PER UNA VECCHIA RETE DEL LETTO


Monica Dini



È ancora notte quando Miriam si alza.
Si alza prima che suoni la sveglia. Prepara il caffé, lo mette sul fornello e sposta le tendine della porta a vetri, per guardare fuori. È un'abitudine.
Tutte le mattine fa così.

È notte perché è autunno inoltrato, Miriam distingue le sagome degli alberi, il gatto gonfio sulla gronda della veranda. Apre la porta per sentire se finalmente, è arrivato un po' di freddo dopo i lunghi giorni di pioggia e scirocco. Con una mano stringe la vestaglia vicino al collo. Gli uccelli notturni vociano sui rami. Siamo in campagna, sul limitare del bosco. Miriam, come ogni mattina, respira forte ed esprime un desiderio. Fa' che non cambi mai niente.
Non è a un dio che fa la sua richiesta.

Passa il caffé, Miriam prepara le tazze. Una zolletta per Giovanni, niente zucchero per sé. Va in camera da letto e insieme, bevono il primo caffé della giornata.
Tutti i giorni lo stesso rituale.

- Miriam, oggi compro la rete nuova per il letto. Non ne posso più.
- No, avevamo detto di tenerla un altro po', ti ricordi?
- No, ora basta per davvero! Non posso svegliarmi più stanco di quando sono andato a dormire. È sfondata, lo sai anche tu, e poi cigola, non la sopporto più.

Giovanni, tiene la tazza nel palmo della mano, la fa oscillare per sciogliere lo zucchero rimasto, poi finisce il caffé.

- Teniamola ancora un po', è tanto tempo che è con noi, ti ricordi?
- Non dire stupidaggini!

Giovanni scende bruscamente dal letto.

- E' deciso, non ne voglio riparlare. Che sarà mai, sostituire una rete vecchia, ne parli come fosse una persona! Che stupidaggine!

Miriam si avvicina alla finestra e di nuovo guarda fuori. C'è più luce adesso, si vede l'albero dei corbezzoli. Ha i frutti maturi, ma ancora non si distinguono.

Miriam non riesce a spiegare la sensazione che prova, una sensazione che conosce fin da bambina. Da sempre si affeziona alle cose come se assorbissero una parte di sé stessa, come se alla fine, attraverso la sua memoria, vivessero. Ricorda ancora la tristezza di aver lasciato il suo letto di ragazza, la sensazione che tutte le sue cose soffrissero del fatto che lei andava a vivere in un altro posto. L'unica cosa che Giovanni le aveva concesso di portare via, dalla casa dei suoi genitori, era stato il cuscino. Dormiva ancora su quello di quando era bambina.

Giovanni aveva deciso. Nel pomeriggio, finito di lavorare, avrebbe comprato la nuova rete. Aveva un camion, sarebbe stato facile portarla a casa.

Miriam svegliò i ragazzi che subito riempirono la casa di rumori.

Giovanni andò al lavoro, poi uscirono i ragazzi per andare a scuola.

Di solito si sentiva bene quando tutti erano sistemati, procedeva secondo le sue rigorose abitudini, a sistemare la casa. Dalle nove alle nove e mezza puliva il bagno, poi il salotto, poi le camere e per ultima la cucina, tanto doveva preparare da mangiare. Non amava i cambiamenti, gli imprevisti che la costringevano a modificare anche di poco, le sue abitudini. Le cose nuove la sgomentavano.

Cambiare la vecchia rete con una nuova senza storia, la disturbava.

Quella mattina rifece il letto con estrema cura togliendo tutte le pieghe, come per accarezzare. Si fermò a fare il conto di quanti anni erano che dormivano in quel letto. Più di venti. Sperò che suo marito facesse tardi e non passasse a comprare la rete nuova. Sperò che gli fosse passata la voglia.

Giovanni invece lavorò tutto il giorno con attenzione, poi con il camion andò da Piero che vendeva mobili e accessori, e acquistò una rete a doghe. La più costosa.

Miriam lo vide arrivare dalla finestra del bagno.

Non disse una parola, aiutò Giovanni a scaricare la rete, lo guardò togliere il cellophane. Sapeva che non avrebbe capito la sua sensazione.

In camera disfecero il letto, tolsero il materasso appoggiandolo davanti alla finestra, (era una camera piuttosto piccola). Il materasso riparava la luce e la stanza era adesso in penombra.

Miriam stette zitta.

Aiutò Giovanni a portare fuori dalla casa la vecchia rete, senza mostrarlo la toccò un'ultima volta per salutarla, e andò in cucina a bersi due dita di vino rosso.

Giovanni sperava che Miriam l'aiutasse a caricare la rete sul camion, ma conosceva bene sua moglie e preferì non chiederle niente.

Mentre la caricava, alcune molle rimasero impigliate in un ramo di corbezzolo. Il ramo fu scosso per liberare la rete e caddero frutti rossi e gocce d'acqua delle piogge di quei giorni. Giovanni vide che le gocce brillavano sulla rete. Era stato ben fatto che Miriam non avesse visto quella scena, di certo, scema come si ritrovava, sarebbe stata capace di pensare che la rete piangeva o che il corbezzolo la salutava un' ultima volta, spargendo i suoi frutti.

Salì sul cassone per fissare bene la rete. La tirò un po' assestandola, fu allora che vide qualcosa di strano, fra le maglie di ferro nell'angolo a destra. Si avvicinò. Era un ciuccio per bambini. Un vecchio ciuccio annerito con l'anello rosa. Il vecchio ciuccio di quando sua figlia era una bambina piccola. Giovanni lo tolse dalle maglie di metallo della rete e lo tenne nel palmo della mano. Per un attimo rivide la sua bambina con il ciuccio in bocca sotto le coperte del lettone. Guardò la vecchia rete smagliata e arrugginita, pensò che lì sopra avevano dormito, sognato, concepito figli, curate influenze, giocato. Pensò che lì sopra avevano vissuto.
Sentì qualcosa allo stomaco. Forse era fame.
Legò la rete e partì per la discarica.

Giovanni si sdraiò in posizione corretta quella sera, ma prima di addormentarsi, si domandò per un attimo per quanto tempo avrebbero lasciato la sua vecchia rete fuori alle intemperie, nel mucchio di metallo della discarica. Forse sarebbe passato tutto l'inverno, prima che venisse riciclata.



Monica Dini ha appena pubblicato la sua seconda raccolta di racconti, Leggerezze.

 


     
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