VOCE PRIGIONIERA

Un carcere per quasi due secoli. Il carcere di Firenze. Ora sul punto di trasformarsi, "rinascere a nuova vita". Spazi angusti un tempo dedicati alla reclusione, al dolore, all'espiazione, saranno presto modificati, ristrutturati, ampliati e saranno popolati da lavoratori, studenti, mamme con bambini, artisti, commercianti, gente d'affari, cittadini di Firenze o stranieri; turisti o immigrati. Gente libera. Gente che potrà scegliere se entrare là dentro oppure no, che si troverà magari a frequentare abitualmente quel luogo per ragioni di lavoro o forse perché abiteranno là.

Pochi sanno che il nome "Murate" deriva dal nomignolo dato dai fiorentini alle monache di clausura che vi abitavano prima che il complesso diventasse carcere. Non viene in mente subito, anche perché "murate" è davvero un nome da galera, incredibilmente evocativo dell'isolamento e della reclusione, quasi che fosse un attributo del sostantivo "vite" o di "persone". Ricordo da piccolo l'impressione che mi faceva ascoltare le espressioni "si è fatto dieci anni di murate"; "di questo passo finirà alle murate" ecc., non so se lo stesso effetto inquietante, immediato, lo fa ad un bambino di oggi il nome "Sollicciano", il moderno carcere in periferia.

Un altro aspetto rilevante di questo edificio è il fatto di trovarsi in centro, entro la cerchia delle antiche mura. La massiccia e torva presenza delle Murate nel cuore della città, anche dopo la dismissione da carcere più di vent'anni or sono, sembra quasi un monito, la presenza cupa e inaccessibile di un bastione del male, del castigo: la faccia brutta e scura della giustizia.

Il muraglione di mattoni rossi che costeggia l'ultimo pezzo di via dell'Agnolo e di via Ghibellina, spingendosi, per un lato, fino al viale della Giovine Italia, è una massa rettangolare, solida, senza concessioni all'estetica, in stridente contrasto con la solare leggerezza, l'eleganza dei monumenti rinascimentali ubicati a pochi passi. La splendida Santa Croce, il Ponte Vecchio, la leggerissima brunelleschiana Cappella de'Pazzi.

Non sappiamo ancora quale sarà la nuova destinazione della struttura. È già stata con successo esperita la possibilità di un utilizzo ludico e culturale con le iniziative dell'Estate Fiorentina ospitate negli anni scorsi nel cortile, ma le varie ipotesi, i vari progetti sono ancora oggetto di discussione.

Agli architetti, agli urbanisti, agli amministratori il compito non facile di determinare le modalità della trasformazione, il riciclo più razionale e socialmente utile di questi ambienti sicuramente non neutri, che hanno visto tanto dolore, tante storie che formano la Storia, tanta umanità in coatta convivenza.

Agli artisti, invece, spetta il compito di cristallizzare nella memoria e nella suggestione visiva e letteraria quello che le Murate hanno rappresentato, quello che ancora oggi può significare la prigionia in termini simbolici o concreti.

Dodici fotografi e quasi altrettanti poeti si sono cimentati in questa prova, in questo esempio di "arte a tema". Tutti sono stati accompagnati all'interno dell'ex-carcere, a visitare le celle, gli angusti ballatoi, i locali adibiti a servizi, a camminare lungo le imponenti navate dei lunghi corridoi centrali. Ad immaginarsi per un momento la quotidianità in quel luogo angosciante e claustrofobico. A parte il degrado del tempo, la polvere, la massiccia presenza di gatti, tutto è rimasto come allora, con tanto di memorabilia degli anni settanta rappresentati da poster, fogli di giornale, graffiti, cartoline o foto ingiallite, oggetti vari lasciati dagli ultimi coatti inquilini di quelle celle (che rappresentano di per sé un incredibile spaccato sociologico di quegli anni e di quella varia umanità).

Per i fotografi, il risultato è stata una bella mostra che conoscerà anche nuove date e riproposizioni in giro per l'Europa.

Gli undici poeti fiorentini interpellati (tutti vincitori del concorso Nodo Sottile dell'Archivio Giovani Artisti del Comune di Firenze) hanno risposto con le poesie che hanno presentato in una memorabile serata lo scorso 11 gennaio. Un percorso artistico e di esperienza che, pur negli stili diversissimi delle loro voci poetiche, della loro sensibilità, della loro formazione culturale e letteraria, ha dato i risultati importanti che qui, in parte, riportiamo.

C'erano molte persone quella sera. Giravano per la mostra, guardavano le fotografie e ascoltavano i poeti. C'era molta emozione. Ci auguriamo che una scintilla arrivi anche ai lettori di Sagarana.

Andrea Sirotti


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