GEZABELE


Matteo Mezzanotte

 

Gli spruzzi d’acqua salmastra si uniscono con ritmo incessante alle pozze di urina, feci e vomito cosparse per tutta la stiva. I bracci del mio scranno adesso sono un ragazzo sui sedici, forse diciassette anni, pelle e ossa, con gli occhi che si protendono in fuori, alla ricerca di un po’di cibo. E una madre col suo bambino sulle ginocchia, buttato come un giocattolo rotto e disarticolato.
Sono in fuga, come tutti loro. Non cerco la terra promessa, cerco solo la salvezza. E so perché sto scappando. Conosco le fattezze del mostro. Perché, come se non fosse già abbastanza difficile sopportare questa situazione, devo ricordarvi e ricordarmi che quel mostro è una parte di me.

Diario.
La notte è l’unico momento per riprendersi dalle fatiche del giorno e che per lo più consistono nel ciondolare sotto il sole che batte, fumare qualche sigaretta, aiutare il personale del campo a svolgere alcuni lavoretti, roba di poco conto, giusto per non perdere quel poco di dignità umana che mi rimane e che invece qualcuno vorrebbe strapparmi.

Nel mio paese ero una persona importante. Ero Gezabele, sposa di Akhab e figlia del re dei Sidoni. Ora passo i giorni cercando di cancellare dalla mia mente il mio nome, il mio lignaggio, il mio passato. Ho paura che ritorni, che approdi insieme alla prossima tornata di disperati, sulle coste stanche di quest’isoletta.

Sono madre della mia maledizione. Quando ci penso stringo forte qualcosa, la gonna magari, o il grembiule. Serro i pugni sulle gambe, fino a conficcarmi le unghie nei palmi delle mani facendoli sanguinare, procurandomi un dolore intenso e momentaneo. L’unico che aiuta a distrarmi, fin che dura. Poi ritornano i fantasmi.
In fin dei conti ciò che stavo facendo rispondeva ai loro bisogni, o al meno così ero tentata di illudermi, ma le illusioni hanno la consistenza dell’acqua di mare sulle labbra: ciò che lasciano è solo un vago sapore e neanche troppo piacevole.

L’oracolo aveva predetto la mia sorte. Avevo portato unguenti, spezie, frutta e un agnello da sacrificare. Avevo raccolto il suo sangue in una ciotola di terracotta e avevo danzato girando in cerchio per tre volte. Mi ero congiunta con l’apostolo e ne avevo ricevuto il responso: sarei stata uccisa da mio figlio, una volta che questi avesse raggiunto la maggiore età.

Ho prosperato e diffuso il culto di Baal nella mia regione. Ho perseguitato Elia e la sua tribù avversaria della nostra. Ho seduto degnamente accanto al mio signore, fino a quel giorno. Il giorno in cui sono venute le guardie di palazzo e l’hanno portato via, lasciandomi sola. Sola con il mio oracolo.
Era scoppiata una rivolta e c’era bisogno di un capo carismatico.
Era scoppiato un colpo di stato e c’era bisogno di un generale.
O forse una rivoluzione...e c’era bisogno di un capro espiatorio.

Sono fuggita, imbarcandomi sulla prima nave disponibile, carica all’inverosimile di animali bipedi, destinati al macello. Sono fuggita dalla mia terra, dal mio oracolo, dal mio mostro.
Ma il mostro è dentro di me, si nutre di me e con me, mese dopo mese.
Il “piccolo mostro”. Così lo chiamavano. Ed io ero la madre del piccolo mostro.

Mi accarezzo il ventre, di tanto in tanto, domandandomi se oltre alla luce, riuscirò anche a donare una speranza al mio bambino. Al mio “mostro”.


Dal diario personale della Dott.ssa Guidi, volontario della Croce Rossa Italiana.
Ieri c’è stato un funerale, nel campo profughi. É il secondo in un mese. Si trattava di una ragazza. Era nel campo da ormai tre mesi. Non ne conoscevo nemmeno la provenienza. Parlava una lingua che solo in pochi conoscevano. Molti facevano finta di non capirla.
Una ragazza che, sembra, avesse più confidenza, mi ha confessato che Gezabele (questo il nome della madre deceduta) aveva ricevuto una specie di profezia. Ha detto che è una pratica ancora diffusa nel luogo da dove proveniva lei.
Gezabele non credeva alla profezia, o almeno così diceva.
Questa profezia aveva annunciato la sua morte per mano del figlio, quando avesse raggiunto la maggiore età, cioè l’età secondo la quale, nella sua tribù, un ragazzo può andare a caccia da solo e mangiare le bacche rosse dell’albero eterno.
Ma così non è stato. O quasi: Gezabele è morta prima. Complicazioni durante il parto, dice il referto.
Forse la profezia si è avverata, dopo tutto.






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