LETTERATURA ARABA CONTEMPORANEA


All'indomani della Seconda guerra mondiale con i suoi sconvolgimenti di esperienze e idee, si produce nel Mondo arabo una maggior coscienza politica e sociale, specie fra le giovani generazioni, che inevitabilmente si riflette nella produzione letteraria. Si assiste a una vera esplosione di talenti, di giovani autori, soprattutto in Egitto e in Iràq. Poi in Siria, Libano, Tunisia, Algeria.
Due fenomeni intervengono poi a influenzare decisamente i giovani scrittori: uno di carattere strettamente letterario ed è la crescente importanza acquisita dalla prosa che nei paesi arabi maggiormente influenzati dalla cultura occidentale riesce a prevalere quantitativamente sulla poesia, da sempre il genere letterario principe della letteratura araba; il secondo fatto, traumatico per la società e la cultura araba, è la cosiddetta nakba, la catastrofe, e cioè fondazione dello stato d'Israele, con la sconfitta degli eserciti arabi e l'occupazione di Gerusalemme. Nasce la questione palestinese e di conseguenza la àdab al-muqàwama, la letteratura della resistenza, che non interessa soltanto i letterati palestinesi, ma che ha dei riscontri in tutte le letterature dei Paesi arabi.
Nelle opere di questo periodo si avverte un'ansia di ricerca di una propria identità letteraria, con cambiamenti nello stile e nel linguaggio che si fa più semplice e diretto. Il letterato pone maggior cura nell'analisi e nell'esposizione delle proprie emozioni e dei sentimenti più reconditi. E se negli anni Cinquanta vediamo accentuarsi il realismo già manifestatosi fra le due Guerre mondiali, successivamente si nota una generale propensione per il simbolismo, fenomeno che si accentuerà dopo la nakba, la sconfitta nella guerra del giugno 1967 col sentimento d'impotenza e di frustrazione seguitone e che rafforzò il vincolo comune tra i palestinesi e il resto del Mondo arabo. L'"impegno" in letteratura diviene la regola generale, impegno sociale che può essere contestazione del potere dominante, ma anche dei pregiudizi sociali e culturali sedimentati nella mentalità della gente. Da qui lo stretto legame tra letteratura e politica presente nella produzione letteraria di quasi tutti i Paesi arabi, fatta eccezione per quelli della Penisola araba dove le condizioni politico-culturali non sono ancora mature per favorire un tal fenomeno.
Nel contempo si rileva ovunque una presa di coscienza del valore delle tradizioni letterarie, sia scritte che orali, in un rinnovato interesse per i temi e i motivi della millenaria cultura del passato e per una sua adeguata rivalutazione, spesso in contrapposizione alla cultura occidentale.
Dal punto di vista linguistico permane il problema della diglossia che concerne ormai anche la letteratura. Da decenni parecchi autori usano la loro lingua viva, almeno nei dialoghi delle loro opere, specie di carattere realistico. Ma la sacralità della lingua classica (fasìha) impedisce ai singoli dialetti di assurgere a dignità letteraria, e una rimane la lingua scritta, "dall'Oceano al Golfo", senza sostanziali differenze morfologiche con la lingua classica, così come sono limitate le innovazioni sul piano sintattico. Tuttavia la fraseologia e la stilistica sono decisamente mutate, e se testimoniano da un lato il travagliato rinnovamento del Mondo arabo contemporaneo, dall'altro portano impressi i segni di un'innegabile influenza europea, chiaramente riconoscibile nei molti neologismi e modernismi.
L'Egitto continua a mantenere il ruolo di paese-guida sul piano culturale e a produrre il maggior volume di opere letterarie. Buona l'attività editoriale negli altri paesi, specie in Siria, in Iràq, ma anche nel Màghreb. Si muove anche la Penisola araba, grande centro della tradizione. E malgrado la grave situazione interna venutasi a creare dal 1975 pure il Libano mantiene la propria importante posizione culturale ed editoriale.
La poesia, l'arte letteraria per eccellenza fra gli Arabi, che agli inizi del secolo, ispirandosi a modelli occidentali, aveva iniziato il suo rinnovamento con la scuola "siro-americana" del màhgiar (l'emigrazione siro-libanese nelle Americhe), abbandona progressivamente, dopo quindici secoli, la classica forma della qasida (poema) quantitativa e monorima, per sfociare nel verso libero (al-shi`r al-hurr, la poesia libera), a partire dall'Iràq negli anni Cinquanta con la scuola lirica guidata dalla poetessa Nàzik al-Malà'ika (1923) e da Badr Shàkir al-Sayyàb (1926-1964), influenzati dalla poesia inglese (T.S. Eliot) e proseguendo coi siro-libanesi tra cui Salàh Làbaki (1906) e Adonìs (1930)(v.v.) dove si nota l'influenza del simbolismo francese. Nel 1957 Adonìs e Yùsuf al-Khal (1917-1986) fondavano la rivista Shi`r (Poesia), che raccoglieva giovani poeti dai temperamenti e dai talenti più disparati, ma uniti dalla volontà di trasformare l'arabo poetico e di trovare, tanto nel dramma arabo che in quello personale, una fonte da cui trar colore, forma e vigore. Per una decina d'anni la rivista fu tribuna del verso libero e proscenio della poesia occidentale in traduzione, motivo d'ispirazione e di dibattito di cui si sarebbero nutriti i poeti successivi. Le tematiche sono ispirate dall'alienazione, dal disordine interiore e dall'angoscia esistenziale determinata dalla vita moderna, dalle condizioni socio-politiche, dagli infausti eventi della storia recente.
Fra le personalità poetiche dell'area vicino-orientale spicca il siriano Nizàr Qabbàni (1928-2000?), uno dei più popolari poeti arabi viventi, famoso per le sue liriche d'amore. Dopo la sconfitta del 1967, colpito dal dramma palestinese, la sua diventa poesia "di lotta", pur senza rinnegare completamente i temi precedenti. Vi è l'iracheno `Abd al-Wahhàb al-Bayyàti (1926), "impegnato" e dallo stile ironico con puntate sul fantastico; il libanese Sa`ìd `Aql (1912), caposcuola del simbolismo; il vate curdo Baland Hàydari (1926), seguace dell'estetismo, poi dell'esistenzialismo e del surrealismo; e ancora i siriani Sulaymàn al-`Isà (1922), cantore del partito Ba`th e della tragedia palestinese, e `Ali al-Giundi (1928), romantico dagli accenti mistici che canta la tristezza, la solitudine, la morte. Componente fondamentale della poesia araba contemporanea è quella nata in Palestina dopo la disfatta del 1967. Prima di quel fatale spartiacque storico la letteratura palestinese non aveva superato i propri confini geografici, ma la tragedia stimola la produzione letteraria che si arricchisce di nuovi temi: l'angoscia esistenziale, la nostalgia della patria perduta, l'esilio, ma anche la speranza e il desiderio di riscossa. I poeti per primi levano la loro voce per far conoscere il dramma del loro popolo: Fadwa Tuqàn (1918), forse la più celebre poetessa araba vivente che passando dai metri quantitativi classici al verso libero canta via via la sua liberazione dalla "prigione domestica", l'amore, l'amor patrio. L'affianca la triade poetica palestinese: Darwìsh, al-Qàsim, Zayyàd. Mahmùd Darwìsh (1941)(v.v.), impegnato nella lotta politica e autore di liriche in cui sublima a mito le cose più semplici della vita del suo popolo. Samìh al-Qàsim (1939), di origine drusa, esprime il senso d'ineluttabilità del destino. Tawfìq Zayyàd, più anziano dei suoi due compagni, dallo stile semplice, popolare, ma più che mai moderno. Non manca naturalmente chi continua con la qasida metrica: Mahdi al-Giawàhiri (1903-?), vigoroso simbolista e gloria nazionale dell'Iràq, affronta argomenti politici e sociali; il siriano `Omar Abu Risha (1910-?), autore di tragedie e di lunghe epopee storiche. Nella tradizione si mantiene la maggior parte dei poeti della Penisola araba. In Egitto la moderna poesia nata in Iràq e in Libano trova sulle prime delle resistenze. Pioniere fra i suoi difensori Salàh `Abd al-Sabbùr (1931), di raffinata cultura occidentale, dal realismo sociale influenzato da esperienze mistiche espresse anche in alcune sue opere drammatiche. `Abd al-Mu`ti Higiàzi (1935), militante socialista di origini contadine, tratta le miserie del popolo e i drammi del fellah inurbato. Muhàmmad al-Faytùri (1930), originario del Sudan e di sangue nero, canta il suo amore per l'Africa e la lotta contro il razzismo. Nel Sudan eccelle `Abdallah al-Tàyyib (1921), che dopo un'esperienza sulla scia dei movimenti poetici inglesi, scopre la sua vera natura tornando alla tradizione più antica e difficile. In Libia incontriamo `Ali Sidqi `Abd al-Qàdir (1924), capofila del rinnovamento letterario, che ha pubblicato versi di ispirazione politica, amorosa ed esistenziale, assieme a Muhàmmad al-Mahdi (1943), fautore del verso libero. Il Màghreb vede ancora in atto la campagna di ta`rib, il recupero della lingua nazionale, specie in letteratura, in quanto un cospicuo numero di letterati si trova ancora a proprio agio col francese, più che con l'arabo, pur rimanendo arabi nel profondo e intrinsecamente araba sia la loro letteratura. Il più noto lirico algerino, Màlek Haddàd (1927), ha combattuto i colonialisti poetando nella loro lingua. Muhàmmad Dib (1920), altro algerino, residente in Francia, ha ricevuto numerosi riconoscimenti per la sua attività feconda e varia di poeta e di romanziere. Fra i poeti marocchini, quasi sempre bilingui con prevalenza per quelli d'espressione francese, si fa notare `Azìz Lahbàbi (1922), fondatore dell'Unione degli scrittori del Màghreb e della rivista Afàq, per le sue raccolte, oltre che per la sua attività di romanziere e saggista. Altro poeta e romanziere è `Abdellatìf Làabi [`Abd al-Latif La`abi] (1942), noto per il carattere di denuncia politica e sociale delle sue opere, fondatore della rivista letteraria Souffles (pubblicata anche in arabo: Anfàs) che ha dato alla letteratura maghrebina un impulso al rinnovamento di cui sta ora raccogliendo i frutti a livello internazionale.
La prosa è il genere letterario che mostra lo sviluppo maggiore, anche se forse meno evidente e rapido della rivoluzione attuata nella poesia neoaraba, mancando nel passato chiari riferimenti di confronto per quanto attiene al moderno racconto breve, al romanzo, all'opera teatrale, come invece quella ha nella poesia tradizionale. Quest'ultimo periodo vede il genere ormai maturo per competere sull'agone internazionale valicando i confini del Mondo arabo. La tecnica e lo stile sono inequivocabilmente prole dell'occidente e il processo di emancipazione dai lacci della retorica è ormai completo. Come pure l'uso della similitudine e della metafora si adegua ai canoni moderni. Ma innegabilmente arabi rimangono lo spirito, il sentimento, l'ispirazione. Gli scrittori tendono a rivolgersi alla più ampia fascia di lettori, inclusi quelli di scarsa scolarità. Si preferiscono la semplicità e la chiarezza. L'arabo letterario si avvicina al colloquiale, ma senza le idiosincrasie regionali di vocabolario e sintassi e senza urtare le regole della grammatica classica, salvo a volte nel dialogo.
Come ha primeggiato nel campo della moderna poesia l'Iràq compete con l'Egitto anche sul piano della narrativa, soprattutto riguardo la qissa qasira, il racconto breve, che vede un gruppo di narratori di talento esprimere la loro inquietudinee interiore e denunciare le ingiustizie sociali. `Abd al-Màlik Nuri (1921), realista e poi esistenzialista, con lingua raffinata e tecnica originale s'interessa dei diseredati e delle creature più umili. Fu'àd Tàkarli (1927), tratteggia, in un'atmosfera di violenza e angoscia, la vita disperata dei contadini iracheni. Di più recente notorietà è `Abd al-Rahmàn Magìd al-Rubày`i (1939), autore di romanzi e racconti di carattere sociale in una lingua letteraria ricca di spunti innovativi.
In Siria, al realismo degli anni Cinquanta seguono nuove forme d'espressione meno esplicite. La situazione politica più restrittiva, seguita alla fondazione della Repubblica Araba Unita con l'Egitto, induce alla metafora e al simbolo che intervengono a mascherare il pensiero dello scrittore. E il malessere sociale, dopo esser stato ampiamente descritto, è come fatto oggetto di un'analisi interiore. Rispetto ai contemporanei narratori egiziani si nota un minor ricorso al dialetto nei dialoghi. L'esponente più in vista è Hànna Mina (1924), autore di numerosi romanzi e alcune raccolte di racconti di carattere sociale e autobiografico in cui denuncia la società classista, fattore di deformazione dei sentimenti e dei rapporti umani. Monumento nazionale è `Abd al-Salàm al-`Ugiàyli (1918), medico, ex-ministro, romanziere e saggista, felice combinazione di romanticismo e realismo. Nella narrativa di Fàris Zarzùr (1922-?) passiamo ad un crudele realismo dalle risonanze kafkiane, mentre nei surrealistici racconti di Zakariyya Tàmir (1931) entriamo in un universo da incubo dominato dalla violenza e dall'ingiustizia, in cui dilagano i tabù e gli appetiti di una società malata. In campo femminile, dove con diversi toni si tratta della condizione della donna e dei suoi rapporti con l'uomo e la società, fra le numerose esponenti siriane degne di nota vi è Colette Khuri (1937) e soprattutto Ghada al-Sammàn (1942), che piange la tragedia libanese e rappresenta l'uomo e la donna insieme, vittime della società. La sua opera complessiva, impregnata di sensibilità politica, sociale e di rivolta esistenziale, annuncia una nuova letteratura femminile araba. Il Libano, sconvolto dalla guerra, tarda ad accostare nomi nuovi accanto a Suhàyl Idrìs (1923), romanziere, fondatore nel 1953 della rivista letteraria al-Adab, a Layla Ba`àlbaki (1928), dai romanzi di denuncia sociale, e soprattutto al grande Mikha'ìl Nu`àyma (1889-1987)(v.v.).
Se per la Giordania val la pena di citare l'opera narrativa di `Isà al-Na`ùri (1918-1985), famoso anche per la sua attività italianistica, per la Palestina il nome e l'opera di Ghassàn Kanafàni (1936-1972)(v.v.) sarebbero sufficienti a darle lustro nel genere. Esponente di primo piano della letteratura della resistenza egli ha contribuito al mantenimento dell'identità culturale tra i palestinesi della diaspora. Gli si affiancano Giabra Ibrahìm Giabra (1919), romanziere, poeta e critico, e Emile Habìbi (1922), dalla scrittura ricca e complessa vivacizzata da spunti di sottile ironia. Nella Penisola araba la notorietà dei prosatori comincia da poco a superare quell'ambito geografico. Dove invece il genere narrativo moderno arabo ha raggiunto i massimi livelli è in terra d'Egitto. Qui, nel lontano 1914, esso aveva avuto i propri natali col romanzo Zàynab di Muhàmmad Husàyn Hàykal (1888-1956) e nel 1988 ha visto assegnare il Nobel per la letteratura al suo esponente più prestigioso: Nagìb Mahfùz (1911-2006)(v.v.). Attivo dal 1934, questo realista pittore di costumi e di caratteri, autore di autentici documenti storici - nella sua celebre Trilogia troviamo la storia dell'Egitto dalla rivoluzione del 1919 al 1942 - ha saputo tratteggiare l'angoscia dell'uomo moderno, sottoposto all'implacabile trascorrere del Tempo, forse il vero protagonista della sua opera. Un maestro del racconto egiziano è Yùsuf Idrìs (1927). Polemista, ha descritto i vizi e le tare degli individui e della società, con un uso appropriato e salace dell'arabo colloquiale, drammatico ma non privo di senso del humour. Fra i giovani novellisti un posto di riguardo spetta a Giamàl al-Ghitàni (1945), portavoce di una "generazione della rivoluzione" che si sente tradita e vuol gridare la propria sofferenza, l'amarezza e l'angoscia, ma che sa reagire e confidare i propri sogni e le proprie speranze. Gli si accosta Magìd Tùbiya (1938), incline alla descrizione realista e all'annotazione psicologica sublimate da un'intenzione simbolica. In campo femminile in primo piano troviamo Nawwàl al-Sa`dàwi (1932)(v.v.), psicologa, romanziera, femminista. Nella sua narrativa e nei suoi saggi denuncia l'atteggiamento prevaricatore dell'uomo nei confronti della donna araba. In Sudan il romanziere al-Tàyyib Sàlih (1929)(v.v.) ci presenta i fatti dolorosi e tragici del giovane arabo emigrato in occidente e i drammi del suo ritorno sulle rive del Nilo. In Tunisia uno degli autori più rappresentativi è Béchir Khraïef [Bashìr Khuràyf] (1917), romanziere e novellista, dotato d'un senso acuto dello spirito popolare è pure apprezzato per il suo uso particolare della lingua parlata nei dialoghi. Muhammad Rachad Hamzaoui [M. Rashàd Hamzàwi] (1934), romanziere e drammaturgo, con stile realistico denuncia la dura vita dei contadini. Fra le scrittrici va citata `Arusìyyia al-Nalùti (1950), di origine algerina, che con linguaggio fantasioso racconta di incomunicabilità, silenzi, solitudini, angosce, desideri frustrati. In Algeria la moderna narrativa s'impernia su due assi: quello del passato, sulla guerra di liberazione e i relativi valori, e il presente, in cui si analizza la situazione dell'uomo-individuo nella città, la sua alienazione e perplessità di fronte a una società in rapido cambiamento. Capofila degli autori d'espressione araba è Abdelhamid Benhadouga [`Abd al-Hamìd Ben Haddùqa] (1925), che esamina le ripercussioni sociali e psicologiche della guerra di liberazione). Ben più nutrito è il "fronte" francese. In primo piano c'è Kateb Yacine [Kàtib Yasìn] (1929), romanziere, poeta, drammaturgo. Da notare anche Rachid Boudjedra [Rashìd Bu Giadra] (1941), narratore, poeta e saggista, che attacca la tradizione, il perbenismo borghese, il potere politico reo d'aver tradito gli ideali rivoluzionari. Assia Djebar [Asiya Giabbàr] (1936), romanziera delle questioni che travagliano il paese, è l'esponente più conosciuta fra le scrittrici. Anche in Marocco abbiamo gli "arabi" e i "francesi". Del primo gruppo fa parte tra gli altri Muhàmmad Zafzàf, fra gli innovatori del linguaggio e della struttura narrativa. Di recente notorietà anche in Europa è Muhammad Choukri [M. Shukri] (1935), romanziere che con una scrittura apparentemente fredda, documentaria, dà lo spaccato tenero e sanguinoso del Marocco alle soglie dell'indipendenza politica. In francese invece scrive l'astro della contemporanea narrativa del paese, quel Tahar Ben Jelloun [al-Tàhir Ben Giallùn, 1944](v.v.), psichiatra e romanziere, che con la laurea al Goncourt 1987 ha visto la propria notorietà diffondersi in Europa quale portavoce di tutta la cultura maghrebina. Romanziere e drammaturgo attento ai problemi delle classi povere è Driss Chraïbi [Idrìs Shuràybi] (1926), che denuncia tanto i pregiudizi della tradizione quanto la supina accettazione dei valori occidentali.
Il teatro, genere nuovo nella cultura araba essendovi entrato alla fine del secolo scorso, ha visto, a partire dall'Egitto, un sempre crescente fervor d'opere. Dopo i promotori del primo movimento della drammaturgia araba: Tawfìq al-Hakìm (1898-1987) e Nu`màn `Ashùr, vi si cimenta con successo Yusùf Idrìs, citato come romanziere. La Siria ha in Sa`d Allah Wannùs (1941-1997), il suo più rappresentativo esponente, sia per le tecniche d'avanguardia impiegate che per i contenuti volti a un'opera di demistificazione e disillusione con la rilettura della Storia alla luce di una nuova coscienza. In Tunisia si evidenzia Ezzedine Madani [`Izz al-Din al-Màdani], con opere d'ispirazione storica. L'Algeria ha nel citato romanziere Kàteb Yacìne anche un interessante drammaturgo, mentre il marocchino Driss Chraïbi, anch'egli citato, alterna l'attività di romanziere con quella di autore teatrale di successo.
Il saggio nella moderna letteratura araba, che qualcuno ha acutamente visto come una riuscita sintesi tra la tradizionale risala (l'epistola o trattatello medievale di vario contenuto) e il francese essai o inglese essay, si diffonde nella prima metà di questo secolo con Manfalùti, Taha Husàyn, Nu`àyma e al-`Aqqàd, tra gli altri. Nella seconda metà, fra i saggisti arabi di valore si ricorda il citato italianista giordano `Isà al-Na`ùri, ancora l'eclettico egiziano Yùsuf Idrìs, lo stesso Adonìs che nell'ultimo periodo ha privilegiato quest'attività rispetto alla poesia e lo storico marocchino Abdallah Laroui [`Abd Allah al-`Arwi] (1933).
Val la pena di rilevare infine il crescente interesse per la letteratura araba, soprattutto contemporanea, da parte di sempre più vasti strati dell'opinione pubblica occidentale, che si sta finalmente emancipando dagli schemi e critico stereotipati delle Mille e una notte e dai preconcetti che hanno condizionato, fino ad epoche recenti, la conoscenza dell'argomento.

Fra i maggiori esponenti
ADONÌS, pseudonimo di `Ali Ahmad Sa`id Esber, poeta e critico siriano, naturalizzato libanese (Qassabìn 1930). Dopo gli studi primari e secondari a Tartùs e a Latakìa studia all'Università di Damasco dove nel 1954 consegue il diploma in filosofia. Nel 1956 si trasferisce in Libano ottenendone ben presto la cittadinanza e risiedendovi fino al 1985. Pur avendo già da prima dimostrato il suo talento lirico è qui che si definisce la sua personalità poetica dalla doppia inquietudine, metafisica e sociale, dalla scrittura estremamente pura. Nel 1957, con Yusef al-Khal, fonda la rivista Shi`r (Poesia) che lascerà un segno profondo nella poesia araba contemporanea sulla strada della sua emancipazione dalle forme rigide di una tradizione che, pur bella, non corrispondeva più alle esigenze dei giovani poeti. Adonis, che s'era cimentato con successo nella poesia tradizionale, nelle nuove forme manifesta il suo genio, ispirato sia dal passato della propria lingua quanto dalle suggestioni della poesia occidentale. Nel frattempo si dedica all'insegnamento e al giornalismo. Nel 1968 fonda la rivista Mawaqif (Situazioni), vera tribuna d'espressione indipendente da qualsiasi regime, punto d'incontro privilegiato della cultura araba con le altre culture. Nel 1973 consegue il dottorato in Lettere all'università St. Joseph. Fra le sue raccolte: Agani Mihyar al-dimashqi (Canzoni di Mihyar il damasceno) del 1961, Kitab al-tahawwulat wa-al-higra fi aqalim al-layl wa-al-nahar (Libro delle trasformazioni e dell'emigrazione nelle regioni della notte e del giorno) del 1969, al-Masrah wa-al-miraya (Il teatro e lo specchio) del 1970, al-Qasa'id al-khams taly-ha al-mutabaqat wa-al-awa'il (I cinque poemi seguiti dalle analogie e dai primi) del 1980. Negli ultimi anni la sua attività di teorico e critico della letteratura, assieme a quella di traduttore, han prevalso su quella di poeta. Attualmente vive in Francia "non in esilio, ma da poeta che si sente a casa propria ovunque poiché egli abita la propria lingua e la propria poesia".
BEN GIALLÙN al-Tàhir, scrittore marocchino in lingua francese (Fès 1944). Emigra a Tangeri nel 1955 e vi consegue la licenza in filosofia. Esordisce come poeta nelle pagine della prestigiosa rivista Souffles, creata nel 1966 da `Abd al-Latif La`abi e sospesa nel 1972 per motivi politici. Nel 1971 va in Francia dove collabora con Le Monde e nel 1973 pubblica il romanzo Harrouda, forte denuncia dell'arroganza del potere, della lacerazione prodotta dal colonialismo e dalla susseguente acculturazione post-coloniale. Nel 1975 ottiene a Parigi il dottorato in psichiatria sociale. Da questi studi pubblica nel 1977 un saggio sugli emigrati maghrebini e il loro squilibrio affettivo e culturale, linguistico e sessuale: La plus haute des solitudes, in cui manifesta la sua solida esperienza di ricercatore sociale e una meticolosità scientifica mai fredda né distaccata. Seguono Moha le fou, Moha le sage (1978), La prière de l'absent (1981), L'enfant de sable (1985) e La nuit sacrée (1987) per cui gli viene assegnato il Premio Goncourt. Tutti momenti di una polemica che mette in discussione l'organizzazione della società musulmana, ma anche di quella occidentale. Pur essendo di madrelingua araba, ma dialettale, s'è sempre rifiutato di scrivere in arabo letterario, ammettendo di non saperlo dominare come il francese. Ma ribadisce con decisione la sua identità araba e maghrebina pur in una personalità "incrociata", plurietnica e pluriculturale. Buona parte della sua produzione narrativa è stata pubblicata in italiano.
DARWÌSH Mahmùd, poeta palestinese (al-Birwa - Galilea 1941). Fin dall'infanzia la sua personalità è segnata dalla fuga, dall'esilio in un campo profughi libanese, dal ritorno nella propria terra occupata. Da ragazzo milita tra le forze progressiste e più tardi diviene caporedattore della rivista al-Giadid, organo dell'ala araba del partito comunista israeliano (Raqah) di cui è membro. La sua lotta politica, volta alla difesa dell'identità del popolo palestinese e dei suoi diritti nazionali e culturali gli fa conoscere a più riprese la prigione. Nel 1964 pubblica a Haifa Awraq al-zaytun (Foglie d'ulivo), considerato il primo tentativo poetico concreto che segna "il passaggio dalla fase delle lacrime a quello della rivolta e della sfida". Gli schemi formali sono spezzati, i versi si riducono all'essenziale, talvolta a una sola parola. Nel 1965, in carcere, compone la sua raccolta più famosa `Ashiq min Filastin (Un innamorato della Palestina) in cui abbandona definitivamente lo stile romantico e ricorre al simbolo, senza ancora pregiudicare la chiarezza dell'espressione come invece accadrà in Akhir al-layl (La fine della notte) del 1967, dall'ermetismo eccessivo e dal simbolismo troppo oscuro. La sua capacità di mantenere la tensione nell'immagine e di mitizzare le cose più familiari della vita del suo popolo ne fanno uno dei poeti più rappresentativi della Palestina. Fino ad allora quasi sconosciuto, dopo la guerra di giugno 1967 la sua fama si diffonde nel Mondo arabo. Nel 1971 lascia il suo paese per l'Egitto e poi il Libano che abbandonerà a sua volta con l'invasione israeliana del 1982 per vivere tra Tunisi e Parigi. Il suo divano attualmente supera la decina di raccolte.
KANAFÀNI Ghassàn, scrittore palestinese (Acri 1936-Beirut 1972). Inizia a studiare presso una scuola cristiana, ma nel 1948 è costretto a fuggire in Libano con la famiglia. Nel 1953 insegna a Damasco in una scuola dell'UNRWA, l'agenzia dell'ONU che si occupa dei palestinesi. Nel contempo comincia a scrivere pubblicando i suoi primi racconti nella rivista al-Ra'i (L'Opinione). Nel 1956 è nel Kuwayt dove, continuando a insegnare, si avvicina alla resistenza palestinese e in particolare a Georges Habash, che fonderà in seguito il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina. Nel 1960 torna a Beirut dove comincia una proficua collaborazione con vari giornali nazionalisti e progressisti, alternata alla sua opera di scrittore militante, che dura fino al 1972 quando, nel pieno della sua attività artistica, cade vittima di un attentato. Esponente di primo piano della adab al-muqawama (letteratura della resistenza) affronta nei racconti e nei romanzi la problematica degli esuli e della lotta contro l'occupazione israeliana, mettendo in luce la crisi di fiducia dei palestinesi nei confronti dei paesi arabi. La sua opera, riunita in due volumi, è costituita da cinque raccolte di racconti Mawt sarir raqm 12 (La morte del letto numero 12), 1961; Ard al-burtuqal al-hazin (La terra delle arance amare), 1963; `Alam laysa lana (Un mondo non nostro), 1965; `An al-rigial wa-l-banadiq (Sugli uomini e i fucili), 1968; Umm Sa`d (La madre di Sa`d), 1969, e da tre romanzi brevi: Rigial fi l-shams (Uomini sotto il sole), 1963; Ma tabaqqà lakum (Ciò che vi è rimasto), 1966; `A'id ila Hayfa (Ritorno a Haifa), 1969. Ha scritto inoltre tre lavori teatrali e ha raccolto e presentato dei testi antologici sulla letteratura della resistenza.
MAHFÙZ Nagìb, romanziere egiziano (Il Cairo 1911-2006). Di famiglia piccolo borghese si laurea in filosofia all'Università del Cairo nel 1934 e viene assunto nella pubblica amministrazione. Dopo un esordio nel romanzo storico, egli inizia nel 1945 con al-Qahira al-giadida (Cairo nuova) quel filone narrativo, detto del "realismo sociale", ambientato nei luoghi più tradizionali del Cairo che vedrà poi Khan al-khalili, nome del'antico bazar, del 1946, Zuqaq al-midaqq (Vicolo del mortaio) del 1947 e che sfocerà nell'opera che gli darà fama anche al di fuori del mondo arabo: la ponderosa Trilogia, uscita tra il 1956 e il 1957, costituita da Bayn al-qasrayn (Fra i due palazzi), Qasr al-shawq (Il palazzo del desiderio), al-Sukkariyya, nome di una strada del Cairo, dove si manifesta una costante che dominerà la sua opera complessiva: la proustiana ossessione del tempo che sfugge. In Bidaya wa-nihaya (L'inizio e la fine), del 1949, si comincia a notare un attenuarsi del suo realismo e l'esplorazione di più sofisticate tecniche narrative che si estrinseca nelle opere degli anni Sessanta dove viene approfondito l'interesse psicologico per i personaggi e un frequente ricorso al simbolo. Son di questo periodo Awlad haratina (I figli del nostro quartiere, 1959) in cui prevalgono i temi esistenziali con al centro l'uomo all'eterna ricerca dei valori spirituali. Il romanzo sarà bandito in tutti i paesi arabi, salvo il Libano, per la malvista commistione di temi sacri in un contesto sociale. Poi al-Liss wa-l-kilab (Il ladro e i cani, 1961), al-Summan wa-l-kharif (La quaglia e l'autunno, 1962), la raccolta di racconti Dunya Allah (Il mondo di Dio, 1963) e Tharthara fawq al-Nil (Chiacchierata sul Nilo, 1966), in cui si sviluppano conversazioni metafisiche al limite fra realtà e fantasia, accanto a commenti critici sullo stato intellettuale dell'Egitto. E' del 1967 Miramar, dove viene descritto il disgregato clima politico e sociale che precede la sconfitta della 1967. Seguono Khammarat al-qitt al-aswad (La taverna del gatto nero) e Taht al-mizalla (Sotto la pensilina) del 1969, dal simbolismo esasperato, e al-Maraya (Gli specchi), del 1970, con continui riferimenti alla guerra del 1967. Nel 1975 pubblica Hikayat haratina (Storie del nostro quartiere), il suo romanzo più autobiografico. E' rimasto sempre fedele alla lingua classica. Nel 1957 gli era stato conferito il premio di Stato per la letteratura. Giunto a superare i quaranta titoli, con la motivazione "attraverso le sue opere ricche di sfumature - talora intensamente realistiche, talora ambiguamente evocative - ha dato forma a una narrativa araba di portata universale" gli viene assegnato, primo autore d'espressione araba, il Nobel per la letteratura 1988.
NU`ÀYMA Mikha'ìl, letterato libanese (Biskinta 1889-1987). Di genitori cristiani, dopo gli studi elementari nel 1902 si trasferisce alla scuola magistrale russo-ortodossa di Nazareth (Palestina). Dal 1906 studia come borsista nel seminario di Poltava (Ucraina) e si familiarizza con la letteratura russa. Torna in Libano nel 1911 e alla fine di quell'anno parte per gli U.S.A. dove nel 1916 si diploma in Diritto e in Letteratura alla Washington University. Dopo aver servito nell'esercito statunitense, torna a New York e si dà al giornalismo legandosi agli scrittori e ai poeti dell'Emigrazione siro-libanese e in particolare a Giubran Khalil Giubran di cui curò una biografia. Dal sodalizio nasce al-Rabita al-qalamiyya (La lega degli scrittori) e la rivista al-Funun (Le Arti) che, diffusa nel mondo arabo, avrà un ruolo fondamentale nel processo di modernizzazione di quella letteratura. Colpito dalla morte all'estero di Giubran (1931), l'anno dopo decide di tornarsene a Biskinta. Nel 1961 consegue il premio del ministero libanese dell'Educazione nazionale per l'opera letteraria svolta. Lascia una trentina di opere fra poesia, narrativa e critica. Ponte fondamentale di collegamento fra varie civiltà egli sviluppa uno spirito aperto a ogni rinnovamento, contro la fissità della tradizione imperante nella letteratura araba. Fin dai suoi primi articoli di critica egli invita gli uomini di lettere a recepire la continua evoluzione del mondo di cui la letteratura deve prendere atto. L'opera al-Ghirbal (Il crivello, 1923) sancisce definitivamente il suo valore di critico. Il periodo americano vede fiorire una sua interessante produzione poetica, tanto nello stile tradizionale quanto in versi liberi, in cui enuncia le sue meditazioni sugli uomini, gli avvenimenti e le cose, tradendo sovente le sue tendenze mistiche. Tornato in Libano egli si volge fondamentalmente alla prosa e in particolare al racconto in cui si manifesta netta l'influenza dei narratori russi. Fondamentale, fra la sua ricca messe letteraria, la ponderosa autobiografia Sab`un (Settant'anni, 1959-60) che in un arabo semplice eppur elegante dispiega le esperienze della sua triplice vita e cultura.
SA`DÀWI Nawwàl, scrittrice egiziana (Il Cairo 1932). Compie gli studi primari e secondari in varie località egiziane seguendo il padre insegnante nei suoi trasferimenti. Si laurea in psicologia esercitandone la professione e dedicandosi nel contempo alla narrativa. Esordisce col romanzo Mudhakkirat tabiba (Ricordi di una dottoressa), in cui narra la rivolta di una ragazzina messa sempre in secondo piano rispetto al fratello, e la raccolta di racconti Ta`allamt al-hubb (Ho appreso l'amore), entrambi del 1961. Fra i vari titoli successivi, nel 1975 esce Imra'a `inda nuqtat al-sifr (Una donna al punto zero), sul tema della donna sfruttata dall'uomo. Precedentemente, nel 1972, aveva esordito nel saggio con al-Mar'a wa-l-gins (La donna e il sesso), di aspro spirito femminista. Nel 1981 viene imprigionata per tre mesi con l'accusa di reati politici. La traumatizzante esperienza viene trattata in Mudhakkirati fi sign al-nisa' (Ricordi del carcere femminile), del 1986, in cui tra l'altro critica il crescente integralismo islamico così penalizzante per la donna. Fra gli ultimi suoi lavori ricordiamo Suqut al-Imam (La caduta dell'Imàm) del 1987, altro esempio di romanzo politico, dalla trama complessa, con continui salti tra il reale e il fantastico e di spiccato contenuto simbolico con la morale che l'ingiustizia e l'oppressione continueranno a trionfare. Nel 1974 vince il Premio egiziano per il racconto e nel 1982 quello per l'amicizia franco-araba.
SÀLEH al-Tàyyib, romanziere sudanese (Merowe 1929). Dopo aver completato gli studi primari e aver appreso il Corano nel natio paese rurale, si trasferisce presso l'istituto secondario di Wad Sayyidna a nord di Omdurman. Ottenutone brillantemente il diploma si iscrive alla facoltà di Scienze dell'Università di Khartùm. Dopo due anni, non potendo attuare la sua intenzione di trasferirsi a Lettere, abbandona gli studi e passa all'insegnamento. Viene assunto dalla B.B.C. quale responsabile della rubrica teatrale della sezione araba e si stabilisce permanentemente a Londra tornando di tanto in tanto per vacanza o lavoro alla sua terra natale. Questi frequenti ritorni rivelano nello scrittore cosmopolita, che ha vissuto a Londra e a Parigi, la sua seconda natura di uomo profondamente radicato alle proprie origini, al Nilo sulle cui rive ha trascorso la prima parte della vita. Questo tema vien reso magistralmente nel romanzo che l'ha reso famoso dentro e fuori il Mondo arabo: Mawsim al-higra ilà al-shamal (La stagione della migrazione al nord), pubblicato a Beirut nel 1969, in cui il protagonista, un giovane sudanese emigrato in Inghilterra, dopo una prolungata e alienante esposizione ai modi di vita occidentali, sente il bisogno di ritornare a rifugiarsi nel calore della sua tribù per ritrovare la serenità dello spirito. L'opera, rappresentazione di un drammatico e tragico episodio dell'eterno incontro-scontro tra Oriente e Occidente, mostra una costante nella produzione letteraria di S.: la presenza dell'Islam popolare, combinazione di ortodossia e animismo che, contrapponendosi ai valori dell'Occidente, riesce a mediare tra tradizione e modernità, tra il villaggio e la città, tra musulmani osservanti e non. Anche nelle altre opere, due romanzi brevi e vari racconti, egli dà prova, in una lingua piana dal colore vernacolare, della sua tecnica raffinata applicata al bagaglio tradizionale delle storie locali.

Torna alla guida