George Selwyn


Silvina Ocampo





George Selwyn nacque nel 1719, visse in Inghilterra, fu un uomo ammodo, ma c'era qualcosa di strano nel suo comportamento, cosa che nessuno dei suoi simili volle accettare. Dicevano che provava piacere alla vista di condannati a morte nel momento dell'esecuzione. Io non ho mai pensato che assistesse per piacere a quegli spettacoli così terribili, ma per un sentimento di generosità. La società inglese lo rispettava, sia i poveri sia i ricchi, sia il panettiere sia il ministro; tutti lo invitavano a casa loro e in ogni conversazione lasciava una frase celebre per la sua genialità.
- Lei, signore, - gli disse un mendicante, - è ricco. Non mi farebbe un'elemosina?
- Non lo sarei più se gliela facessi. L'elemosina esiste per i santi. Non sono un santo. Prenda. Lei può darmi qualcosa di più di quanto io possa darle, - e terminando la frase gli diede una moneta d'oro. - Ma non lo dica a nessuno, potrebbero dire che sono un miserabile ricco.
Una bontà ingegnosa s'impadronì di lui. Tuttavia aveva un debole per le scene tragiche. Non mi piace pensare al peggio, ma tutte le volte che condannavano qualcuno lui doveva assistere all'esecuzione. C'era chi diceva che fosse per piacere. Penso che la sua presenza li aiutasse a morire e che quando li guardava pregasse per salvarli dall'orribile incontro con la morte. Quest'uomo soleva pensare: "Come sarà la morte? Come trasfigurerà le persone? Come faranno a tentare di salvarsi se nessuno più li aiuta?" Cosí visse di condanna in condanna e, quanto più feroce era il reo, tanto più lo aiutava con slancio. Una sola volta furono viste lacrime nei suoi occhi. L'assassina era una prostituta, aveva ucciso la figlia nella tinozza per lavare la biancheria, per provare al suo amante che amava solo lui.
- Signore, - disse uno del pubblico a Selwyn, - lei sta piangendo o sono i miei occhi?
- Non credo che i nostri occhi possano confondersi. Non sono un ladro di occhi. Le mie lacrime portano la firma delle pupille.
Frasi come queste erano ricorrenti nei suoi dialoghi, ma durante le sedute del Parlamento soleva addormentarsi e a volte parlava nel sonno. Selwyn era un silenzioso membro del Parlamento. Lo consideravano un grande conversatore nei club, era autore d'ingegnose frasi che facevano ridere tutto il pubblico durante i banchetti. Forse le cose più importanti che disse si sono perdute. Il suo amore per i bambini era estremo. Benché non fosse sposato, adottò una bambina di nome Maria Fagnani. Una lite fra il duca di Queensberry e Selwyn, che erano amici, era iniziata sulla paternità della bambina, che non fu mai chiarita, ma tutt'e due lasciarono alla bambina, in eredità, la loro fortuna.
Oggi in Argentina, nel 1945, è stata scoperta una poesia in una rivista letteraria, attribuita a George Selwyn. Un lasso di tempo cosí lungo fra la vita di George Selwyn e la poesia pubblicata si rivela incongruo. Nessuno può crederci; per quanti sforzi si facciano non si è potuto spiegare se davvero gli appartenga e chi fosse la donna che l'aveva ispirato. Il linguaggio non si confà a quello dell'epoca, appartiene piuttosto all'epoca preraffaelita. E tanto lungo il tempo, tanto somiglianti i suoi cambiamenti! In cos'è cambiata la vita? In aerei, in macchine elettroniche, in cuori artificiali, in reni artificiali, in fecondazioni artificiali, in occhi altrui, in viaggi nella stratosfera, in calcolatori, in figli che non sono figli, in madri che non sono madri, in missili, in cinematografi, in guerre, in apparecchi televisivi. La forma di un naso, la forma di un corpo, la forma degli occhi cambiano con gli interventi estetici, ma sarà sempre lo stesso quello che si pensa, quello che si dice, quello che si pubblica, l'amore, l'amicizia, l'odio, i fantasmi, la concorrenza.
Tutto resta uguale. In quest'epoca di tante fraudolente pubblicazioni, peccato non avere il foglio su cui fu scritta. Sono cosí tanti i misteri nella vita a restare senza chiarimenti, che questo può passare inosservato, salvo il fatto che George Selwyn sia stato un fantasma apparso nel 1945, a Buenos Aires.
Agli inglesi sono sempre piaciuti i fantasmi ed è piaciuto loro stabilirsi a Buenos Aires. Il tempo non conta, non esiste? Qualche viaggiatore lo portò fra i suoi libri rari? Qualcuno ha detto: "Com'è mal scritto". La poesia e il poeta si confondono. Questo è quanto si chiama fantasma. Se qualcuno dovesse incontrare Selwyn, con i capelli grigi, lo sguardo lontano, avvolto in un mantello del 1700, oserebbe domandargli: è sua questa poesia? Ha parlato con gli angeli? Ha sentito le parole che le hanno detto? E perché gli angeli sono cosí puri che non ci capiscono?
C'è un ritratto di Selwyn, fatto da Reynolds, nella collezione Carlisle. Forse può aiutarci a conoscerlo.



(Tratto dalla raccolta di racconti E così via, Einaudi, Torino, 1989. Traduzione di Alessandro Meragalli e Angelo Morino.)


Silvina Ocampo, ( Buenos Aires, 1906-93), ha pubblicato diverse raccolte di racconti (Viaggio dimenticato; Autobiografia di Irene; La furia e altri racconti; E così via) contrassegnati da un realismo crudele che prepara l'irruzione del fantastico. Con Borges e Bioy Casares, suo marito, curò nel 1940 un'antologia della letteratura fantastica.





         Precedente    Successivo          Copertina