nuove non ce n'erano, soltanto usate… e questa mi sembrava la meno sciupata."
"L'ex proprietario doveva avere un gatto." osservai indicando le feroci unghiate sui braccioli.
Il signor Di Stefano accese il video e si accomodò soddisfatto sulla poltrona, con il telecomando in mano puntato come un'arma cominciò a esaminare i vari canali.
"Non avrete per caso intenzione di starvene tutto il tempo così?" gli domandai perplessa.
"Annarè, nella mia vita ho fatto tanto, adesso voglio vedere che fanno gli altri." mi rispose con un mezzo sorrisetto sulle labbra.
E così fece. Di tanto in tanto il figlio, medico anche lui, veniva a misurargli la pressione e poi bussava a casa nostra per un caffè, qualche amico di rado si presentava per fargli un poco di compagnia, consegnandogli parole sempre uguali, del tipo 'devi uscire, ti fa male startene sempre chiuso, stai diventando pallido come un fantasma, perché non ti vai a fare una passeggiatina…"
Io gli preparavo da mangiare a pranzo e a cena, se avevo tempo davo una riordinata nella stanza, scambiavamo quattro chiacchiere sulla mia soap-opera preferita di cui lui era diventato espertissimo, ne sapeva più di me che per un motivo o per un altro qualche puntata pure me la perdevo.
Neanche una volta mi permisi di criticare il suo nuovo stile di vita, consigliandogli di provare a mettere il naso fuori di casa e sapevo che di me apprezzava soprattutto questo.
Il signor Di Stefano morì circa un anno dopo, lo trovammo io e il tecnico della televisione che doveva riparargli un guasto al tubo catodico, il tecnico si scusò insistentemente con me per il ritardo, con gli occhi lucidi mi raccontava di come il mattino precedente un imprevisto non gli aveva consentito di rispondere subito alla chiamata.
Che brutti pensieri mi venivano in casa del signor Di Stefano, al ritorno avvertivo la necessità di risciacquarmi ben bene la faccia nel lavandino del bagno e di fumarmi una bella sigaretta, con la tavola già apparecchiata che attendeva insieme a me il ritorno da scuola della mia bambina, Chiara.
Mia figlia frequenta la seconda elementare, oggi le hanno insegnato che amore si scrive con una sola emme, io la guardo il pomeriggio mentre fa i compiti sul tavolo della cucina, riempie quaderni interi con le stesse frasi ricopiate decine di volte per imparare senza errori, le sta spuntando una bella calligrafia e difficilmente si sporca le mani con l'inchiostro, non fa le orecchie alle pagine, è molto ordinata, quando ha concluso rimette tutto a posto nello zainetto con una attenzione eccessiva per la sua età.
La maestra dice che è una bambina molto matura. La maestra è una stupida, non esistono bambini maturi, la compostezza di mia figlia è una dedica al padre che lavora di notte e dorme di giorno, il pomeriggio in casa stiamo in silenzio per permettergli di riposare, mia figlia ha semplicemente compreso che ordine e silenzio e una serata che finisce bene sono la stessa cosa.
Un giorno dovrò anche spiegarle che l'ammore con le due emme esiste, non si tratta soltanto di un errore di ortografia, le ricorderò di quella volta che abbiamo preso la metropolitana per andare a trovare i nonni e abbiamo sbagliato corsa, sui cartelli delle fermate c'erano nomi nuovi che lei non riusciva a leggere bene come quelli consueti che faceva finta di sillabare davanti agli altri passeggeri ma in realtà conosceva a memoria e ad un tratto il treno ha puntato in alto ed ha scalato la terra, ci siamo ritrovate di nuovo alla luce del sole, la stazione di un paesino in collina, appena fuori città, la nostra città che per la prima volta ci appariva identica alle cartoline comprate a pacchi dai turisti, il presepe di case vecchie e diroccate che scendono a braccetto fino al mare malignando fitto fitto a bassa voce sulla dabbenaggine dei palazzoni di vetro del centro direzionale, i lunghi assili del porto, il volo in circolo dei gabbiani, batuffoloni di ovatta dimenticati nel cielo stanco di smistare preghiere e bestemmie e sogni che si dissolvono appena in tempo, come è giusto che sia, giusto un attimo prima di guastarti la vita. Chiara è intelligente, sono sicura che capirà, anche oggi che è soltanto una bambina spaventata che gira per casa ripetendo alla bambola i nomi delle cose mi basta guardarla negli occhi, per sapere che capirà

 

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