New York 14a

Alessandro Barbero

 

No, non me lo ricordo, dov'era. Era una casa di mattoni rossi. Cosa c'è da ridere? Sì, lo so che a New York ce n'è tante. Ma io mi ricordo solo quello: i mattoni rossi, e lo scantinato - bisognava scendere una scaletta di ferro, per arrivare lì. Poteva essere sulla 14a, o sulla 15a, giù di lì, non so. Mica tanto vicino a dove abito io. Certo, se ci ripasso il posto lo riconosco, la casa sarà sempre lì, e il cartello anche, non l'avranno mica levato. Ma non ho proprio nessuna voglia di ripassarci, scusate. Finché posso voglio stare alla larga. Finché ho dei soldi, cioè.
Perché quel giorno non ne avevo, di soldi. Era mattina, mi ero svegliata presto, lì dove dormo c'è sempre un traffico maledetto, ti svegliano per forza. C'era il sole, veniva voglia di uscire, non certo di restare chiusi in quel buco, che ti sembra di impazzire; così sono uscita, a consumare le scarpe. Continuavo a dirmi, be', può anche darsi che sia la volta buona, magari lo trovi, un lavoro; soprattutto se esci da questo quartiere. Ho preso un caffè al bar di Aggie, lei continua a farmi credito, non so perché mi ha presa in simpatia; una volta le ho pure chiesto se non aveva bisogno di un'altra sguattera, s'è stretta nelle spalle - lo vedi anche tu com'è, mi ha detto. Però mi dà il caffè tutte le mattine, anche quando non posso pagarla. E' il primo bar dove sono entrata, quando sono arrivata a New York; non conoscevo nessuno, e dopo che ho pagato stavo per uscire, col portafoglio in una mano e i soldi nell'altra, e Aggie mi ha detto ma cosa fai, in questa città non bisogna andare in giro con i soldi in mano, metti tutto via prima di uscire. Non è mica come dalle tue parti, ha detto, ragazzina. Be', anche l'altro giorno, dopo essere uscita di lì, ho cominciato a camminare, senza andare da nessuna parte; si stava bene al sole, di tornare in camera non avevo nessuna voglia, e per fare cosa, poi? Guardavo le vetrine, magari, mi dicevo, c'è qualcuno che cerca una mano; ma c'è la crisi, è più facile che licenziano, oggi, altro che assumere. E poi, ecco, avevo appena svoltato in questa stradina, non lo so se era la 14a, o la 15a, giù di lì, e vedo li questo cartello, proprio sopra la scaletta di ferro che scendeva nello scantinato: SELL YOUR BODY. Bene, mi dico, chissà cosa vuol dire. Ma dentro mi sono sentita diventare di colpo tutta molle, come quando un ragazzo ti - be', sapete cosa intendo. Forse, chissà, era predestinato. Io ci credo a queste cose, ci ho sempre creduto. E da vendere, comunque, non mi era rimasto nient'altro. Sì, lo so, sono stata una scema, poteva finir male, ne spariscono tante di ragazze, per un'imprudenza. Ma così? Con tanto di cartello sulla strada? Non può mica essere pericoloso, mi son detta. Così, ecco, mi sono buttata. La scaletta era arrugginita, traballava perfino un po'; e il muro era di mattoni rossi. E giù, be', era proprio uno scantinato, l'ho già detto, no?, e piuttosto buio; c'era un bancone, come nell'ingresso di un alberghetto, dì quelli con la carta da parati macchiata, dove il proprietario non rimette mai a nuovo niente, per risparmiare; ci ho abitato anch'io, quando ero appena arrivata a New York, in posti così. Non c'era nessuno; ma aprendo la porta ha suonato un campanellino, ed è subito arrivata una donna; non me lo ricordo com'era, c'era poca luce lì, e io non l'ho mai neanche guardata negli occhi, avevo il cuore che batteva forte, e un po' mi vergognavo. Posso aiutarla?, mi fa. Si, dico io, ho visto il cartello, volevo sapere... Bene, dice lei, passiamo nell'ufficio; apre una porta e accende la luce, e c'è lì uno stambugio senza finestre: un ufficio, appunto, come quello di un motel: con uno scaffale carico di classificatori, e una scrivania.
No, il computer non c'era, facevano tutto a mano, lì. Si sieda, mi fa, e posso sapere come si chiama? Io gliel'ho detto, Linda, e anche il cognome, e tutto; e lei sorride e mi fa, bene, Linda, è molto semplice. Qui si tratta di vendere il tuo corpo. Ma non spaventarti, non è mica per sempre. Lo puoi vendere per un'ora. E non avrai mai fatto un affare così in vita tua, perché ti diamo cinquecento dollari. Io, be', sono rimasta a bocca aperta. Erano un sacco di soldi, capite? E un'ora è così poco! Ma, gli dico, cosa mi succede, in quell'ora? Ah, fa lei, può succederti di tutto; cioè, non a te, al tuo corpo. E' un'altra cosa; c'è anche l'anima, no?, e quella non te la compriamo, non siamo mica il diavolo, noi! E si è messa a ridere. E poi ha tirato fuori dal cassetto un contratto, e me l'ha squadernato sotto il naso. Ecco, vedi, mi fa, queste sono le garanzie. Il cliente può farti tutto quello che vuole, ma non ucciderti, si capisce, e neanche lasciare mutilazioni o danni permanenti, e nemmeno nessun danno visibile; vuol dire, alla faccia o alle mani. E poi, c'è la nostra garanzia speciale, questa, Linda, non la trovi da nessun'altra ditta: la vendita diventa effettiva nel momento in cui firmi il contratto. A partire da quel momento, il tuo corpo è nostro per un'ora; se durante quell'ora arriva un cliente, sei merce sua, ma se per caso non arriva nessuno, ti paghiamo lo stesso. E succede, sai. Non tanto spesso, per fortuna, altrimenti potremmo anche chiudere baracca; no, di clienti ce n'è sempre, qui da noi. Ma può succedere eccome; l'altra settimana una ragazza fortunata è venuta due volte, e tutt'e due le volte se n'è andata senza che le fosse capitato niente, e con i suoi cinquecento dollari in tasca. E mentre parlava mi faceva vedere, con la punta della penna, le clausole scritte grandi, e quelle scritte piccole; io lo so che non bisogna mai firmare niente senza averlo letto, ma non riuscivo nemmeno a fermare gli occhi sulle parole, tanto mi girava la testa; e dentro ero tutta molle, sapete cosa voglio dire. Ci sto, ho detto, e lei mi ha passato la penna e ho firmato, Bene, Linda, mi fa, sono le dieci e un quarto, hai appena venduto il tuo corpo per un'ora; ecco i soldi. E davvero li ha tirati fuori dal cassetto, cinque biglietti da cento! Mettili via, ha detto, e adesso su, svelta, passa nello spogliatoio. Ma svelta! Non c'è ancora nessuno, ma possono arrivare da un momento all'altro. I suoi modi erano cambiati, adesso; non sorrideva più. Mi ha quasi spinta fuori dall'ufficio, e poi in un'altra stanzetta; non c'era niente, lì, solo una lampadina appesa al soffitto, e il pavimento e i muri di cemento: sembrava una tomba. Forza, mi fa, spogliati; e io mi sono spogliata, non avevo mica tanta roba addosso; quando ho sfilato anche le calze e le mutandine, lei ha raccolto tutto, una bracciata di roba, e se n'è andata. Adesso aspetta, mi ha detto. E s'è chiusa la porta dietro. Be', in quel momento mi sono spaventata, diciamolo pure. Me ne stavo lì nuda, in un posto sconosciuto, e nessuno neanche lo sapeva, che ero lì. Per quanto, a chi poteva interessare? Avrei potuto telefonare a Aggie, magari; e dirglielo: se non torno a casa, vieni a cercarmi... Ma adesso era troppo tardi. In quel bugigattolo non c'era niente, neanche una sedia per sedersi; solo il pavimento di cemento, e le pareti pure di cemento, e una lampadina appesa al soffitto. E faceva freddo; subito non me n'ero accorta, ma dopo un po' che stavo li me ne sono accorta eccome. Stavo in piedi, e cominciavo a essere stanca, ma non c'era un posto dove mettersi, niente. Mi sono accucciata in un angolo, stringendomi con le braccia, per conservare un po' di calore; ma con le dita dei piedi sentivo il freddo del cemento. Pensavo ecco, adesso arriva un cliente, come dice quella. Chissà che razza di clienti. E cosa mi faranno? Oddio, pensavo. Che scema che sei, Linda. Be', pensavo, potrò sempre gridare, dalla strada mi sentiranno.
Già, e se mi imbavagliano? E poi hai firmato, c'è poco da protestare. Dopo un po', però, visto che non succedeva niente, ho cominciato a pensare: chissà quanto tempo è passato. L'orologio me l'ero levato con tutto il resto, l'aveva preso in consegna quella. Mi sembrava che era passato già un sacco di tempo, ma come potevo dirlo? E poi, ecco, all'improvviso s'è aperta la porta. Io, per lo spavento, sono saltata in piedi; voglio dire, mi pareva quasi che avevo fatto qualcosa di male, ad accucciarmi lì nell'angolo. Nel riquadro della porta c'era la donna, e con lei un uomo, mica tanto giovane, con gli occhiali neri. E' venuto dentro, mi ha preso il mento con la mano, con un dito mi ha aperto la bocca, come si fa con i cavalli. Poi ha scosso la testa. No, fa, preferisco quell'altra. Come vuole, ha detto lei; mi ha dato un'occhiata, poi sono usciti tutt'e due, hanno richiuso la porta. Io tremavo come una foglia, e mica per il freddo; non solo per quello, voglio dire. Avevo voglia di fare pipi, ma li non c'era niente, niente di niente, solo il cemento. Be', sono tornata ad accucciarmi in un angolo, almeno potevo abbracciarmi le ginocchia, e così faceva un po' meno freddo. Non so quanto tempo sono rimasta li; cioè, che scema, ci sono rimasta un'ora, è chiaro, anche se allora m'era sembrato molto di più. Quando la porta s'è riaperta, sono saltata in piedi; credevo che ci fosse un cliente, ma c'era solo la signora - la donna, voglio dire. Mi ha allungato i miei vestiti; forza, Linda, mi fa, rivestiti, che l'ora è passata. Sei una ragazza fortunata, mi fa, e spero di rivederti presto. Io, be', mi sono rivestita più in fretta che potevo; le calze neanche le ho messe, me le sono cacciate nella borsetta, e poi sono uscita di corsa. Ciao, Linda, mi ha detto lei; non sembrava neanche arrabbiata, e sì che aveva appena speso cinquecento dollari per niente. Mentre risalivo la scaletta ho incrociato una ragazza che scendeva, una biondina con una maglietta verde, con la faccia vuota e le braccia piene di lividi; una tossica persa, secondo me. Lei scendeva e io salivo, non m'ha nemmeno guardata, e io me la sono filata di corsa, potete scommetterci.
Ora non lo so più dov'era: forse sulla 14a, lì, più o meno all'angolo della Sesta, o anche un po' più su, sulla 15a, o sulla 16a. Non so. Finora, mica ci sono tornata. Magari però un giorno di questi vado a dare un'occhiata; così, giusto per vedere se non mi sono immaginata tutto. Prima aspetto di finire i soldi, però.

Alessandro Barbero

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