NON BASTA PIU’ FARE O PENSARE BISOGNA APPARIRE, SE NO SCOMPARI

 

di Marshall Blonsky e Edmundo Desnoes

 

 

Come accade per i prodotti, anche l’identità culturale non è più destinata a durare nel tempo:né la qualità né l’originalità garantiscono più un posto al sole. Vivere nella riservatezza significa essere sconosciuti, cessare di esistere. Un mondo incerto e incostante ci ha trasformati in schiavi della velocità, in ombre fuggevoli. Non è più sufficiente vivere, è necessario dimostrarlo. Ogni giorno.

 

 

IDENTITAS FUGIT. “Se un uomo riuscisse a escogitare un richiamo più efficace, anche se edificherà la sua casa nella foresta il mondo si aprirà una strada fino alla sua porta”, scriveva Waldo Emerson. Era il 1855, molto prima dello sviluppo della pubblicità e del bisogno quasi universale di diversificazione dei prodotti. Ora il sentiero di quell’uomo sarebbe soffocato dalle erbacce e la sua porta coperta di polvere e rampicanti. Oggi non è la qualità di un oggetto né l’originalità delle idee a garantire un posto al sole; è l’immagine che costruisce l’identità. Non soltanto, l’immagine deve essere costantemente rinnovata, anche se ai nostri occhi è ancora utile.

Per secoli, i prodotti e l’identità culturale erano destinati a durare  nel tempo, a sopravviverci. Oggi ogni nuovo prodotto tende a essere accantonato quando è ancora perfettamente funzionante. Quanti lamentano il fatto che i prodotti del capitalismo hanno una durata limitata, una intrinseca obsolescenza, non devono fare altro che girare le  strade dell’Havana, dove si vedono circolare ancora Chevrolet, Ford e Studebaker degli anni Cinquanta, come pezzi viventi di antiquariato. E se potessimo entrare in molte case, scopriremmo che da quarant’anni i frigoriferi Frigidaire e i condizionatori Norge hanno continuato a refrigerare alimenti e corpi.

L’intrinseca obsolescenza è diventata un mito. I prodotti devono essere messi da un canto – sostituiti a quelli nuovi – per il benessere dell’economia e la rinnovata identità dei consumatori. Siamo ciò che possediamo – ma ciò che possediamo deve avere i caratteri dell’hic et nunc. L’economia, spinta dai media, ci impone una nuova identità ogni mese, ogni giorno.

 

Quando fece la sua comparsa, il pc sembrò essere l’avanguardia dell’era dell’informazione. Tuttavia, nel giro di una generazione elettronica ecco approdare sul nostro grembo il computer portatile, e ora dobbiamo entrare nel nuovo millennio dotati di un palmare. Per non essere esclusi dal gioco è necessario possedere tutti e tre gli apparecchi. Ogni nuovo programma  di computer che arriva sul mercato ci invecchia, ci accantona: se non compri un Premiere 6.o non esisti più, sei un antiquato video editor. Che tu lo voglia o meno, poco importa, lo devi possedere. Vogliamo controllare la realtà, ma è la realtà a controllare noi. Domani  è già ieri.

Ciò vale non soltanto per la produzione industriale, per le cose, ma anche per la produzione intellettuale. In America abbiamo consacrato la tradizione del nuovo. Ciò che abbiamo conquistato ieri, domani è già privo di valore. Ogni mattina il miliardario si sveglia e deve considerarsi povero per restare in lizza nella corsa sfrenata al successo economico. E lo stesso accade per lo scrittore e l’artista. Eric von Stroheim, autore di una serie di capolavori negli anni Venti, fu completamente dimenticato come regista in America, e negli anni cinquanta divenne soltanto un personaggio secondario, poco più di una comparsa, nel film Viale del tramonto. In Europa, dove la tradizione è ancora la regola, lo si sarebbe visto sedere, a Parigi, ai Deux Magot insieme con Sartre, e sarebbe stato immediatamente riconosciuto e acclamato come regista di Rapacità e Femmine folli.

Edmundo, ad esempio, produsse il romanzo e il film Memorias del subdesarollo, come la maggior parte dei suoi scritti, tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta. Il film e il romanzo sono spesso citati ancora oggi in Europa e nell’America Latina, mentre negli Stati Uniti Edmundo è una specie di fossile, quasi uno sconosciuto; e tuttavia egli sente, e ne è confortato, che la sua personalità, la sua identità sono in ciò che ha scritto, in ciò che ha realizzato negli anni passati, non in quello che gli capita di fare oggi.

Marshall, invece, essendo americano, e sebbene sia autore di due rispettabili libri di semiotica (uno dei quali è un bestseller accademico), sente la necessità di sfornare una pubblicazione al mese, di concedere interviste alla stampa ogni settimana e di presidiare periodicamente varie conferenze universitarie. Ogni settimana qualche rivista lo chiama per qualche commento: ciò significa che egli è ancora in gioco, che è vivo. Recentemente è stato intervistato del “ New York Times” che gli ha chiesto un commento sul cancro alla prostata del Sindaco Rudi Giuliani, sulla sua impotenza, i suoi problemi gastrointestinali e sull’amante da lui invitata nella residenza di New York City. Qualunque cosa per comparire ogni settimana sotto le luci della ribalta. Marshall si sveglia ogni mattina con la fastidiosa sensazione di essere uno sconosciuto, e con la consapevolezza che se non sarà  citato o pubblicato sarà come se fosse morto.

Due colleghi, due approcci diversi all’identità: uno ancora radicato nella tradizione del passato, l’altro radicato nella tradizione del nuovo.

 

L’epoca contemporanea vede una produzione e un consumo incessanti di identità culturale. Nel nuovo secolo, questo fenomeno ha avuto una crescita esponenziale a seguito della velocità e del costante rinnovamento degli oggetti e delle attività e con Internet ha raggiunto un crescendo vertiginoso. Nel giro di pochi minuti si possono inviare immagini, motivi musicali, affermazioni banali e conclusioni filosofiche, e ricevere nello stesso tempo avvisi pubblicitari di odontoiatria cosmetica. Non è possibile concentrarsi, occorre svolgere velocemente una pluralità di compiti attraverso collegamenti ipertestuali. Internet è diventato il luogo dove chiunque può comunicare con chiunque altro mediante personalità multiple, assumendo differenti identità sessuali, culturali, economiche e generazionale.

I prodotti, le attività, i ruoli proliferano senza controllo. Non solo sono aumentati quantitativamente, ma si pervadono reciprocamente, si trasformano l’uno nell’altro: i ruoli di genere, politici e sessuali, ciò che è pubblicabile  e ciò che non lo è, la moda della borghesia e l’abbigliamento degli straccioni. Il sistema gerarchico della cultura occidentale è diventato una struttura instabile e amorfa. Una delle abolizioni più palesi è quella del confine tra pubblico e privato. Insegniamo alla New York University e non appena arriviamo a casa, stanchi, gli studenti hanno già invaso il nostro appartamento con richieste via e-mail  cui bisogna rispondere immediatamente. La classe si è installata nelle stanze del nostro appartamento.

I giochi sessuali cui Clinton indugiava con Monica nella sala Ovale costituivano un’irruzione del privato nella carica pubblica più alta della terra. Più di recente, a New York City, il sindaco Giuliani, considerato un tradizionale macho italoamericano, è stato costretto a rivelare le proprie vulnerabilità. Con una causa di divorzio in corso, Giuliani invitò la sua amante negli spazi pubblici di Gracie Manson, la residenza in città del sindaco. La moglie lo denunciò, affermando che l’amante violava il suo spazio coniugale. Seguendo l’esempio di Clinton, Giuliani dichiarò che con quella donna non vi era sesso, poiché lui era diventato impotente a seguito della pesante terapia di radiazioni cui si era sottoposto per curare un cancro alla prostata. La sua immagine si scisse: non era più soltanto  duce temuto e autoritario, ma anche animale ferito e sentimentale. Giuliani, rivelò addirittura in una conferenza stampa che di notte, solo in un angolo della propria residenza ufficiale, era stato costretto a pulire il proprio vomito. Così il privato diventa pubblico e il pubblico  diventa privato.

Le persone ambiziose e creative sono state costrette ad abbandonare il confronto della privacy. Vivere nella riservatezza significa essere sconosciuti, cessare di esistere; si è costretti a produrre immagini, idee, identità sempre nuove. Greta Garbo potè concedersi il lusso di ricercare ossessivamente la privacy perché poteva contare su un’immagine durevole nel “mondo esterno”. Bramava la riservatezza perché la velocità non aveva cancellato la sua immagine, il tempo l’aveva semplicemente esaltata. Oggi la Garbo non avrebbe bisogno  di privacy, non potrebbe più pensare di “scomparire” per “ restare”, perché nessuno si ricorderebbe di lei. La privacy diventa importante solo per quanti hanno quotidianamente successo come persone pubbliche. Nella nostra era frenetica dobbiamo costantemente produrre e riprodurre la nostra immagine pubblica.

Prince e Madonna, ad esempio, non sono mostri; per sopravvivere hanno dovuto reinventare se stessi parecchie volte. Le innumerevoli pettinature di Hillary Clinton fanno parte della sua costante ri-creazione. Il ruolo di first lady non è sufficiente; ora è senatore. E i suoi abiti devono continuare a cambiare da una tonalità pastello all’altra, per scongiurare la caduto nell’oblio. Hillary crea segni di se stessa e i segni, per essere tali, devono essere differenziati, Il marito, Bill Clinton (il cui ricordo va già scomparendo), che era una presenza così importante in America e nel mondo, che riempiva i notiziari con le sue politiche e le sue buffonate, proprio alla fine della sua carica cercò di generare qualche nuovo segno prendendo in affitto inaspettatamente un ufficio ad Harlem e concedendo l’indulto a un finanziere sospetto, Marc Rich. In questo modo riuscì a sopravvivere alcune settimane dopo la fine del suo mandato presidenziale. Ma non durò a lungo. Ora Bill è entrato, non sappiamo se per sempre o soltanto per qualche tempo, cioè fino a quando non rifarà qualche cosa di eclatante, nelle schiere di sconosciuti, sebbene sia ancora alto quasi due metri, continui a mangiare schifezze e a occhieggiare le signore. Ora però agisce in privato, vale a dire è uno zero.

Siamo animali politici, come affermava Aristotele; uomini e donne della polis. Siamo costruiti dagli occhi dell’altro. Il ricordo delle cose passate è anch’esso qualcosa che appartiene al passato. Non ci è consentito, come Proust, indugiare esteticamente nel tempo che fu. Dobbiamo costantemente inventare  un futuro. Oggi a ogni batter di ciglia dobbiamo rinnovare il nostro paesaggio culturale. E’ quasi come la legge visiva che rende possibile il cinema. L’intervallo tra i battiti di ciglia – le inquadrature – non è percepito perché produciamo, per così dire, ventiquattro immagini al secondo. Una persona è viva solo perché, mutantis mutandis, può produrre innumerevoli immagini nel corso della propria esistenza.

E’ per questa ragione che una nostra studentessa, una giovane bionda art director, si ingegna per sopravvivere cercando, tra le altre cose, di far apparire ogni mese la propria immagine su “Vogue”, mentre presenzia all’ultimo evento sociale o culturale. “Cerco di non indossare mai due volte lo stesso vestito a un evento”, ha dichiarato la ragazza nel corso di una discussione privata con i nostri studenti su Giorgio Armani. Un altro studente, dal canto suo, confessa che poteva permettersi solo una maglietta dell’Emporio Armani, che indossava sempre,

Lei è conosciuta, lui uno sconosciuto.

Un cambiamento di immensa portata ha modificato le nostre identità. Il singolo  Io unificato si è scisso. Ogni identità che è in noi ha vita breve. Per secoli, la nostra personalità è stata controllata da valori religiosi, imperativi morali, progetti politici, che richiedevano impegno e coerenza a lungo termine. Non è più così. Queste forze si sono indebolite, hanno cessato di operare con implacabile autorità.

L’affievolirsi della religione, la crisi della repressione sessuale maschile, il crollo élites, la fine delle mitologie politiche (comunismo contro capitalismo), la durata irrisoria dei prodotti industriali, che siano vestiti, automobili o elettrodomestici, e persino l’architettura – tutto ciò ha determinato quella che definiamo era dell’incertezza, e di conseguenza un’acuita prontezza nel coglier l’attimo, ed enormi mutamenti.

Il mondo della fedeltà a un coniuge, a una confessione religiosa, a una ideologia politica, il mondo della durata nel tempo del nostro frigorifero e del valore dei gioielli di famiglia, quel mondo non è più con noi. Quello che incombe ora, che ha frammentato la nostra psiche e ci ha reso schiavi della velocità, ci ha trasformato in fantasmi, in ombre fuggevoli, infinitamente prone al consumismo. Il vuoto creato dal crollo del vecchio deve ancora essere riempito. Da chi? Dalle uniche due forze residue di un certo peso:l’economia e l’istinto sessuale. Consideriamo per esempio la natura fluida del ciberspazio in cui le identità sono molteplici, il linguaggio è privo di repressioni, le autorità deboli o assenti. E’ un mondo incerto in cui gli interessi economici e gli impulsi sessuali sono l’elemento cruciale. Il carattere democratico della rete ha prodotto una frammentazione,una giungla caotica.

Il mese scorso Marshall ha fatto il moderatore in una conferenza on line sul “consumismo spirituale”, l’idea secondo cui il consumo non è materiale ma spirituale, non fisico ma ideativo. La nostra conclusione,in qualità di osservatori del dibattito internettiano, è che tutti i partecipanti erano avidi, isolati  e dimostravano solo all’inizio un qualche interesse per le idee. Tutti rivelavano modeste doti intellettuali, e alla fine i loro appetiti presero il sopravvento sotto forma di sessualità o di scatologia, che sono la stessa cosa. Il moderatore era considerato di volta in volta un tenutario di harem, un seduttore, un sadico elargitore di briciole:in breve, i partecipanti rifiutavano di accettare l’autorità. Perché? Perché Internet non dà titoli come un corso di studi, né ricompense sotto forma di pubblicazioni, né lavoro, né una posizione nel mondo. L’unico piacere che i partecipanti potevano avere era il piacere del testo, che nessuno sembrava gradire. Poiché né le idee né il linguaggio davano soddisfazione, la componente animale finiva per prendere il sopravvento. I partecipanti cominciarono a parlare dei loro spesso del tutto insignificanti incontri personali, a discutere delle relative abilità nel dar baci, delle doti fisiche delle ragazze, di altre conferenze più succulente come planetout.com (un sito per gay e lesbiche) e venne sollevato persino l’argomento dei movimenti intestinali. Quando non esiste nessuna autorità, né repressione, né moralità, il sesso la fa da padrone.

Un altro mostro latente nell’universo di Internet è il profitto economico. Ogni sito sembra avere lo slogan, uno spazio di ammiccanti avvisi pubblicitari che ci allettano a un acquisto immediato o ci conducono attraverso un labirinto di links che terminano così spesso in un prodotto da comprare nelle immagini di bellezze asiatiche, bionde procaci o transessuali. La pornografia su Internet è un successo commerciale, a differenza dei dot com. che si sono rivelati un fallimento. Ogni sito ci alletta con video o foto gratuite, assicurandoci che non dobbiamo fare altro che registrarci, assumere il nome con cui accettiamo di essere considerati utenti, scegliere e confermare una password; e alla fine siamo intrappolati, risucchiati in un sito che ci chiede la carta di credito. Ebay, un sito dove possiamo comprare e vendere ogni cosa, dai guanti da baseball alle vecchie lampade, è uno dei pochi siti di successo di Internet. Amazon.com, forse perché vende libri e altri articoli di intrattenimento confezionati, tira avanti con difficoltà.

I fornitori di Dsl, il sistema che collega permanentemente la nostra linea telefonica a Internet in modo  più rapido, ci controllano in modo invisibile, trasformandoci in acquirenti on line sempre disponibili. Essi infatti offrono a prezzi convenienti (85 dollari al mese) solo un Adsl, ovvero un Dsl asimmetrico, molto veloce nello scaricare e molto lento nel caricare. Nessuno vuole caricare la nostra produzione: tutti vogliono che scarichiamo, costantemente, le loro offerte.

Le forze che si affermano e lottano per la supremazia sono due: la prima è costituita dalle pulsioni individuali all’espressione, al potere e al sesso. La seconda consiste nell’ambizione economica delle società commerciali di appropriarsi del ciberspazio per trasformarlo in un enorme centro di profitto. Un’epifania di questa lotta è la polemica tra i movimenti per il software gratuito e il libero accesso al codice sorgente da un lato  e Microsoft e altri giganti dei brevetti esclusivi in Internet.

Il gruppo favorevole al libero accesso al software sostiene che gli utenti dovrebbero essere liberi di far girare, copiare, distribuire, studiare, cambiare e migliorare il software che utilizzano regolarmente. Ciò garantirebbe il progresso, il perfezionamento e l’adattabilità della maggior parte dei programmi di Internet, dei personal computer, dei computer portatili e di quelli palmari. Analogamente, il movimento per il libero accesso al codice segreto di un programma chiede che esso sia accessibile a chiunque voglia manipolarlo e, si spera, migliorarlo. Sentendosi minacciata dal movimento nel timore di perdere il potere di escogitare programmi per manipolare l’utente, Microsoft ha reagito con forza. E’ il potere dei programmatori di Microsoft contro i singoli utenti. Microsoft si appella alle norme sulla “proprietà intellettuale” e soprattutto insiste sul fatto che questi gruppi  ribelli sono deleteri per gli affari. La sua concessione minima, che si risolve in un trucco ideologico, consiste nel consentire ad alcuni programmatori di osservare – ma non copiare – una parte del suo codice sorgente.

 

L’esito di questa lotta tra individuo e società commerciale è aperto: non sappiamo se sarà l’individuo ad affermare la propria libertà o se saranno i “programmi” della società ad affermare la propria esistenza. Il problema è se l’individuo che desidera affermare il proprio Es, Io o Super-Io userà la conquistata libertà per creare un nuovo, ricco complesso di identità o se le società commerciali, assistite dai loro programmatori e progettisti, nonché dalla loro avidità di profitto, si insedieranno nel vuoto lasciato dal crollo del passato.

Se ci sarà una ricchezza ecologica su Internet o se ogni cosa sarà rasa al suolo, annullata, per produrre solo pecore, è questa la posta in gioco. Noi, gli autori, che viviamo nelle viscere del capitalismo millenario, temiamo che vincerà un vecchio detto spagnolo:piensa mal y acertaràs( pensa il peggio e sarai nel giusto). In Italia direste: a pensar male non si sbaglia.

 

 

 

- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -

 

 

 

(Tratto dalla rivista Telèma, attualità e futuro della società multimediale, Fondazione Ugo Bordoni, anno VII, autunno 2001, Traduzione di Margherita Zizi)