SUONANO ALLA PORTA

- Brano tratto dal romanzo Come diventare buoni -


Nick Hornby




(...) Stasera nessuno di noi si sente di mangiare - non che ci sia molto da mangiare, in ogni caso. Pensavo di mettere le lasagne surgelate nel microonde, ma non ci sono più. Sono già a Finsbury Park, dove sono state servite su piatti di plastica agli avvinazzati che bazzicano le panchine appena dietro i cancelli, sulla Seven Sisters Road. (Le ha distribuite David, da solo, mentre noi siamo rimasti seduti in macchina. Molly voleva andare con lui, ma io non l'ho lasciata: se devo essere onesta, non perché pensavo corresse qualche pericolo, ma perché in questo momento è già abbastanza nauseante. Temevo che se avessi dovuto stare a guardarla mentre distribuiva da mangiare ai poveri come un'orfanella dickensiana di otto anni, avrei potuto cominciare a odiarla troppo per garantirle le necessarie cure materne.)
Quando torniamo a casa, mi scuso e vado a sdraiarmi in camera da letto con i giornali della domenica, ma non riesco a leggerli. Gli articoli non parlano più di me me me, ma di David, e del genere di cose per cui lui avrebbe Fatto Qualcosa. Dopo un po' scopro che in quegli articoli sto cominciando a leggere non le informazioni, ma i potenziali problemi per la mia famiglia, e cose che riguardano il mio conto in banca e il mio congelatore. Un articolo su un gruppo di profughi afgani rintanati in una chiesa a Bethnal Green lo faccio addirittura a pezzi e lo getto via, perché contiene abbastanza miseria e patimento da farci morire tutti di fame.
Guardo il buco nel giornale e improvvisamente mi sento molto stanca. Non possiamo vivere così. Naturalmente non e vero, perché possiamo, comodamente - meno comodamente di prima, forse, ma comunque comodamente -, non moriremo di fame, al di là di quante lasagne daremo via. Allora, va bene. Okay. Possiamo, ma non voglio. Non è questa la vita che ho scelto per me. E d'altra parte non è vero nemmeno questo, perché è stata una mia scelta, no?, quella di sposare David nella ricchezza e povertà, nella salute e malattia, fino a che morte non ci avesse separati: e questo adesso è più rilevante che mai, perché potrebbe essere davvero malato, e la povertà potrebbe non essere tanto lontana.
Che cosa pensavo di scegliere, quando ho sposato David? Che cosa pensa di scegliere ognuno di noi? Se adesso cerco di ricordare le fantasie appena abbozzate che avevo allora, direi che piegavano più verso la ricchezza e la salute. Pensavo, suppongo, che all'inizio saremmo stati poveri ma felici, cioè avremmo vissuto in un appartamento piccolo ma grazioso e trascorso un sacco di tempo a guardare la tele o a bere boccali di birra nei pub, e ci saremmo arrangiati con i mobili passati dai nostri genitori. In altre parole, le difficoltà che ero pronta ad affrontare nei primi anni di matrimonio erano di natura essenzialmente romantica, ispirate ai cliché delle giovani coppie sposate ritratte nelle sitcom, o forse, dato che quasi tutte le sitcom sono più raffinate e complesse delle mie fantasie, alle pubblicità delle imprese edili. Poi, pensavo, col tempo un gruppo di difficoltà (le difficoltà che si possono avere quando bisogna guardare la tele in un piccolo appartamento e mangiare fagioli in scatola su fette di pane tostato) sarebbe stato sostituito da un altro: le difficoltà che insorgono quando si hanno due bambini adorabili, svegli e sani. Ci sarebbero state scarpe da calcio infangate, figlie adolescenti che s'impadroniscono del telefono, mariti da strappare a forza dal televisore perché vadano a lavare i piatti... Dio mio, non ci sarebbe stata fine a questo genere di problemi, e io non mi facevo illusioni: le scarpe da calcio infangate sarebbero state una prova durissima! Ma, comunque, ero preparata. Non ero una bambina. Non ero nata ieri. Non c'era rischio che mi mettessi a comprare tappeti bianchi...
Quello che il giorno del matrimonio non riesci mai a prevedere nemmeno lontanamente - e come fai? - è che un 'giorno o l'altro odierai il tuo sposo, che lo guarderai e rimpiangerai di avere anche solo scambiato una parola con lui, figuriamoci un anello e fluidi corporei. Né è possibile prevedere la disperazione e la depressione, la sensazione che la tua vita sia finita, l'impulso, ogni tanto, di picchiare i tuoi bambini frignanti, anche se picchiarli è una cosa che non faresti mai, lo sai per certo. E naturalmente non pensi di farti delle storie, e quando arrivi al punto di pensarci (e prima o poi succede a tutti), non pensi al senso di nausea che ti prenderà lo stomaco in quei momenti, alla loro intrinseca tristezza. E non pensi che un bel giorno, al risveglio, ti capiterà di non riconoscere più tuo marito. Se chiunque pensasse a una qualsiasi di queste cose, allora nessuno si sposerebbe mai, ovvio che non lo farebbe; in realtà, l'impulso di sposarsi potrebbe avere la stessa origine dell'impulso di scolarsi una bottiglia di candeggina, e gli impulsi di questo genere sono proprio quelli che cerchiamo di ignorare, piuttosto che celebrare. Non possiamo permetterci di pensare a queste cose, perché il nostro progetto è sposarci - o trovare un compagno con cui trascorrere la nostra vita e avere dei bambini. Sappiamo che un giorno lo faremo e, se ci portate via questo, ci rimangono solo le promozioni sul lavoro e la possibilità di vincere alla lotteria; poiché questo non basta, ci illudiamo di poter avere altre relazioni e di trovarci poi ad affrontare soltanto il problema della rimozione, così diventiamo infelici, prendiamo il Prozac e poi divorziamo e moriamo soli.
Forse sto esagerando. Forse tutte queste considerazioni sulla candeggina e il Prozac e le morti solitarie sono una risposta inadeguata al crimine di dare lasagne agli ubriachi che muoiono di fame. Nel giorno del nostro matrimonio, il vicario ci chiese, in quel momento in cui parla alla sposa e allo sposo privatamente, di rispettare i pensieri, le idee e le proposte dell'altro. All'epoca, questa sembrava una richiesta ineccepibile, facile da garantire: David, per esempio, propone di andare a un ristorante e io rispondo: "Allora, okay ".
O gli viene un'idea per il regalo del mio compleanno. Questo genere di cose. Adesso capisco che c'è tutta una serie di proposte che un marito può fare a una moglie, e non tutte sono degne di rispetto. Potrebbe proporle di mangiare qualcosa di disgustoso, come cervella di pecora, o fondare un partito neonazista. E lo stesso varrà per i pensieri e le idee, no? Sto spiegando tutto questo al vicario vent'anni dopo l'evento quando suonano alla porta. Faccio finta di niente, ma un paio di minuti dopo David mi strilla su per le scale che ho visite.
È Stephen. Quando lo vedo quasi mi cedono le gambe. Mio marito è al suo fianco e i miei figli gli passano davanti di corsa, come la scena di un film che ipnotizza semplicemente perché è fuori dalla portata della nostra immaginazione.
Faccio per presentare il mio amante a mio marito, ma David mi ferma.
"So chi è" dice con calma. "Stephen si è già presentato. "
"Oh. Bene." Voglio chiedere se Stephen ha dichiarato nome e posizione, diciamo, ma l'atmosfera mi fornisce tutte le risposte di cui ho bisogno.
"Mi piacerebbe parlare con voi" dice Stephen. Io guardo con ansia David. "Con tutti e due" aggiunge Stephen; anche se questo dovrebbe in qualche modo rassicurarmi, non ci riesce. Io non voglio parlare. Voglio che David e Stephen vadano in una stanza e poi escano e mi dicano che cosa fare. Farei qualsiasi cosa decidessero, purché non mi debba sedere al tavolo con loro. David fa strada a Stephen, e andiamo a sederci al tavolo della cucina.
David chiede a Stephen se vuole qualcosa da bere e io prego che lui non lo voglia. Vedo già con orrore come potrebbe essere la vita, con tutti noi lì ad aspettare che l'acqua nel bollitore sia pronta, o David che rovista nei cassetti del congelatore alla ricerca della vaschetta del ghiaccio, e poi la batte per dieci minuti.
"Potrei avere un bicchiere d'acqua del rubinetto? " "Te lo prendo io."
Salto su, prendo un bicchiere dalla lavastoviglie, lo risciacquo, lo metto sotto il rubinetto, lo riempio senza far diventare fredda l'acqua e glielo piazzo davanti. Niente ghiaccio, niente limone, certamente nessuna grazia, ma la speranza che questo possa rendere più spedite le cose viene infranta dall'insistenza di David.
"E tu, Katie? Una tazza di tè? Posso farti una tazza di caffè vero? "
"No! " strillo.
"E se mettessi su il bollitore, nel caso..."
" Siediti, per piacere. "
"Va bene. "
Si siede, e ci fissiamo a vicenda.
"Allora? Chi comincia? " chiede David, con relativa allegria. Io lo guardo. Non sono del tutto sicura che stia rispondendo alla gravità del momento. (O forse sto diventando melodrammatica, forse tendo anche a esagerare un po' la mia importanza? Magari il momento non è poi tanto grave e nel mondo la gente fa queste cose di continuo. Da qui la spigliatezza di David. Sto prendendo tutto troppo sul serio, come al solito?)
"Immagino che debba cominciare io" dice Stephen. "Visto che sono io, diciamo, quello che ha indetto la riunione."
I due uomini sorridono, e io stabilisco che questa volta il mio istinto non sbaglia: sto prendendo le cose troppo sul serio, è chiaro che queste cose succedono di continuo, e il mio disagio è indicativo di un disastroso, imbarazzante tradizionalismo di fine ventesimo secolo. Forse ogni settimana Stephen va a trovare i mariti delle donne con cui è stato a letto. Forse... Forse lo fa anche David, ed è per questo che, a quanto pare, sa come comportarsi in questa situazione.
"Volevo solo vedere a che punto eravamo arrivati" dice Stephen amabilmente. "Mi spiace di non avere chiamato o avvisato prima, ma ho lasciato a Katie un paio di messaggi e lei non ha risposto, e così ho pensato: perché non prendere il toro per le corna? "
"Visto che è comunque di corna che si tratta" dice David. "Dal momento che me le hanno messe."
"Scusa?"
"Le corna. Il tradimento. Scusami. Una battuta stupida."
Stephen ride educatamente. "Oh, capisco. Non male." "Grazie."
Forse sono io. Forse non ha niente a che vedere con gli attuali costumi sessuali di Londra Nord, di cui non so nulla, e nemmeno con BuoneNuove e il suo effetto su David; forse è solo perché non sono abbastanza eccitante per scatenare qualcuno. Okay, sono abbastanza attraente perché a Stephen venga voglia di venire a letto con me, ma quanto a suscitare incontenibili impeti di gelosia, comportamenti demenzialmente possessivi, sgomento d'amante abbandonato, be', non c'è niente da fare, mi manca qualcosa. Io sono Katie Carr, non Elena di Troia, o Patti Boyd, o Liz Taylor. Gli uomini non si battono per me. Si fanno quattro passi una domenica sera e ci scherzano sopra.
"Se posso interrompere per un secondo" dico stizzita. "Mi piacerebbe accelerare un po' le cose. Stephen, che diavolo ci fai qui? "
"Ah" dice Stephen. "Domanda da sessantaquattromila dollari. Okay. Respiro profondo. David, mi spiace se la cosa ti giunge inattesa, perché mi sembri una brava persona. Ma, vedi... sono giunto alla conclusione che Katie non vuole stare con te. Vuole stare con me. Mi spiace, ma questi sono i fatti. Io voglio parlare di... capisci?, di che cosa dobbiamo fare. Da uomo a uomo."
E adesso che sento "i fatti", come vengono presentati da Stephen, la visione bevi-candeggina del matrimonio misteriosamente evapora. O meglio, si trasforma nella visione bevi-candeggina di Stephen, e vado nel panico.
"Tutte sciocchezze" dico a quelli che sono lì ad ascoltarmi. "Stephen, adesso dovresti piantarla e andartene, prima di fare la figura dell'idiota. "
"Sapevo che avresti detto così" dice Stephen con un sospiro e un triste sorriso io-ti-conosco-bene. "David, forse tu e io dovremmo parlare da soli."
Tanta sfrontatezza mi fa arrabbiare - "Ma certo, sì, va bene, uscirò dalla stanza e quando avrete deciso mi direte con chi devo stare" -, ma la verità è che ho la tentazione di andarmene, sì, proprio così. Non voglio vivere i prossimi odiosi minuti di questa conversazione. Ricordo di essermi sentita nello stesso modo quando partorii Tom: a un certo punto, con la testa rintronata da gas e ossigeno e poi da un'epidurale, in un modo o nell'altro mi convinsi che la causa del dolore non era il bambino ma la sala parto, e che se fossi uscita di lì in quel momento tutto sarebbe finito. Non era vero allora e non è vero adesso: l'agonia si produce indipendentemente da dove mi trovo.
Il colpo che ho dato a Stephen sembra solo averlo imbaldanzito e rilassato.
"David" dice, "questo potrebbe ferirti, ma so che... lo so perché ne ho parlato con Katie negli ultimi mesi... che... be', ci sono un sacco di cose che non vanno bene."
David lo interrompe educatamente prima che Stephen abbia la possibilità di elencare tutti i problemi che secondo lui abbiamo. "Katie e io ne abbiamo parlato. Ci stiamo lavorando su."
In questo momento non posso fare a meno di amare David. È calmo quando avrebbe tutte le ragioni per essere arrabbiato per tutto e con tutti, e la conseguenza è che sento, per la prima volta dopo tanto tempo, che siamo un'unità, una coppia, un matrimonio, e che dopotutto il matrimonio è una cosa a cui tutti dovremmo aspirare. In questo preciso istante sono felice di essere sposata, di essere due contro uno, di essere unita al mio compagno contro questo estraneo pericoloso e distruttivo con il quale mi è capitato di fare sesso. L'alternativa è un triangolo anarchico, e io sono troppo spaventata e troppo stanca per questo.
"Ci sono cose che non puoi risolvere" dice Stephen. Non cerca lo sguardo di nessuno di noi due; tiene gli occhi incollati sul bicchiere d'acqua.
"Tipo?"
"Lei non ti ama. "
David mi guarda, cercando una qualche reazione. Io decido di scrollare la testa e alzare gli occhi al cielo - una risposta opportunamente ambigua, spero, a quella che dopotutto è una questione molto complicata (due secondi fa lo amavo venti minuti fa lo odiavo, nel primo pomeriggio non mi preoccupavo né dell'una né dell'altra cosa, e così via, proba bilmente, a ritroso fino al ballo del college) -, ma né la scrollata di testa né l'alzata d'occhi sembrano sortire l'effetto desiderato, perché adesso mi stanno guardando tutti e due.
"Questo non l'ho mai detto " butto lì speranzosa.
"Non ce n'era bisogno" dice Stephen, e non posso negare che chiunque mi abbia sentita parlare di David non pui certo aver concluso che ne fossi innamorata persa. "E poi c'è il sesso... "
"Di questo non ho davvero mai parlato..."
"In realtà sì, Katie. Hai detto qualcosa sulla differenza tra l'arte e la scienza, e che preferivi l'arte."
Oh. Oh, mio Dio. Non si può certo dire che sia stat un'uscita fortunata. Non mi ero resa conto di aver dato voce alla mia teoria dell'arte contro la scienza, ma evidentemente l'ho fatto.
"Non ho mai detto che preferivo l'arte."
"Hai detto che eri scienziata di professione e che a letto non avevi bisogno della scienza."
Ora che riprende la citazione, mi viene in mente di aver detto qualcosa del genere, ma serviva a far sentir meglio Stephen, non so se mi spiego, dal momento che a me non succedeva nulla. E ironico, allora, che sia stata usata come arma contro David, con il quale mi succedeva sempre qualcosa. (Se v'interessa, qui c'è dell'altra ironia, perché David è decisamente contro la scienza, e non perde occasione per ribadire la superiorità delle arti sulla scienza, per dare degli idioti a tutti gli scienziati e via dicendo. Così, in questa situazione, prima di tutto ha cambiato campo senza saperlo ed è diventato uno scienziato, cioè il peggior nemico di se stesso. E poi, avendo cambiato campo e avendo ottenuto più risultati dell'artista - ma forse sono io, adesso, a parlare da scienziato -, viene attaccato per questo.)
Mi spiace " dice David dolcemente.
Né Stephen né io abbiamo il cuore di spiegare, così lasciamo questo malinconico (e, diciamolo, perfettamente comprensibile) disorientamento sospeso nell'aria. Ma odio la sensazione che adesso, improvvisamente, Stephen e io siamo l'unità, e che l'incomprensione di David lo isoli. Non voglio un'alleanza con questo scemo. Non più.
"Stephen, quando te l'ho detto stavo solo cercando di essere carina con te. Era una spiegazione del fatto che non ero venuta." Lancio un'occhiata a David, sperando che questa informazione brutalmente piana lo rincuori, e che questo traspaia in qualche parte del suo viso, ma lui è ancora impassibile e tranquillo. Voglio farlo sentire meglio di come dovrebbe sentirsi, ma adesso mi accorgo che il riferimento al mio rapporto sessuale con Stephen, nonostante il relativo fallimento, non è il modo per riuscirci.
"Questo lo dici adesso" risponde Stephen. Nella sua voce c'è un gemito che non avevo mai colto prima, e non mi piace. "Non era questo che dicevi quando eri sopra di me a Leeds. "
David distoglie lo sguardo, finché un sussulto annuncia che il colpo è arrivato a segno. "No, non è questo che ho detto allora" ribatto, e nella mia voce c'è un calore autentico. Adesso comincia davvero a infastidirmi. "Sappiamo tutti e due cosa ho detto allora. Ho detto quella cosa sull'arte e la scienza, sì. È di questo che stiamo parlando. Stiamo interpretando le parole che ho usato. Ti prego, fa' uno sforzo e cerca di seguirmi, Stephen. "
"Oh, mi spiace moltissimo di non essere abbastanza veloce per te." Ci guardiamo in cagnesco, ed è questo che alla fine fa alzare in piedi David.
"Scusate se parlo quando non è il mio turno" dice, "ma non mi sembra proprio che voi due abbiate grandi probabilità di essere una coppia felice e soddisfatta. Non mi pare che andiate tanto bene. E invece adesso dovreste. Quando si comincia è così. La passione iniziale e tutto il resto."
È un'osservazione così ovvia e gradita che mi strappa un sorriso, anche se il "voi due" e la "coppia" non mi vanno proprio giù.
"Voglio dire... in tutta onestà, Stephen, non sembri piacere molto a Katie. Non intendo parlare al suo posto, ma secondo me non ha tutta questa fretta di scappare con te. E, lo sai... dev'esserci una certa dose di... di... unanimità al riguardo. Altrimenti è difficile che accada, o no? "
"Certo, cazzo " dico io.
"Katie... " Stephen si allunga per prendermi la mano e io la allontano di scatto. Non posso credere che voglia discutere questo punto.
"Non ho sedici anni, Stephen. Non è come cercare di convincere qualcuno ad andare al cinema. Ho un marito e due figli. Credi che di colpo mi lasci convincere dalle tue parole e li lasci? 'Oh, sì, che stupida, hai ragione, voglio stare con te.' Ho sbagliato. Dovrò farci i conti, con questo, e lo stesso vale per David. Per favore vattene."
E se ne va, e non lo vedrò mai più. (Oh, ma a lui penserò, certo che a lui penserò. In questa storia non ci sarà più, ma nei mesi e negli anni a venire mi ritroverò a chiedermi se avrà una compagna, se si ricorderà di me, se gli avrò lasciato una qualche cicatrice, piccola, magari, ma deturpante... Non sono andata a letto con un numero sufficiente di uomini per dimenticarli tutti, soprattutto i più recenti. Così, anche se non sentirete più parlare molto di lui, non cadete nell'errore di credere di poter fare come se non fosse mai esistito.)



(Brano tratto dal romanzo Come diventare buoni, Ugo Guanda editore, Milano, 2001, Traduzione di Stefano Viviani.)



Nick Hornby è nato nel 1957 e vive a Londra. Dopo aver lavorato como insegnante, si dedica ora a tempo pieno alla scrittura e collabora con le più prestigiose pagine letterarie inglesi. Ha pubblicato tra altro i libri Febbre a 90°, Alta fedeltà, Un ragazzo, 31 canzoni e Non buttiamoci giù.


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