DISABLED GOGGLES

Franca Di Muzio





Sono sempre stato un tipo duplice. Nato dall'assemblaggio meccanico di plastica e gomma, unisco rigidità a elasticità, trasparenza a opacità, superfici lisce e impermeabili a un abbraccio da ventosa.

Una custodia sigillata mi ha protetto durante il tragitto dalla fabbrica al negozio, dove un commesso dalle mani frettolose mi ha appeso tra altri miei simili in fila indiana sotto calde luci al neon, esponendoci agli sguardi di potenziali clienti. Le etichette appiccicate sulla mia confezione decantavano le mie proprietà anti appannamento e anti goccia, a patto che mi si trattasse con le dovute attenzioni. Concepito per proteggere gli occhi umani dall'impatto con l’acqua clorata, sognavo una carriera di tuffi e medaglie, in compagnia di una giovane promessa del nuoto.

Era bastato un cromosoma in più per fare di Marco una promessa mancata, dotata del carattere ostinato dei campioni – rabbrividisco ancora al ricordo dei suoi occhi asiatici mentre aspettava il VIA! dell'istruttore – e di un'energia disperata, distribuita in modo asimmetrico nel suo corpo sbilenco. E' stato durante un allenamento, nell'ennesima virata mal riuscita che mi sono allentato; la pressione dell'acqua mi ha vinto, infilandosi tra me e gli occhi di Marco, provocandogli lacrime rabbiose. Gonfio d'acqua e di vergogna, desideroso solo di sfuggire alla sua ira, sono sceso a picco sul fondo piastrellato, ma lui mi ha ripescato rapido, sbattendomi sul bordo marmoreo della piscina. Ho sentito un “crac” e mi son detto: “Qua se mi buttano nel bidone della raccolta differenziata già mi va di lusso!”. Invece l'istruttore – un tipo pratico e atletico, avvezzo a non demordere facilmente – ha buttato via solo le mie lenti rotte, tenendomi da parte come elastico.

Addio rigidità e trasparenza; la mia duplice natura si riduceva ora a quella di una piovra inane, appiccicosa e opaca.

Ho reagito alla perdita della mia metà e della mia stessa ragion d’essere rifugiandomi in un dormiveglia agitato da sogni di gloria futura mischiati ad incubi di spazzatura – sul fondo di un canestro di plastica, in compagnia promiscua di ciabatte scompagnate non esattamente profumate e cuffie dimenticate: tutti accomunati dall’attesa interminabile della propria metà, dell’unità perduta, di una nuova completezza. A quanto vedevo ero l'unico elastico lì dentro e per questo mi sentivo guardato con sufficienza; io stesso non credevo più alle mie potenzialità. Gli altri, almeno, potevano sempre attendere il reclamo da parte del legittimo proprietario, mentre il mio mi aveva rigettato e rotto. Non mi restava che sperare nella rottura irreparabile di un mio simile, come un umano in attesa di trapianto.

Durante le ore della scuola nuoto le nostre speranze toccavano il culmine: era il momento in cui venivamo tolti dal cesto e appoggiati su un tavolino a bordo piscina, attendendo il recupero (o anche, perché no?, il furto!) da parte di uno qualsiasi dei tanti ragazzini disabili o delle loro mamme sempre in bilico tra apprensione spontanea e crudeltà necessaria. I ripescaggi, tuttavia, erano rari e alla fine di quelle lunghe ore speranzose mi ritrovavo sempre più disilluso, con qualche ciabatta e cuffia in più ammonticchiata addosso, ricacciato ancora una volta sul fondo del cesto.

Bloccato in questa condizione, avevo occhi (insomma, immaginavo di averle ancora, le mie lenti!) soltanto per colui che, pur lasciandomi menomato, mi aveva salvato. Ne scrutavo i muscoli allenati, i gesti imperiosi e insieme pazienti, ripetendomi in un mantra illusorio che presto sarebbero stati quegli stessi muscoli e gesti a proiettarmi in una nuova vita, diversa dalla precedente. Una vita più dolce, con meno stress, magari insieme a una donna, una anche un po' pigra, preoccupata per un inizio di cellulite; una che non contasse a voce alta il numero delle vasche percorse, vantandosi dei propri progressi; una che mi aggiustasse con garbo di tanto in tanto e mi sciacquasse per bene con acqua dolce prima di ripormi in una custodia asciutta… una ragazza come quella lì, che ha in mano un paio di occhialini penzoloni e fa cenni all'istruttore!

Lui annuisce, smembra il mio simile – il dolore è un ricordo che non mi fa più male adesso – e con un paio di lenti in mano viene dritto verso il nostro cesto. Cuffie e ciabatte mi guardano fisso, sento la loro invidia pesarmi addosso ma ecco!, la mano cara, la mano conosciuta, la mano del mio salvatore e carnefice li spinge via per farsi strada verso di me! Il contatto con le sue dita abbronzate mi vivifica, scaccia via i fantasmi del mio passato inutile; non faccio neanche in tempo a chiedermi come sarà la mia nuova metà che mi ritrovo già annodato a lei. Certo, non è la mia metà ideale: queste lenti sono di un colore impossibile che cozza col mio, e paiono anche più piccole del dovuto, ma certe cose non si scelgono, accadono e allora l'importante è non avere paura di tuffarsi ancora.

“Prova un po’ con questo”, dice l'istruttore porgendomi alla ragazza che mi guarda, ci guarda perplessa -- un paio di occhialini assurdi ma unici, non ci troverai mai in nessun negozio ma fidati cara, insieme sapremo proteggerti! -- e mi accomoda intorno alla sua testa fasciata dalla cuffia, sui suoi bellissimi occhi scuri con i gesti lenti e precisi che avevo sempre sognato. Sì, sono un po' anchilosato dalla mancanza di esercizio, ma quando la mia nuova padrona parte dando un colpo di reni e l'acqua ci bagna improvvisa, mi sento come se non avessi mai smesso: rinsaldo la presa sugli occhi, tengo ben strette le mie nuove lenti e mi tendo in un luuuuuuungo sorriso!


Franca Di Muzio: A quattro anni impara a leggere, a otto a nuotare: da allora, non riesce a stare a lontana a lungo dai libri e dalle rive adriatiche. Copywriter di lungo corso, prima di arenarsi nella pubblicità si è laureata in lingue, barcamenata nel giornalismo, tuffata nell’editoria, impelagata con la traduzione. A ottobre un suo racconto sarà pubblicato in apertura dell’antologia “Fiocco Rosa” edita da Fernandel Edizioni. E’ sempre in cerca di nuovi approdi. E-mail: fradim@hotmail.com




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