NESSUNO Č MIO FRATELLO


Joăo Ubaldo Ribeiro


– Brano tratto dal romanzo Sergente Getúlio

 


(…) Una professione è una professione. Non mi piacciono i dottori. Non ho mai sparato su un dottore. O ho già sparato? Non mi ricordo. Dicono che Sinimbu faceva il dottore a Pernambuco. Adesso è morto, ecco, non fa più il medico né a Pernambuco né a Petrolina. Nem­meno nel Maranhão, in nessun posto e nemmeno in culo a Giuda. Animale lardoso. Han lavato il cadavere sfregandolo bene con pannocchie di mais, tanto non poteva diventare rosso, perché un cadavere non s'ar­rossa, rimane fermo lì, mentre s'irrigidisce. Nessuno fa caso se un morto è sporco, gli mettono il vestito buono, lo infilano dentro, e basta. Becchino, miserabi­le lavoro. Tutti i paraibani sono becchini. Paraìba è Brasile. Maledetta questa merda di polvere, è capace di farti venire il raffreddore. Un disastro, ti soffi il na­so ed esce solo terra. L'unica è prendere un cognac bello forte. Guarda un po', per portarti da Paulo Afonso, in pieno Stato di Bahia, fino a questi posti della malora, un viaggio corto fino adesso, se non fosse per questa benedetta strada di merda, che sono già tutto sporco e col fango che mi cola per le pieghe del collo. Pensa alla buonanima di Cavalcanti, che l'han portato da Paulo Afonso in un'ambulanza che era più un pulmino che un'ambulanza, con ventisei pallottole in corpo, da tutte le parti, e il povero cristo è arrivato ancora vivo ad Aracaju, buttando fuori sangue, e han dovuto prendere sangue da un bel po' di gente per darlo a lui. Ventisei buchi nella carcassa, e il povero cristo che lottava contro la morte con tutte le sue for­ze, come un gallo da combattimento. Non credo che tu abbia mai visto un uomo che cerca di resistere alla morte, perché a quel che mi dicono tu sei uno che comanda, non uno che fa. È giusto, nella tua posizione. Ma vedi bene, non c'è spettacolo più spaventoso di

quando un uomo lotta contro la morte. Quando un soccorso arriva in tempo e trova l'uomo ancora in vita, si vede quel petto che sale e scende e i sussulti dell'a­gonia e quell'angoscia e quella lotta e la testa che gira e rigira e le mani che si torcono. Chi non ha mai visto non sa cos'è. C'è chi dice che la morte è calma. C'è chi dice che dona persino la pace, come nel riposo. Sarà così, ma solo dopo, perché sul momento quello sbarra gli occhi e si attacca a tutto quel che trova, come chi si afferra alla vita. E si rigira e digrigna i denti e alza la testa e cerca l'aria e vuoi parlare e si guarda attorno e s'arrabbia perché nessuno gli sta vicino e si fan viola le labbra e fa per sedersi e si sfrega contro tutto e si sba­va e si rigira sul fianco e guarda fisso la gente e boc­cheggia e gli vien pena di se stesso e allunga le gambe e trema tutto e fa la faccia del terrore e si contorce e fa strani rumori e sbuffa e se la fa addosso e grida e pensa a quello che non ha mai fatto e implora Dio nell'alto dei cieli e scalcia il vento e si tira i vestiti che porta e gonfia il petto e alla fine sembra che faccia uno sforzo e rivolta gli occhi in un modo terribile e dà uno strat­tone e se ne va via per la sua strada, che intanto viene il giorno di noi tutti. Ognuno ha un'ora e quella è la sua ora. Ma a nessuno piace andarsene, il resto son discorsi da prete. Qualunque pericolo sulla terra, c'è qualcuno che l'ha visto e può raccontarlo. Là, chi ha visto non lo può raccontare, è una sorpresa. Chi vuoi essere passato per le armi? Dovresti vedere una carica di cavalleria, quando si può usare la sciabola per battere di piatto sui fianchi della bestia. Su un cavallo esu­berante, ombroso, con gli zoccoli al vento. Che nitri­sce forte. E vai pure, ché intanto nessuno è mio fratello che lo debbo risparmiare. A Buquim abbiamo fatto un'imboscata a cavallo, una volta. Si prendono prima gli ultimi, come a caccia. I primi restano perla seconda carica. Siccome non mi piacciono le armi spocchiose, ho preso la pistola, ma Tonico ha portato la mitragliatrice piccola, l'ha usata e non è stato un bell'affare, perché le cervella si son spappolate e volavano pezzi di mandibola e c'erano schegge d'uomo da tutte le parti, come quando avevano ammazzato un certo tizio a Ita­baiana Grande. Gli ordini che avevamo avuto dicevano: non avvicinatevi ai corpi. Ma non c'erano proprio più i corpi, altro che, quell'aggeggio fa schizzare san­gue da ogni parte e non lascia niente di intero. A Tonico piaceva, lui era più un pistolero che un politico. Io sono un politico, non ammazzo tanto per ammazzare. Tonico spara ridendo, è un duro, per questo sono più di cento quelli che hanno giurato d'ammazzarlo. È chiamato Mano di Giaguaro perché la sua mano non trema quando usa la mitragliatrice, aggrotta le soprac­ciglia, si morde il labbro e la stringe con forza. La pun­ta così, davanti a lui, e la tiene ben stretta malgrado il rinculo, anche se la bestiaccia tira a sinistra, sputando un caricatore dopo l'altro.(…)


( Brano tratto dal romanzo Sergente Getúlio , Einaudi editrice, Torino, 1986. Traduzione dal Portoghese di Stefano Moretti.)






João Ubaldo Ribeiro
, bahiano dell’isola di Itaparica, č nato il 23 gennaio 1941. Il suo primo romanzo č del 1962: Setembro năo tem sentido. Seguono poi, nel 1971, Vila Real e Sergente Getúlio, due raccolte di racconti, Vencecavalo e o outro povo (1974) e Livros de Histórias (1981), e infine il romanzo-saga Viva o povo brasileiro, pubblicato nel 1984.

 


      
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