La vedova


Massimo Carlotto

(...) L'appartamento della vedova era immerso nel silenzio. Come sempre. Quando la televisione non era accesa, sembrava che non ci fosse nessuno. Il telefono non suonava mai, e raramente il cellulare. Chiamate di vecchi clienti preoccupati di non averla incontrata in qualche albergo. La solitudine di quella donna era agghiacciante, e la solitudine era l'unico lato dell'esistenza che mi faceva paura. Quando sei solo e privo di mezzi, diventi preda di qualcun altro. Come avevo fatto io con lei. Ma questo a me non sarebbe successo, perché mi sarei organizzato la vita diversamente, e non mi sarei mai trovato nella sua stessa situazione a una certa età. Quella stupida donna non aveva saputo guardare lontano e aveva giocato male le sue carte, recitando per troppo tempo il ruolo della vedova del grande boss. Ma la gente dimentica in fretta e lei era caduta sempre più in basso, fino a quando non mi aveva incontrato, sprofondando per sempre negli abissi della sconfitta. Le mancava solo una morte violenta e ingiusta e a quello avrei provveduto ben presto. Andai nella mia camera e buttai sul letto i sacchi col bottino, pistola e lupara. Avvertii una presenza alle mie spalle. Mi girai lentamente e mi ritrovai a fissare negli occhi la padrona di casa. Indossava un tailleur nero, calze velate, scarpe di vernice col tacco alto. I capelli erano raccolti in un sobrio chignon ed era truccata alla perfezione. Per la prima volta sembrava una vera signora e non una vecchia bagascia.
"Stai uscendo?" domandai.
Scosse la testa e indicò i sacchi. "Ho visto la televisione. Avevo capito fin dall'inizio che stavi preparando un colpo e che io non ero altro che un testimone scomodo". Si aggiustò i polsini della camicia di seta."Un tempo ero una donna elegante, e voglio morire elegante".
Continuai a fissarla senza dir nulla. Il mio silenzio confermava i suoi sospetti, ma non aveva senso rassicurarla. Se non era fuggita significava solo che le stava bene andare all'altro mondo, e anche che fossi io a ucciderla.
"Non preoccuparti, non accadrà stasera".
La vedova annuì. Si sedette sul bordo del letto accavallando le gambe e accese una sigaretta. Passò lentamente la mano sui sacchi. "Quando il mio uomo era vivo faceva contare a me i soldi delle rapine. Voleva che mi dipingessi le unghie con uno smalto rosso scuro di Chanel, si sedeva su una poltrona e mi guardava mentre maneggiavo le mazzette di banconote. Alla fine facevamo l'amore. E mentre era dentro di me mi annusava le mani, che profumavano di soldi. Poi è diventato importante e ad assaltare le banche ci mandava gli altri. Allargò il giro di affari, droga, bische, riciclaggio e da quel momento cominciò ad avere altre donne. Passeggiavo per Milano impellicciata e ingioiellata come una principessa, ma la notte dormivo sola. Non ho mai smesso di amarlo, però, io sono una di quelle che amano solo un uomo nella vita, e quando me l'hanno ammazzato sono diventata la "vedova". Per sempre".
Ricordavo il fatto. Il boss si trovava nel cortile del supercarcere di Cuneo quando un gruppo di killer assoldati dai cutoliani l'aveva circondato e assassinato a coltellate. Per disprezzo gli avevano strappato il cuore e l'avevano gettato nella polvere.
"Dopo il funerale" riprese a raccontare malinconicamente la donna, "alcuni dei nuovi capi mi corteggiarono a lungo. Solo per il gusto di scoparsi la moglie del vecchio boss. Uno sfregio senza rischi, roba da vigliacchi, e io preferii difendere la sua memoria e fottermi la vita. Poi sei arrivato tu. Mi hai fatto capire che continuare a vivere così può essere solo umiliante. Non ho più paura di morire e la mia tomba è già pronta da tanto tempo. A fianco al mio uomo. Le uniche cose che ti chiedo sono di non farmi soffrire troppo e di farmi ritrovare elegante, come sono adesso. Non voglio che i giornali scrivano che me ne sono andata come una stracciona".
Le sorrisi. "Tranquilla, farai una gran bella figura" mentii. Il mio piano prevedeva ben altro per lei. Poi cambiai discorso: "Sono stanco, conta tu i soldi e dividili in due parti".
"Siete rimasti in pochi a spartire il bottino. Una banda di galantuomini".
Mi infilai sotto la doccia per lavare la puzza di morte e di paura che mi impregnava i vestiti e il cervello. Iniziai a rilassarmi e a sentirmi contento. Due conti, e compresi di essere diventato miliardario. Non male, per uno che era partito dal Centroamerica con un ergastolo sulle spalle. Finalmente ero ricco, e potevo pensare a costruirmi la vita a cui avevo diritto, dopo tanta fatica. Anche l'atteggiamento rassegnato della vedova contribuiva alla mia soddisfazione. Non avevo voglia di nuovi casini. Quando ritornai in camera, la donna stava ancora contando. Andai in salotto, mi versai un goccio e accesi il televisore. Tutte le emittenti trasmettevano servizi speciali sulla rapina all'ipermercato. Le immagini erano quasi sempre le stesse: i corpi delle due guardie coperti da un lenzuolo e gli uomini della scientifica che facevano i rilevamenti. Alzai il bicchiere per brindare al mio piano. Semplice, facile e quindi geniale.
La vedova si avvicinò. "Un miliardo e settecentoquaranta milioni. Complimenti". Poi guardò le immagini che scorrevano sul video. "Una volta la mala dava parte dei soldi alle vedove. Anche a quelle degli sbirri".
"Non dire puttanate. Queste sono le tavolette che raccontava il tuo boss per farti credere di essere un grand'uomo" ribattei con cattiveria. "E adesso sparisci, vattene in camera tua".
Quella notte dormii con la pistola sotto il cuscino. Razionalmente sapevo di essere al sicuro, ma era difficile riuscire a controllare la tensione, e mi svegliavo a ogni piccolo rumore. La mattina aprii gli occhi e trovai la vedova seduta sul letto, in vestaglia. Aveva i capelli sciolti sulle spalle e profumava di pulito. Si accese una sigaretta e iniziò a raccontare aneddoti di quando era ancora qualcuno. Una vera rottura di palle. Avrei voluto mandarla via, ma era meglio lasciarla tranquilla. Avrebbe creato meno problemi al momento di abbandonare la vita terrena. Ogni tanto annuivo fingendo interesse, ma mentre parlava la mia mente era lontana, era tornata al paese, da Flora. Per qualche minuto mi abbandonai al sogno irrealizzabile di riprendermela con la forza del denaro. Al ricordo delle scopate nel retro del negozio di scarpe, l'uccello mi diventò duro come marmo. Presi la mano della donna e la infilai sotto le coperte. "Renditi utile" le dissi. (...)



(Brano tratto dal romanzo Arrivederci amore, ciao, edizioni e/o, Roma, 2000)

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