KAZUKUTA


Ondjaki

 


Stavamo sempre attenti alla caduta delle nespole, delle pitangas e delle goiabas, e con tutto il casino che facevamo gridando e correndo Kazukuta si svegliava e, con quel suo modo lento di venirci a spiare, usciva dalla cuccia per vedere se avanzava qualcosa per lui.

Di solito mangiava le nespole un po' stanche, con la pelle scura - quelle che non voleva nessuno. Si muoveva sempre lentamente, sbadigliava, e magari andava a cercare un po' di sole che gli curasse le ferite, oppure se ne tornava nella sua cuccia. A volte, proprio nel bel mezzo dei nostri giochi, e prima che mi urlassero di non starmene lì impalato, pensavo che forse Kazukuta, con quel suo sguardo di cispe e mosche, qualche volta poteva pensare. Anche se la sua vita era solo starsene lì nella cuccia, bagnarsi sotto la gomma con un filo d'acqua, mangiare nespole marce e tornarsene nella sua cuccia, forse a volte pensava alle miserie della sua vita.

Credo che Kazukuta era un cane triste, perché è così che me lo ricordo. Nessuno gli faceva caso. Nessuno ci giocava, e nemmeno i grandi lo degnavano di uno sguardo. E noi volevamo soltanto che si levasse dai piedi e non venisse a leccarci, con quella bava e quelle ferite che non guarivano mai. Credo che Kazukuta non era mai stato vaccinato, forse soffriva d'allergia o aveva paura, chissà, forse dovrei chiedere a zio Joaquim. E poi non usciva in strada, e dormiva sempre più.

Un pomeriggio vidi zio Joaquim che faceva il bagno a Kazukuta. Un bagno interminabile. Ero meravigliato: lo stesso zio Joaquim che restava a leggere in salotto fino a tardi, che ci tirava le orecchie, lo zio Joaquim silenzioso, perché perdeva mezz'ora a fare il bagno a Kazukuta?

Mi ricordo Kazukuta che si godeva quel bagno, forse perché era un bagno sincero, forse perché zio Joaquim gli diceva cose piano piano, e poi se ne andava a dormire. Kazukuta: ricordo bene i tuoi occhi dolci che brillavano come un mare da sogno soltanto perché zio Joaquim – lo zio Joaquim silenzioso – era venuto a farti il bagno con la gomma e ti aveva detto parole tranquille in un kimbundu che sapeva della sua infanzia?

Così si fece tardi. Stavamo già per smettere di giocare. Perché alla fine l'acqua cadeva dai peli di Kazukuta, e quelli erano tutti attaccati al corpo, e cadevano giù come se fossero pesanti, e così l'acqua finì - non ce n'era più. E senza neanche chiudere il rubinetto zio Joaquim, con l'acqua che ancora gocciolava, e mentre Kazukuta tornava nella cuccia, dopo quella scrollata tipo pioggia – che risate – zio Joaquim ci diede la notizia che si era tenuto per tutto quel tempo:

Ragazzi, zia Maria è morta.

Ebbi anche paura, non per quella notizia tanto grave, ma per quello che qualcuno chiese dopo:

Possiamo giocare un altro po'?

Lo zio lasciò la gomma e venne a coccolarci un po'.

Sì, va bene.

Vidi un sorriso sulla bocca di zio Joaquim. A volte veniva nel cortile senza far

rumore e ci guardava giocare senza ridire su niente. Ci guardava da lontano, come un bambino riservato che moriva dalla voglia di venire a giocare con noi.

Zio Joaquim era molto silenzioso e sorrideva piano, come se non avesse mai saputo

niente degli orari e della fretta degli altri adulti. Zio Joaquim adorava fare il bagno a Kazukuta.




(Testo tradotto da Julio Monteiro Martins insieme ai suoi allievi di Lingue e di Lettere all'Università di Pisa Sara Scatena, Laura Marletti, Martina Barsanti, Mauro La Mancusa, Gianluca Piana. Racconto tratto da: Ondjaki, Os da minha rua (Língua Geral editrice, Rio de Janeiro,2007).)





Ondjaki
è nato a Luanda, capitale dell'Angola, nel 1977. Scrive romanzi, racconti e a volte poesia. Lavora anche per il cinema e ha contribuito a un documentario sulla città di Luanda ( Oxalá cresçam pitangas - Histórias de Luanda , 2006 ). È membro dell'unione degli scrittori angolani. Alcuni suoi libri sono stati tradotti in inglese, francese, spagnolo, italiano, tedesco e cinese.


 


        
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