RELIQUIE

 

Giovanna Custodero

 

Devo aver mangiato qualcosa che mi ha fatto male. È tutto il pomeriggio che ho uno strano malessere. Ho vomitato tutto.
Eppure ci sto così attento. I latticini, ad esempio. I latticini mi sono sempre stati indigesti, fin da piccolo. E glielo avevo detto alla Maria: niente parmigiano nel riso al forno, mi raccomando. Che si sia dimenticata?
Non ho da ridire sulla Maria in generale, è una brava perpetua, ma è necessario ripeterle le cose, perché tende a dimenticarsele.
L’altro giorno fece l’ossobuco. Ma l’ossobuco mi fa un po’ senso, con quel grasso da succhiare. E ci si deve sporcare le mani: meglio di no. Sì, però piace a don Francesco e qualche volta devo fare dei sacrifici.
Non mi dà fastidio fare dei sacrifici per don Francesco. È un bravo viceparroco, solerte, tutto assorto nei suoi impegni. Non sporca neanche tanto in giro. Il problema è che fuma. Fuma in continuazione. Dappertutto. E resta quel cattivo odore, per giorni e giorni, non se ne va neanche con le finestre aperte.
Forse è stato anche quello a disturbarmi la digestione. Per il resto è stata una giornata tranquilla. Nessun evento particolare. C’è sempre stato il sole …è che sono un po’ meteoropatico: la pioggia mi dà sui nervi.
Ho cominciato a sentirmi male, mentre celebravo. Sono riuscito ad andare avanti fino alla fine, però, e nessuno si è accorto di niente. Poi mi sono precipitato in sacrestia, ho lasciato le vesti e mi sono chiuso in bagno.
È stata Carlotta a capire che qualcosa non andava ed è venuta a cercarmi. Carlotta è una parrocchiana eccezionale, ma soprattutto un’amica. Mi piace prendermi cura delle anime, come dire, smarrite, e lei è una di queste. Viene spesso a fare due chiacchiere, perché è di casa, ma anche quando sente il bisogno di confidarmi i suoi tormenti interiori.
Ha capito che qualcosa non andava, già durante la celebrazione e poi da come mi dirigevo di filato in sacrestia. Stavo in casa al buio, immaginavo che venisse. Quando è arrivata, ha bussato leggermente. Ho visto che si orientava a fatica, ma era piacevole, parlarsi senza guardarsi, così le ho detto di non accendere, perché la luce mi dava fastidio agli occhi.
‘Cos’hai?- mi ha chiesto. E sentivo il suo tono di voce assumere una strana sfumatura, che non avevo mai notato.
Le ho spiegato del riso e del parmigiano.
‘Ah – ha detto, ma pareva che qualcosa non la convincesse; io stesso cominciavo a dubitarne.
‘Sai l’intolleranza … - ho tentato di replicare timidamente.
Il buio continuava a coprirci e stare in silenzio cominciava ad essere imbarazzante.
‘Sto un po’ meglio, accendi la luce, per favore’.
Il giallo della lampada da tavolo mi ha colpito violentemente in viso. Solo dopo un po’ ho iniziato a distinguere le forme. Carlotta portava un abitino rosa a fiorellini, quello che le cade sempre da una spalla.
Tentava di sorridere, ma sembrava preoccupata. Ed io non sapevo cosa dire.
‘Sei molto pallido, Jimmy’.
Mi piace, quando mi chiama così, è una cosa che sappiamo solo noi.
Quando venne la prima volta, stavo mettendo in ordine le fotocopie dei canti. Aveva un’aria sicura, ma qualcosa nel suo modo di guardarmi mi mise in allarme. Raccolsi tutti i fogli, perché odio il disordine, e le dissi di seguirmi in casa. L’uomo di cui era innamorata le aveva prospettato due possibilità e lei non sapeva quale scegliere. Non doveva buttarsi via e glielo dissi. Aveva una maniera di piangere che mi faceva venire il desiderio di consolarla. E lo feci, come un padre.
‘Sei gentile a preoccuparti per me, ma ora va’ a casa, prima che tuo padre telefoni qui’, le ho detto, mentre continuava a guardarmi con quegli occhi, dietro le lenti.

Sono sempre angosciato dalle reazioni di suo padre. Quell’uomo mi mette in agitazione. Con le sue domande, quei discorsi… preferisco evitarlo. Ogni volta mi blocca con una nuova questione teologica: sembra che il prete sia lui.
‘Ora vado, ma devo chiederti qualcosa… stamattina abbiamo fatto un discorso…’
Non ricordavo che avessimo fatto alcun discorso. L’avevo vista passare, stava andando alla messa ed io prendevo un po’ d’aria sulla porta, ma non avevamo parlato.
Mi sono tolto gli occhiali e ho cominciato a pulirli accuratamente. Non sopporto, quando si formano tutte quelle piccole macchioline grigie, che non fanno vedere più nulla. Poi ho riposto il fazzoletto in tasca e di nuovo ho incontrato i suoi occhi.
Sembrava incerta se proseguire o no. Di lei mi piace questo rispetto per la sensibilità altrui. Ma mi guardava, anzi mi scrutava, e speravo venisse qualcuno ad interromperci. Invece fuori era tutto silenzio.
Mi sono ricordato di quella volta che mi ha portato un bocciolo di rosa. Era avvolto nella stagnola e adagiato in una piccola scatola marrone. Non l’aprii subito, aspettai che se ne andasse. Era un po’ come la rosa del Piccolo principe, la rosa unica al mondo, che bisognava curare con particolare attenzione. L’ho presa e l’ho messa sul comò in un piccolo vaso; lì c’è anche il mosaico che mi hanno regalato i ragazzi dell’altra parrocchia, quando sono andato via.

Ho cominciato a dondolare il piede per il nervoso, poi però ho smesso perché non se ne accorgesse.
‘Ecco, mi pareva di averti chiesto … una cosa’, ha ripreso.
In quel mentre ha squillato il telefono ed io ho rotto l’immobilità per andare a rispondere.
Mentre parlavo nella mia camera, avevo davanti l’immagine del gabbiano Jonathan: l’aveva disegnata Carlotta per il camposcuola dell’anno scorso. Alla fine della settimana le dissi che mi sarebbe piaciuto tenerlo, per quell’idea di libertà che riusciva a comunicare. Lei mi rispose che andava bene e si chinò ad allacciarsi la scarpa. La fermai e lo feci io, perché mi sentivo come un papà nei suoi confronti.

Sono tornato nella stanza. Carlotta era ferma, in piedi, non sembrava proprio che volesse andarsene.
‘C’è qualcosa che voglio darti, prima di salutarti. Ho trovato questa piuma’.
Aveva in mano una piccola penna bianca e grigia, su cui aveva applicato un fiocchetto rosa e me la porse. Era bellissima ed era bello il pensiero.
‘Domani torno a Bologna, ho alcune lezioni da seguire – ha proseguito – e volevo assicurarmi che non te la fossi presa per quello che ti ho chiesto stamattina’.
Di nuovo tirava fuori questa storia.
‘Sì, insomma, quando ti ho domandato se la nostra amicizia non si stesse trasformando in qualcos’altro …’
‘Ti ringrazio molto per questo regalo – ho risposto - lo metterò accanto al gabbiano Jonathan, e riguardo al resto… ma cosa vai a pensare?’
Se n’è andata più tranquilla, mi pare, ma prima le ho tirato su la spallina sinistra.

Ho sistemato la piuma sul comò. Sta benissimo accanto alla targa che mi ha donato la V° C. Poi ho mangiato qualcosa e mi sono messo il pigiama. Ho spento la luce, ma non ho ancora sonno. Mi giro e mi rigiro nel letto e il senso di nausea non si placa. Forse non avrei dovuto cenare.




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