Living New York

Francesco Giusti

a Pedro Pietri



Tu sei un newyorker,
comunque. Ne rifai esperienza
ad ogni passo, è il tuo mito
oggi non ho uno specchio
l'Hudson è stato riassorbito
dalla terra, Manhattan è una zolla
sul vuoto sondato e percorso.

Assorto in una bellezza giovane
di un'età che non possiede
anche se marcia, in attesa
di un diluvio, sparsa tutt'intorno
la paura di tante mancate congiunzioni,
di arie di nubi e un ponte teso
come una seconda aurora, o tramonto.

È un poema epico infinito
recitato male, forse,
ma di cui s'apprezza il testo.
Rimangono anche errori filologici
dove c'è la terra che non c'era,
è un ridarsi spazio in ogni tempo
istante dopo istante nuove vite nuova terra.

Enclave diversa ad ogni passo con dettagli
che non sfuggono alla vista danno il senso
di un magnifico presente e progressivo
di un ascensore che ti porta
all'ultimo tuo piano immaginario
per questo farsi notte troppo in fretta
questa cerca di una casa, monolocale che non crolli.

Poco oltre un'altra ora e un aspro
odore di presente, lo sai
debbo riperderti e non posso
e ritrovarti a pochi passi
indietro o avanti, tu riparti
un angolo, un incrocio e ti rincontri,
cosa può mancarti adesso, ora?

È vero, forse, solo ciò che viene
lasciato un passo indietro, c'è poco
da studiare, l'occhio s'accorge
d'essere privato del possesso,
l'idillio trova la sua fine ad ogni incrocio
forse c'è un dio dietro quei vetri, o forse
solo le macchine si specchiano e le nuvole.
Straniero qui per un infanzia trascorsa altrove
ma bisogna arrivare prima o poi ad ogni punto
mai attraversato, perché la città è nata
poco prima di noi e muore poco dopo,
non c'è alcuna distanza:
le luci, le macchine, le strade
una geometria di mancanza ordinata.

Non fa doni e non si arrende anche se
si avvicina come un filo tremante,
l'amore per il prossimo ha qualcosa
d'assurdo sull'asfalto, la vocazione
è per ogni probabile contatto nelle strade,
atteso con fiducia e ricambiato
senza aprire la bocca o le dita.

Schegge di vetro si muovono tutt'attorno
e non si sa se ci capiscano o restino in attesa
che una lingua nuova ci avvicini
senza nulla che ci sopravviva,
senza nulla che evada un presente progressivo
occasionale, forse, ma concreto
come questo tardo pomeriggio.

East 6th Street in schegge Pedro
è nell'aria, schegge ironiche di voce
rimbalzano da una cabina all'altra
per una conversazione ormai in absentia.
Lucida la voce che non rimbomba
ma scalfisce rapida la superficie
penetra la carne che è di acciaio e vetro.

Impossibile da immaginare
senza la macchina da scrivere
della lingua e dei denti. Non ti sento
venire e so che è di nuovo primavera
e un cordone ombelicale ci divide
il cordone ombelicale di un bambino
nato nonostante tutto vivo.

Corro giù lungo la Broadway,
sono tutti là, se pazzi o saggi
lo deciderà qualcuno non appena
le ceneri si saranno posate
e le parole smetteranno di vivere
tra vicoli e casitas e risuoneranno
dove c'è un fragore di vuoti,

dove la città è il nemico di ogni giorno
tra due ali di folla organizzata
e i sensi unici alternati, pubblici
quanto basta a respirare,
bella quanto basta a non fuggire
gli angoli di strada ed il cafè
che ancora ti respira.

Non mi rimane niente nelle tasche
di mappe, di cartine, percorsi e labirinti
e non distendo le pieghe del terreno
che altri hanno disteso, le cabine
qui possono avere numeri a undici cifre
o frazionari, Boriquen è lì dietro l'angolo
e lontana, dentro la tua machina da scrivere.

Una domenica mattina due o tre mesi fa
ti incontro in questa rete elettrica
d'incontri: Como estas? Si può chiedere.
E rispondere: All right !
Perché si può parlare più di me,
perché si può parlare tra due mondi
ed anche tre, perchè si può vivere a New York.

 



Francesco Giusti si è laureato in Letterature Europee all'Università dell'Aquila, dove adesso è specializzando in Studi Comparatistici. Si interessa di letterature medievali di area germanica, della loro ricezione nelle letterature contemporanee e di poesia italiana, inglese e americana del secondo Novecento. Ha pubblicato interventi critici e poesie in numerose riviste italiane e straniere e due raccolte di versi: Luci rubate (2002) e A un passo da Cézanne (2004). Ha tradotto per riviste Charles Reznikoff, Heather McHugh, Wallace Stevens.

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