NELLA CITTÀ DELL’IRIS

 

Marcello Vannucci

 

 

 

 

Amore e morte

 

 

Si può fare l’amore con un fantasma? Potrebbe,  l’inchiesta interessare i proprietari di un qualche castello dell’antica Scozia, ma qui riporta in scena una storia e un nome, cari ambedue a tutta una letteratura popolare: Ginevra degli Amieri e la sua più che pianta scomparsa dalla terra. E verità e leggenda s’intrecciano senza alcun risparmio in un racconto tramandato da secoli; una vicenda che esalta il nome di una donna che per amore sfida persino la legge, dando vita ad una sorta di fiction che incanterebbe un regista della nostra stagione.

La storia si snoda in più puntate: non si è giuocato parlando di sceneggiato, anche perché i personaggi che la recitano sono molti e poi c’è il coro della gente all’intorno, quella che si muove nelle strade di una Firenze del tardo 1300: uomini e donne impegnati nel lavoro, ma sempre pronti a vivere come proprio ogni avvenimento che commuova gli animi. Ginevra è poi di una famiglia di mercanti noti ed anche ricchi, che aveva la propria residenza nella zona del Mercato Vecchio, quella che sarebbe stata distrutta dalla follia di un tardo Ottocento fiorentino, nel nome di risanamento, ma effettivamente per dare vita ad una delle più vergognose speculazioni edilizie. Tornando a Ginevra diciamo subito che era bellissima ed anche decisa a scegliersi l’uomo da amare, che nel suo caso si chiamava Antonio Rondinelli. Bella lei, bello lui; intelligenti ambedue: una coppia perfetta, che però vede distrutta la speranza di vivere assieme dalla scelta del padre di Ginevra di darla in moglie a Francesco Agolanti, questo di una famiglia ricchissima, assai più che non quella dei Rondinelli. Si ripeteva la storia più che risaputa di genitori alla ricerca di legarsi, attraverso vincoli matrimoniali, a famiglie importanti per accrescere il loro personale potere. Nel nome, tutto questo, di note care ai romanzi di amore contrastanti.

A questo punto, se Ginevra ed Antonio avessero deciso di fuggire, la storia avrebbe anche potuto dirsi conclusa. Ecco invece che Ginevra è costretta ad accettare quel marito che le viene imposto ed a vivere con lui sognando che al suo posto ci sia il suo Antonio. Che nel frattempo ha giurato che mai si legherà ad un’altra donna. E le notti di lei, nel letto di un marito non amato, e quelle di lui che la pensa in questa condizione, divengono un tormento per i due giovani. Tanto che, quando in un’epidemia di peste Ginevra morirà, si potrebbe anche pensare che così abbia avuto fine il suo tormento.

Ora Francesco Agolanti: il marito, ed i genitori di lei vogliono per Ginevra un funerale che sia ricordato. E tutta Firenze piange, assieme ad Antonio Rondinelli che non nasconde la sua convinzione che la giovane morta ad altri non sia appartenuta se non a lui. E che, anche se è stata costretta ad entrare nel letto di un altro, soltanto a lui può avere pensato. Rifiutando, almeno nel cuore, di essere posseduta da un marito impostole dall’alto.

Il funerale di Ginevra si mosse da via delle Oche, dov’era la casa degli Agolanti e per via dei Calzaioli arrivò al Duomo. Antonio Rondinelli è, piangente, fra la folla, ma non regge quando il corpo dell’amata viene calato nella tomba degli Amieri, che era all’interno della chiesa, e cade svenuto a terra. Erano in molti a sapere come Ginevra gli fosse stata negata in moglie e da quale grande amore lei ed Antonio fossero uniti.

Antonio fu soccorso ed aiutato a tornare a casa. Era dunque tutto finito? Ma anche qui, in questa sorta di romanzo d’appendice, ci sarebbero invece state altre puntate a commuovere l’animo dei lettori.

Ed ecco infatti, nella notte che seguì al giorno in cui era stata sepolta, che Ginevra si sveglia da quella  sua morte apparente e, sia pure terrorizzata, riesce con grande sforzo a sollevare il coperchio della tomba non ancora murato. Ed ora nelle tenebre di una Firenze notturna, vestita  di quei bianchi veli con cui era stata sepolta, giunge sfinita fino alla porta della casa del marito e bussa disperatamente. L’Agolanti si affaccia e terrorizzato implora quello che egli crede un fantasma, di tornare in quel mondo al quale conduce la morte. A questo punto Ginevra spera di avere migliore accoglienza nella casa dei suoi genitori, ma anche qui: da una finestra, la madre implora quel fantasma  che è nella strada di riprendere il cammino dell’oltretomba. Non resta a Ginevra che un’ultima speranza, ed eccola alla porta della casa dei Rondinelli, nelle braccia di Antonio che si è precipitato ad accoglierla. Fantasma o meno: è come vedere realizzata la più segreta delle speranze. Ed è sempre Antonio che chiama in aiuto la madre e le sorelle e Ginevra può finalmente riposare in un letto. Un riposo tutt’altro che eterno, perché è lì che la fanciulla riacquista le sue forze ed è lì che qualche notte dopo accoglie fra le sue braccia quell’Antonio da lei sempre amato. E finalmente conosce cosa sia l’amore: così annota uno scrupoloso cronista del tempo.

Dei due amanti riuniti si sa presto in Firenze. Monaci, suore e preti gridano al miracolo. Non così Francesco Agolanti, il marito, che si rivolge alla magistratura, perché Ginevra torni nella sua casa. Lei però si difende con tutte le sue forze e con grande coraggio: è stata respinta dal marito e dai genitori come morta, e morta vuole restare per loro. Visto anche che lei è stata dichiarata morta ufficialmente e sepolta come tale. Il resto: miracolo od altro, riguarda soltanto lei. Ed anche l’amatissimo Antonio. E la magistratura fiorentina le dà ragione: è una “nuova” Ginevra quella che è nelle braccia di Antonio. Così accade e tutta Firenze commossa applaude.

E vissero felici e contenti: questo le cronache non ce lo riferiscono, ma chi pensa che si tratti di una storia non vera, sbaglia. Troppe sono le fonti scritte che ce ne parlano. Questa volta si può dirlo: la morte è stata alleata dell’amore.

 

 

 

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Guardati da Cassandra

 

 

 

Un nome storicamente pericoloso: un personaggio che annunci in anticipo sciagure è più che scomodo. Ma la Cassandra di cui ora parliamo le sciagure le porta con sé e le distribuisce a piene mani, anche se forse va perdonata visto che insieme ha saputo offrire, e senza risparmio, anche molte gioie. Così come sa e può fare una donna giovane e bella, che abbia deciso che essere di un solo uomo rende la vita malinconica.

Alessandra: questo è il suo vero nome, è sposata con un ricco mercante, ricco ma anziano, inadatto a far felice una giovane donna più che esuberante. Che i denari ormai li aveva trovati nella casa del marito, ed ora aveva assoluto bisogno di amore. E parrebbe essere stata lei che all’amore, ha istruito Francesco de’Medici poco più che quindicenne, per poi innamorarsi di uno della famiglia Cavalcanti: Giuliano. Che è destinato ad una triste fine, ucciso come sarà, da tre uomini che l’assaltano mentre esce nottetempo dal palazzetto dei Bonciani in via delle Terme. Si era sospettato che fosse stato il marito di lei ad assoldare dei bravacci, ma non era facile provarlo e i Cavalcanti, che avevano cercato di far luce sulla morte del loro congiunto, avevano dovuto arrendersi al fatto che non c’erano indizi sufficienti per incolpare il Bonciani.

Chi pensi che Cassandra possa essersi arresa, dopo la tragica morte del Cavalcanti, si sbaglia: poco tempo dopo eccola infatti che accoglie nel suo ospitale letto un altro bel giovane: Vincenzo Servigi. Era una relazione già prima avviata, ma che era stata interrotta, dopo che il giovane amante si era sposato, per poi ora riprenderla con uguale entusiasmo. Ma ecco che Vincenzo teme per la propria vita; ha ricevuto minacce e chiede alla magistratura di potere girare armato: è il marzo del 1568. Lui cessa di incontrarsi con Cassandra, con lei che disperatamente lo cerca. Ma  anche vogliono incontrarlo certi sicari, pagati dai Bonciani, che una notte l’assalgono e lo feriscono con una pugnalata. E gli sarebbe andata ancora peggio, se non avesse trovato riparo in una stanza in via delle Terme, che serviva da bottega. Ora la magistratura interviene ed avverte il Bonciani e i suoi parenti che se il Servigi fosse stato di nuovo assalito, sarebbero stati ritenuti loro i colpevoli.

Cassandra ora è rimasta vedova – è trascorso poco più di un anno dall’agguato al Servigi – e vuol vivere come meglio le pare, ma sono i parenti del marito che vogliono che il lutto vada rispettato e che lei si renda conto che la sua condotta li rende ridicoli. Ed in particolare a voler questo sono certi nipoti dello scomparso: i Ricci, gente ricca e nobile. Ed ecco un fatto nuovo che li riempie d’ira: Cassandra ha intrecciato una relazione amorosa proprio con uno più che chiacchierato a Firenze: si tratta di Piero Buonaventuri, il marito di Bianca Cappello. Ed è una storia che pare abbia messo salde radici.

Per i Ricci il muoversi contro Piero è però cosa resa difficile dal fatto che quello gode della protezione di Francesco de’Medici che vuol tenere quieto quello che in Firenze chiamano “corna d’oro”, visto quanto gli frutta che sua moglie sia l’amante del Medici. Ed è grazie a ciò che Piero è convinto di essere intoccabile, assieme a Cassandra che ormai lo incontra  nella sua casa molte notti della settimana, facendosi beffe dei parenti sempre più inferociti nei suoi confronti. Piero è poi come se, in questo rapporto con lei, dicesse al mondo che, in cambio d’una moglie bella che ha perduta, la sorte gli ha concessa un’amante altrettanto bella.

L’uccisione del Buonaventuri avrebbe rappresentato però un caso clamoroso, che non avrebbe giovato né a lui, né a Bianca; così pensa Francesco che, tramite l’amante, chiede a Piero di lasciare per un po’ di tempo Firenze, ricevendone un no, rispettoso, ma senza appello.

E non bastandogli quello, il 26 di agosto di quel 1572, mese ed anno nei quali orami il contegno del Buonaventuri si era fatto ancora più provocatorio nei confronti di quei parenti di Cassandra, ecco che il marito di Bianca compie un gesto da irresponsabile.

È il pomeriggio, ed uno dei Ricci: Ruberto, è sul ponte di Santa Trinita con vicino degli amici, quando vede venirgli incontro il Buonaventuri, che gli grida che lui si godrà Cassandra quando e come vuole, e per dare ancora più effetto alla sua provocazione, gli punta sul petto la canna di un archibugio. Piero con questo gesto insensato ha compromesso la sua posizione; era stato infatti autorizzato, considerato che avrebbe potuto essere aggredito, a portare delle armi, ma per difendersi, non per assalire.

Di questo si lamenta Ruberto Ricci con Francesco de’ Medici, che lo riceve proprio il pomeriggio di quello stesso giorno. Il Buonaventuri sta disonorando la famiglia di Cassandra, egli che già si stava vantando in giro di andare a letto con la donna, e di trovarla pronta a soddisfarlo quando e come lui desidera, ora ha aggiunto alla sua sfrontatezza le minacce contro il Ricci, gridando che nessuno può toccarlo, neppure se andrà a riferirne al principe.

Non si conosce cosa abbia risposto Francesco, ma si sa invece cosa accadde nelle prime ore del giorno che seguì: il 27. È il Buonaventuri che esce  dalla casa di Cassandra e si avvia verso via Maggio.

È armato di tutto punto e si fida di saper usare la spada ed anche quell’archibugio che ha con sé, un’arma veramente micidiale negli scontri ravvicinati. Chi è intanto in agguato sa che lui compie sempre lo stesso tragitto: dopo via delle Terme, attraversa l’Arno sul ponte di Santa Trinita e poi da via del Presto a piazza Santo Spirito, entrando nel palazzo, che ha la sua facciata principale su via Maggio, da una piccola porta di servizio in Borgo Tegolaio. Quella notte è appena arrivato al ponte Santa Trinita che viene assalito da un gruppo di armati: cinque probabilmente. Piero ha con lui un servo che dovrebbe fargli da guardia del corpo, ma minacciato di morte fugge via; il Buonaventuri viene ferito, ma crede di avere messo in fuga i suoi assalitori Si illude; lo stanno aspettando vicino alla chiesa di Santo Spirito; lui riesce a fuggire, ma viene di nuovo colpito e grondante di sangue riesce a raggiungere la porta di Borgo Tegolaio; pensa di essere salvo, ma gli balzano contro Ruberto Ricci e Celio Malespini. Sarà quest’ultimo, in un suo scritto, che ci racconterà quanto è accaduto: che Piero si è difeso con tutte le sue forze ferendo gravemente alla testa Ruberto Ricci ed anche lo stesso Malespini. Poi deve cedere e viene lasciato non più in vita in mezzo alla strada. È vicina ormai l’alba e accorre gente richiamata dalle grida, ma ormai si può far niente per il Buonaventuri. Si conclude così, tragicamente, l’avventura di questo troppo intraprendente fiorentino che, nove anni prima, era fuggito da Venezia con la nobile fanciulla Bianca Cappello. Ha giuocato una partita pericolosa ed ora ha pagato con la vita.

Ma anche Cassandra deve scomparire dalla terra: così hanno deciso i Ricci e nella notte che seguì: quella del 28 agosto, due sicari entrano nella sua casa e la uccidono pugnalandola al cuore, indifferenti alle grida di un suo bambino: Federico, che era nel letto accanto a lei. Muore con la bella Cassandra una donna perlomeno straordinaria: ha molto amato, molto osato, sfidando il mondo intero. Un’esistenza vissuta appassionatamente.

Quanto a Ruberto Ricci e Celio Malespini, se la cavano ambedue di fronte alla legge. Probabilmente si sono rifugiati nell’unico posto dove il Bargello non li può cercare: l’antico palazzo dei Medici in via Larga. È Francesco dunque che ha deciso che la loro azione doveva considerarsi legittima. I Ricci hanno protetto così il loro onore. Lui si è liberato del marito dell’amante. Che, per la verità, gli aveva sempre dato poco fastidio, ma che si era fatto ultimamente insopportabile con le sue richieste di sempre più denaro e di impieghi sempre più prestigiosi.

 

 

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(Brani tratti dal libro Eros nella città dell’iris, Edizione Polistampa, Firenze, 2001)