RACCONTARE PER NON SCORDARE


Guiomar Parada



Fame, freddo, esodo, violenza sulle donne, morte: quanto di peggio una guerra significa per la popolazione civile. Solo che in questo caso si tratta delle vittime del Paese che questa guerra ha scatenato.
Con la caduta di Stalingrado all'inizio del '43 e il vittorioso sbarco in Normandia e la liberazione di Parigi nel '44, il Reich di Hitler è entrato nella sua fase finale.
La Prussia Orientale, la Slesia e la Pomerania sono per il morente regime nazionalsocialista delle fortezze umane contro il nemico russo che, dalla Polonia, ha iniziato la sua offensiva d'inverno contro la Wehrmacht. Il regime tedesco ha vietato l'evacuazione di quelle regioni e chi fugge è punito con la morte. Con il crollo dello Stato e dell'ordine però, per la popolazione di queste regioni - per la gran parte donne, bambini e anziani - diventa chiaro che "non si tornerà indietro" e ha inizio quello che da molti è considerato il più grande esodo della storia. In colonne lunghe a volte più di 50 km, si mettono in moto, dalla Prussia Orientale e dai Sudeti più di 12 milioni di persone, se non 16 secondo alcune stime. Due milioni periranno. Non fugge solo la popolazione tedesca, ma anche quella polacca e i lavoratori forzati e i prigionieri di guerra di nazionalità belga, francese, inglese e anche italiana. È un inferno in cui le uniche differenze tra i profughi sono tra chi è sano o chi è malato, tra chi ha un cavallo o un carro e chi non ha niente.
Questi pochi drammatici mesi costituiscono ora lo sfondo storico di una produzione televisiva della rete tedesca Ard che è andata in onda in due puntate sabato 3 e domenica 4 marzo scorso sul canale Das Erste. Con attori del calibro di Maria Furtwängler e Maria Winkler, già attrice di Volker Schlöndorff, è la prima volta che questo argomento diventa il soggetto di una grande fiction televisiva.
È l'estate del 44. La contessa Lena von Mahlenberg torna da Berlino e, di fronte ai folli ordini della Wehrmacht, si sente in obbligo di intercedere in difesa dei diritti dei lavoratori forzati e dei prigionieri di guerra. Come tanti altri, inizialmente non vuole accettare che la guerra sia definitivamente persa, ma il fronte orientale incombe e tra gli abitanti di quelle regioni di frontiera si diffonde la consapevolezza che potrebbero essere loro a pagare per la guerra di sterminio con cui Hitler ha devastato l'Unione Sovietica. Nel gennaio del 1945, per la popolazione è chiaro che l'unica scelta possibile è abbandonare tutto e andare a ovest. Il padre della protagonista, il vecchio conte, spinge la figlia ad assumersi la responsabilità della "loro gente" guidando una colonna.

Le due puntate sono destinate ad alimentare un dibattito iniziato già qualche anno fa sull'opportunità di parlare non più soltanto a livello di ricerca storica delle vittime tedesche della guerra scatenata da Hitler e rispondono certamente all'esigenza di "visibilità" di questa sofferenza rimasta finora oscurata dal drammatico confronto con gli altri crimini del nazismo. Infatti, dopo la fiction andranno in onda anche due documentari: Die Flucht der Frauen (La fuga delle donne) e Hitlers letzte Opfer (Le ultime vittime di Hitler). Di questo esodo di immani dimensioni di cui si parla in Germania come Flucht und Vertreibung (Fuga e cacciata) colpisce la dismisura della violenza che si abbatté su una popolazione prevalentemente inerme, tra cui anche prigionieri di guerra e molti ebrei scampati alla persecuzione nazista: una popolazione civile che diventò nei fatti l'ostaggio collettivo che doveva pagare per i crimini nazisti. Una delle memorie più spaventose è lo stupro di massa compiuto dalle truppe sovietiche che, tra il gennaio e il maggio del '45, violentarono due milioni di donne di tutte le età e anche bambine, lasciando dietro una scia di più di 200.000 donne morte per le ferite, le esecuzioni e i suicidi. Sono cifre di cui non si discute e che non includono gli stupri di gruppo.
L'Armata Rossa non diede tregua a questa massa di persone in fuga in quel terribile inverno del '44 - '45, spingendo e circondando le colonne anche con l'utilizzo di bombardamenti aerei. Nel caos e nel panico, scatenato anche da episodi come il massacro di Nemmersdorf - si venne a sapere di donne crocefisse e di bambini massacrati a botte - una parte della popolazione in fuga si rifugiò nei porti del Baltico nella speranza di un'evacuazione via mare che, in effetti, avvenne, ma con un costo di vite altissimo. Resta vivida nella memoria di chi visse quell'epoca la peggior tragedia marittima della storia: il siluramento della nave Wilhelm Gustloff che trasportava più di 12.000 passeggeri tra profughi, qualche centinaio di soldati e personale medico. Nell'affondamento perirono tra le 8.300 e le 9.000 persone.

Sul piano degli scambi tra studiosi tedeschi, polacchi e cechi, il dialogo su questo capitolo della storia è fruttifero da molto tempo. Ma anche a causa di un ancor diffuso risentimento contro i tedeschi, le opere rivolte al grande pubblico che trattano di questi avvenimenti sono emerse solo negli ultimi anni, tutte con grandissimo successo. Spiccano, tra le altre, Nell'andatura del granchio del premio Nobel Günter Grass sulla tragedia della Wilhelm Gustloff; Die Flucht (La fuga), il libro del giornalista di Der Spiegel Stephan Burgdorff e dello storico Stefan Aust; una serie di Dvd con documenti storici sullo stesso tema della rete Zdf e, nel 2006, le due puntate di Dresden, una storia d'amore tra le ceneri di Dresda.
È come se fosse maturato il momento per rispondere, con una visione che ora può spaziare più liberamente, a una "nuova esigenza" di veder riconosciuta anche la sofferenza patita dai tedeschi a causa, come tutti tengono a precisare, della criminale guerra scatenata dal nazismo. Negli anni '80 e '90, la ricerca mise a fuoco i crimini tedeschi e fu sollevata la questione della partecipazione della popolazione nel suo insieme a questi crimini e all'orrore della Shoah in particolare, quindi era logico che, di fronte a una tale ecatombe della civiltà, il dibattito sulle vittime tedesche fosse malvisto nel Paese e fuori, talvolta anche come un tentativo dei tedeschi di sottrarsi alle responsabilità storiche del nazismo, passando da carnefici a vittime. Ora però esso ha coinvolto l'opinione pubblica a più livelli ed è inoltre trasversale dal punto di vista degli schieramenti politici. Di fronte a opere rivolte al grande pubblico come Die Flucht, tuttavia, sono gli esperti a sollecitare cautela. Come fa Hans-Ulrich Wehler, lo storico tedesco, considerato uno dei massimi esperti di storia sociale della Germania, che da diverso tempo sostiene che questo tipo di temi dovrebbero rimanere in mano agli studiosi.
"È molto importante tener ben presente", ha dichiarato Wehler, intervistato nell'ambito del programma televisivo Titel Thesen Temperamente, "chi scatenò quel tipo di guerra - anche la guerra di bombardamento e la cacciata (della popolazione) detta con un eufemismo 'reinsediamento', vale a dire il trasferimento di intere popolazioni. E non furono gli inglesi o i polacchi o i russi. Fu la politica tedesca. Questa è storia della sofferenza e la sua altalena arriva molto in alto, innanzitutto a spese dei polacchi, degli olandesi, degli inglesi per toccare infine soltanto nel 1941 le città tedesche e due anni più tardi i profughi".
Da quanto dichiarano gli autori di Die Flucht, sembra corretto dedurre che il loro scopo sia meramente raccontare, e farlo dopo lunghe ricerche e con la maggior correttezza possibile (si assiste allo stupro delle donne tedesche da parte dei russi, ma anche alle brutali esecuzioni dei lavoratori forzati da parte della Wehrmacht). Oltretutto, nel caso di questa oscura pagina della storia tedesca, i documenti storici di vario tipo e i testimoni diretti sono innumerevoli, e alcuni hanno anche collaborato alle riprese. "La fuga e la cacciata della popolazione", dice il regista Kai Wessel, "non sono temi esclusivamente tedeschi. Sono europei, intercontinentali, mondiali. Se siamo noi tedeschi a parlarne, forse è perché siamo stati noi a scatenare questo esodo senza precedenti".
Questa visione a diversi strati della serie si riscontra anche nella stampa tedesca, dove si va da chi considera questa rivisitazione della storia utile per trarre paralleli con la sofferenza degli allora vicini della Germania, ma anche con le attuali catastrofi di guerra - "un tema universale dal punto di vista tedesco" - alla diretta raccolta di testimonianze del Bild-online.
È una gamma di reazioni che appare logica se si considerano le implicazioni storico-sociali e culturali di quegli eventi e il peso che la loro disanima e la dinamica della loro elaborazione storica hanno nel più vasto e complesso dibattito sulla storia della Germania dal dopoguerra in poi. Una storia che assolverà il suo compito di informare, illuminare e formare politicamente solo se sarà comprensibile a cerchie più vaste di quelle intellettuali, secondo Günther Heydemann, professore di Storia recente all'università di Lipsia, che sa bene che per le giovani generazioni tedesche la storia del dopoguerra è lontana quanto quella carolingia. Ma elaborare una storia della Germania nel dopoguerra non è un compito facile.
Vi è una generazione ora quasi scomparsa di tedeschi che è nata sotto il regno del Kaiser, è cresciuta nella Repubblica di Weimar, ha vissuto la dittatura nazista e la Seconda guerra mondiale e nel dopoguerra è vissuta in uno dei due Stati tedeschi - qualcuno in tutti e due - e infine nuovamente in uno Stato nazionale democratico. Per la biografia collettiva che queste persone lasciano in eredità, questo vissuto attraverso cinque forme di Stato è stato "normale".
Se il Ventesimo secolo è stato determinato dalla lotta tra democrazia e dittatura, ciò riguarda in maniera particolare la Germania dove entrambe sono coesistite in un diretto confronto tra sistemi di governo, economici e sociali. Il nazionalsocialismo e il socialismo reale sono stati al potere in Germania per complessivi 52 anni. Dove si è svolta dunque la storia della Germania del dopoguerra? È accettabile che la storia della Repubblica Democratica Tedesca e dei suoi abitanti finisca per essere, come qualcuno ha ironizzato, "una nota a pie di pagina della storia"? O rappresenta una svolta nella storia europea? Il 1945, con la sua immane tragedia, è anche la storia della riuscita integrazione di più di dodici milioni di persone nelle società tedesche del dopoguerra, ma quando si arriverà a elaborare da un punto di vista storiografico i molteplici e intrecciati piani dei rapporti e della percezione tra i tedeschi dell'Est e dell'Ovest e tra i due Stati?
In questo contesto, "raccontare per non scordare", come dice il regista Kai Wessel, "raccontare per parlarne" potrebbe essere considerato un passo di un processo già avviato.



Guiomar Parada è traduttrice di saggistica e giornalismo e, tra gli altri, per La Repubblica dal 1989.


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