IL FIGLIO

Luiz Fernando Emediato


Cominciò tutto al mattino. Valchiria, a tavola, lo guardò in un modo strano, mentre mordeva il pane. Le chiese se aveva qualcosa da dirgli, lei fece la misteriosa. Lo avrebbe detto più tardi, non era ancora sicura. Era curioso, insistette. Valchiria fece una risatina acuta, gli passò le mani tra i capelli e gli aggiustò il nodo alla cravatta. Dopo un bacio lieve e veloce uscì. Valchiria era così: faceva sempre un mistero delle cose, dalle più piccole alle più grandi. Inizialmente lo irritava. Poi no, era addirittura divertente il mistero che faceva Valchiria.
Quando tornò per il pranzo, a mezzogiorno, si era già scordato della conversazione del mattino. Aveva avuto una giornata piena, lo sguardo strano di Valchiria e i suoi sorrisi misteriosi erano svaniti nel tempo. Lei lo accolse sulla porta come al solito ma gli fece ricordare, sorridendo, dell’argomento rimasto in sospeso. Lui baciò le labbra socchiuse e la condusse fino al tavolo. Le chiese allora se più tardi gli avrebbe rivelato quello che voleva. Sorrise, anche Valchiria.
Non volle dirlo subito ma si vedeva che aveva voglia di farlo, le parole, sulla punta della lingua, aspettavano il momento propizio per saltare fuori.
Lui stava tagliando la carne, con gli occhi fissi sul piatto e il pensiero lontano, visto che anche Valchiria, all’improvviso, si era immersa nel silenzio. Valchiria era fatta così, non si sapeva mai realmente quando avrebbe parlato o fatto qualcosa. Era imprevedibile in tutto.
-Avremo un bambino.
Fu così. Solo tre parole; il verbo, l’articolo e il sostantivo, tutto d’un fiato, tagliando di netto il silenzio. Pensò di non aver sentito bene, restò muto e non alzò gli occhi dal piatto, continuò a tagliare la carne.
-Avremo un bambino.
La carne scomparve, il coltello,la forchetta e anche il piatto. Era tutto un vuoto. Il sostantivo era proprio quello. Bambino. Concreto, semplice, comune e sentito benissimo. Bambino. Il tavolo cominciò a girare, allora lui alzò lo sguardo e lo conficcò negli occhi di Valchiria. Lo guardava con calma, gli occhi sereni, con la bocca socchiusa e il volto felice.
-Avremo un bambino.
Le mani di Valchiria sul tavolo, teneva il tovagliolo bianco ricamato su uno degli angoli. Gli occhi chiari che ricevevano i suoi, lui allora li abbassò, confuso e senza sapere cosa fare. D’improvviso il sangue gli salì alle guance, aveva capito benissimo.
-Sono stata dal dottore stamani. Mi ha confermato quello che già sospettavo. Non è meraviglioso?
Aveva capito benissimo, non c’erano dubbi. Non si trattava di adottare un figlio ma di tirarlo fuori dalle viscere di Valchiria. Aveva capito benissimo. Il bambino era lì, dormiva nel ventre di Valchiria.
-Non è meraviglioso?
Il sangue gli saliva alle guance. Non ce la fece più. Venne assalito dall’ira, dalla rabbia, dall’odio. Si alzò, cadde il coltello e sentì il rumore stridente dell’urto col pavimento. Avrebbe voluto gridare, imprecare, rompere qualcosa, picchiare Valchiria.
-Non è meraviglioso?
Non disse niente. Valchiria lo guardava con occhi interrogativi, la bocca aperta per lo stupore. Uscì di corsa, Valchiria dietro a fargli delle domande. Non lo raggiunse. Valchiria restò sulla porta, stupita ma lui non si voltò.
Era quasi sera e lui camminava per strada, senza una meta precisa e perso dentro se stesso. Non era rientrato al lavoro ma non voleva pensarci, quello che importava era la sua vita, Valchiria e quel bambino. Ah, Valchiria…sempre imprevedibile in tutto…
Si ricordava di quando l’aveva conosciuta, andavano alla stessa scuola ed uscivano assieme. Poi la storia. Valchiria non lo annoiava mai, al contrario delle altre. Veniva sempre come una sorpresa, era interessante e lo divertiva. Quell’aria di mistero, le sopracciglia arcuate interrogativamente, le labbra socchiuse, gli occhi grandi, attraenti che lo chiamavano e lo legavano. Rimase invischiato nella tela. Il tempo passò e senza neanche accorgersene erano già fidanzati. Valchiria sempre con lui, sempre fedele, sempre quella dolcezza che di giorno in giorno si trasformava, cresceva. Ogni giorno era un giorno nuovo e pieno di promesse, quando c’era Valchiria. Una volta si lasciarono, si ricordava. I giorni morti, le ore morte, i minuti morti, la vita morta per l’assenza di Valchiria. Senza Valchiria niente aveva senso. Si spaventò della scoperta, la solitudine stretta nel petto, nella stanza scura. Pensava a come sarebbe stato se l’avesse persa. Le corse dietro e non lasciò che lo lasciasse mai più. Il matrimonio, la soluzione. Sarebbero stati uniti per sempre.
La vita con Valchiria, Meraviglia e sogno. Rideva sempre, felice come mai avrebbe potuto esserlo. Valchiria era straordinaria, faceva della vita un sogno continuo. Era come se a lui mancasse qualcosa e Valchiria sostituisse questa cosa in modo tale che senza di lei tutto si trasformava, vedeva tutto in modo differente. Valchiria era essenziale, lui lo sapeva.
La vita con Valchiria, meraviglia e sogno. E visto che erano felici cominciò a pensare più seriamente a quella vita. Ebbe l’idea dei figli, scoprì la felicità che ci sarebbe stata se, oltre a Valchiria, ci fossero stati dei bambini. Il suo nome sarebbe stato perpetuato, avrebbe lasciato al mondo la sua opera. Sarebbe stato sublime, il capolavoro realizzato in coppia. Qualsiasi cosa avessero fatto non avrebbe avuto una tale grandezza. Risultato dello sforzo e dell’amore dei due, i figli sarebbero stati bellissimi e perfetti, come Valchiria.
Dopo questa scoperta non smise più di pensarci. Decise: avrebbero avuto dei figli. Valchiria era d’accordo, era raggiante, crebbe la felicità. Giorno dopo giorno facevano piani che riempivano le conversazioni; tutte le notti il sonno li sorprendeva quando ancora parlavano di bambini.
Stavano preparando l’arrivo di coloro che avrebbero dato una motivazione alla loro vita. Dovevano stare attenti, pianificare tutto. Niente avrebbe potuto intralciare quei piani così elaborati.
I bambini dovevano essere perfetti, frutto di un amore delicatamente perfetto: come Valchiria.
All’imbrunire, stava ancora camminando per strada. Non sapeva se tornare a casa da Valchiria. Era impazzito per la tristezza e l’odio, rabbia e abbattimento mescolati e tutto sul punto di esplodere. La vita allora cominciava a non avere più senso, ad essere una cosa vuota. Ah, Valchiria! I figli dovevano essere la concretizzazione del lavoro dei due ma non erano essenziali, date le circostanze. Essenziale veramente, solo Valchiria, tu, Valchiria…senza di loro la felicità sarebbe stata minore, è vero, ma sarebbe stata ancora felicità, sarebbe ancora la vita. Non ci sarebbero stati più sorrisi solo se fossero mancate Valchiria e le sue risa, cariche di mistero. La vita non sarebbe vita se non ci fossi tu, Valchiria, tu…
E adesso la vita era l’anticipazione della morte. Valchiria era presente ma era come se non ci fosse. La Valchiria di prima stava svanendo nel tempo ma lasciava i suoi segni. La vita non era più la stessa, dal mattino. Ah, Valchiria, come possono mutare tanto le cose in un solo giorno? Ah, Valchiria…magari fosse stato tutto un sogno, un incubo, una bugia o un inganno. Ah, Valchiria, Valchiria, Valchiria…
Scendeva la notte. Camminava senza meta, senza vedere nessuno per strada, intrappolato nel labirinto delle idee. Decise di andare dallo stesso dottore che lo aveva già visitato. Un briciolo di speranza nacque e crebbe, vide il suo corpo correre in cerca di una salvezza per la vita. L’ultima volta che c’era stato ne era uscito frustrato in tutti i suoi desideri. Nascose tutto a Valchiria, lui che non le aveva mai nascosto niente. Aveva paura (o forse vergogna, non lo capì mai), di dirle la verità. E continuò sperando, allora, che gli venisse il coraggio, così avrebbe raccontato tutto. Valchiria avrebbe capito, tutto come prima. Il coraggio non veniva e il tempo passava. Valchiria avrebbe finito per scoprire tutto, sarebbe stato peggio. Glielo doveva dire, era sicuro che lei avrebbe saputo tutto lo stesso, non sarebbe riuscito a nasconderlo per molto tempo.
Lei avrebbe capito, ne era certo, doveva capire. Ma non si decideva a confessare, la parola con cui avrebbe cominciato la rivelazione non gli saliva alla bocca. Il tempo passava, lui teneva tutto dentro al petto.
Il dottore aprì la porta; stava cenando. Poiché era urgente e i suoi occhi lo fissavano, come a supplicare qualcosa, il medico acconsentì a riceverlo a quell’ora. Lasciò il tavolo e lo condusse nello studio. Gli andava dietro camminando, a passi insicuri, desiderando disperatamente che il dottore contraddicesse le parole della visita precedente. C’era in gioco una vita intera con Valchiria e lui aveva bisogno che le parole del medico confessassero l’errore.
Tutto inutile. Inutile, completamente inutile. La parole del dottore, le stesse di prima. Non c’era speranza. Niente al mondo avrebbe salvato la sua felicità. Tutto crollato, i piani per il futuro, la sua vita con Valchiria. Niente al mondo li avrebbe salvati adesso. Ah, Valchiria, Valchiria, Valchiria…Mai avrebbe potuto immaginarsi che lei fosse capace di fargli una cosa del genere. Ma Valchiria era così, sempre imprevedibile, in tutte le sue cose. In tutto, ora aveva le prove. Imprevedibile in tutto, Valchiria.
La conferma della diagnosi lo uccise. Implorò, pianse persino, supplicò il dottore di dirgli che si era sbagliato, che era stato tutto un equivoco. Ma il medico, franco e categorico, un’aria compassionevole negli occhi “No, è impossibile, e non vedo perché ingannarla, darle delle false speranze. Lei deve affrontare la realtà, c’è sempre la possibilità di adottare uno o più figli. E non posso proprio mentirle: lei non potrà avere figli né oggi né mai”.
Ah, Valchiria, Valchiria, Valchiria…


(Racconto tratto dalla raccolta Trevas no Paraíso, Geração Editorial, São Paulo, Brasile, 2004)


(Tradotto da Julio Monteiro Martins insieme ai suoi allievi dell’Università di Pisa Mirella Abriani, Leonora Melani, Alessandra Pescaglini, Anna Piericci , Martina Pierni, Aurora Simoni e Chiara Zucconi)


Luiz Fernando Emediato è nato a Minas Gerais, in Brasile, nel 1950. Ad appena 19 anni ha vinto il Premio Rivelazione del Concorso Paraná, il più importante di allora, proprio con il racconto "Il figlio" che la Rivista Sagarana pubblica in questa edizione. Ha pubblicato diverse raccolte di racconti e saggi, sempre con una posizione di contestazione alla dittatura militare di allora, ed è stato il direttore di diverse riviste censurate in quegli anni di piombo, come Circus e Silêncio. Vive a São Paulo.

 

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