NANEROTTOLE
- Tratto dal romanzo La pelle -

Curzio Malaparte



(…) Jack ed io andavamo spesso, insieme col capitano Jimmy Wren, di Cleveland, Ohio, a mangiare i taralli caldi, appena sfornati, in un forno del Pendino di Santa Barbara, quella lunga e dolce scalinata che dal Sedile di Porto sale verso il Monastero di Santa Chiara.
Il Pendino è un vicolo lugubre, non tanto per la sua strettezza, tagliato com'è fra gli alti muri, verdi di muffa, di antiche e sordide case, né per l'oscurità che vi regna eterna, anche nelle giornate di sole, quanto per la stranezza della sua popolazione.
Famoso è infatti il Pendino di Santa Barbara per le molte nane che vi abitano. Son così piccole, che giungono a stento al ginocchio di un uomo di media statura. Sono laide e grinzose, fra le più brutte nane che siano al mondo. Vi sono, in Spagna, nane molto belle, ben proporzionate nelle membra e nei lineamenti. E alcune ne ho viste, in Inghilterra, veramente bellissime, rosee e bionde, quasi Veneri in miniatura. Ma le nane del Pendino di Santa Barbara sono orrende, e tutte, anche le più giovani, hanno l'aspetto di antichissime vecchie, così avvizzito hanno il viso, così rugosa la fronte, così rade e scolorite le arruffate chiome.
Quel che più meraviglia in quel fetido vicolo, tra quell'orrida popolazione di nane, è la bellezza degli uomini: che sono alti, nerissimi d'occhi e di capelli, e hanno gesti lenti e nobili, la voce chiara e sonora. Non si vedono uomini nani, nel Pendino di Santa Barbara: il che porta a credere che i nani muoiano in culla, o che la brevità delle membra sia una mostruosa eredità toccata in sorte solamente alle donne.
Stanno quelle nane tutto il giorno sedute sulla soglia dei "bassi", o accoccolate su minuscoli sgabelli di fianco alle porte delle loro tane, gracidando fra loro con voce di rana. La loro brevità sembra enorme, in confronto con i mobili che popolano i loro oscuri antri: canterani, cassettoni, armadi immensi, letti che paiono giacigli di giganti. Per giungere a quei mobili, le nane si arrampicano sulle sedie, sulle panche, si issano a forza di braccia, aiutandosi con le spalliere degli alti letti di ferro. E chi sale per la prima volta gli scalini del Pendino di Santa Barbara si crede Gulliver nel paese di Lilliput, o un familiare della Corte di Madrid fra i nani del Velazquez. La fronte di quelle nane è scavata delle stesse profonde rughe che solcano la fronte delle orribili vecchie di Goya. Né paia arbitraria questa memoria spagnola, poiché spagnolesco è il quartiere, tutto ancor vivo dei ricordi della lunga dominazione castigliana su Napoli, e un'aria di vecchia Spagna v'hanno le strade, i vicoli, le case, i palazzi, gli odori densi e dolci, le voci gutturali, quei lunghi, musicali lamenti che si chiamano e si rispondono da balcone a balcone, e il canto roco dei grammofoni dal fondo degli oscuri antri.
I taralli sono ciambelline di pasta dolce. E il forno che, a metà della gradinata del Pendino, sforna ad ogni ora i taralli odorosi e croccanti, è famoso in tutta Napoli. Quando il fornaio immerge la lunga pala di legno nella bocca rovente del forno, le nane accorrono tendendo le piccole mani, scure e grinzose come mani di scimmia: gridando forte con le loro vocine rauche, afferrano i delicati taralli, caldi e fumanti, e si spargono arrancando per il vicolo a deporre i taralli entro vassoi di ottone lucente, poi siedono sulla soglia dei loro tuguri, col vassoio sulle ginocchia, in attesa dei compratori, cantando "oh li taralli! oh li taralli belli cauri". L'odore dei taralli si diffonde per tutto il Pendino di Santa Barbara, le nane accoccolate sulle soglie gracidano e ridono fra di loro. E una, forse è giovane, canta affacciata a un'alta finestrella, e sembra un grosso ragno che sporga la testa pelosa da una crepa del muro.
Nane calve e sdentate vanno su e giù per i viscidi scalini, appoggiandosi a bastoni, a grucce, traballando sulle gambine corte, alzando il ginocchio fino al mento per salire sul gradino, o si trascinano carponi, mugolando e sbavando: paiono mostriciattoli di Breughel o di Bosch, e un giorno una ne vedemmo, Jack ed io, seduta sulla soglia di un antro con un cane malato in braccio. In quel grembo, fra quelle braccine, il cane pareva un gigantesco animale, una mostruosa belva.
Venne una sua compagna, e tutte e due afferrato il cane malato, l'una per le gambe posteriori, l'altra per la testa, con grande fatica lo portarono dentro il tugurio, e pareva trasportassero un dinosauro ferito. Le voci che salgono dal fondo degli antri son voci stridule, gutturali, e i pianti degli orrendi bambini, minuscoli e grinzosi come vecchie bambole, sembrano miagolii di gattino morente. Se entri in uno di quei tuguri, vedi trascinarsi sul pavimento, nella fetida penombra, quei grossi scarafaggi dalla testa enorme, e devi stare attento a non schiacciarli sotto la suola delle scarpe.
Talvolta vedevamo alcune di quelle nane salire gli scalini del Pendino, conducendo per un lembo dei calzoni giganteschi soldati americani, bianchi o neri, dagli occhi imbambolati, e spingerli dentro le loro tane. (I bianchi, grazie a Dio, erano ubriachi.) Io fremevo, immaginando gli strani accoppiamenti di quegli uomini enormi con quei mostriciattoli, sopra quegli alti, immensi letti.
E dicevo a Jimmy Wren: "Mi fa piacere vedere che quelle nanerottole e quei vostri bei soldati si vogliono bene. Non fa piacere, anche a te, Jimmy?".
"Naturalmente, fa piacere anche a me" rispondeva Jimmy masticando rabbiosamente il suo chewing-gum.
"Credi che si sposeranno?" dicevo.
"Perché no?" rispondeva Jimmy.
"Jimmy è un bravo ragazzo" diceva Jack "ma non bisogna provocarlo. Piglia subito fuoco."
"Anch'io sono un bravo ragazzo" dicevo "e mi fa piacere pensare che siete venuti voi dall'America a migliorare la razza italiana. Senza di voi, quelle povere nane sarebbero rimaste zitelle. Da soli, noialtri poveri italiani non ce l'avremmo fatta. Meno male che siete venuti voi dall'America a sposarvi le nostre nane."
"Sarai certamente invitato al pranzo nuziale" diceva Jack "tu pourras prononcer un discours magnifique."
"Oui, Jack, un discours magnifique.
Ma non credi, Jimmy" dicevo "che le autorità militari alleate dovrebbero favorire i matrimoni fra quelle nane e i vostri bei soldati? Sarebbe un gran bene che i vostri soldati si sposassero con quelle nanerottole. Siete una razza d'uomini troppo alti. L'America ha bisogno di abbassarsi al nostro livello, don't you think so, Jimmy?"
"Yes, I think so" rispondeva Jimmy guardandomi di traverso.
"Siete troppo alti" dicevo "troppo belli. È immorale che vi sia al mondo una razza d'uomini così alti, così belli, così sani. Mi farebbe piacere che tutti i soldati americani si sposassero con quelle nanerottole. Quelle Italian brides avrebbero un enorme successo, in America. La civiltà americana ha bisogno di aver le gambe più corte."
"The hell with you" diceva Jimmy sputando per terra. "Il va te caresser la figure, si tu insistes" diceva Jack.
"Sì, lo so. Jimmy è un bravo ragazzo" dicevo, e ridevo fra me.
Mi faceva male ridere così. Ma sarei stato felice, veramente felice, se tutti i soldati americani fossero un giorno tornati in America a braccetto con tutte le nanerottole di Napoli, d'Italia, e d'Europa. (…)

(Brano tratto dal romanzo La pelle, Mondadori, Milano, 1978.)


Curzio Malaparte

 

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