DAVANTI A UNA FOTO CON IL CHE DI QUASI TRENT’ANNI FA


Tomáz Gutiérrez Alea




– ALLA MORTE DEL REGISTA CUBANO TOMÁZ GUTIÉRREZ ALEA (TITÓN), AVVENUTA ALL’AVANA NEL 1996, SUA MOGLIE, MIRTHA IBARRA, HA RACCOLTO GLI SCRITTI INEDITI, LE LETTERE E I DISEGNI LASCIATI DAL MARITO, PER PREPARARE L’OMAGGIO CHE, PER IL DECENNALE DELLA MORTE, CUBA HA TRIBUTADO, NELLE SALE DEL MUSEO DE BELLAS ARTES DELL’AVANA, AL GRANDE REGISTA DI MEMORIE DEL SOTTOSVILUPPO, L’ULTIMA CENA E FRAGOLA E CIOCCOLATO. MIRTHA HA POI VOLUTO ANCHE PUBBLICARE IL MATERIALE RACCOLTO, DI GRANDE INTERESSE NON SOLO PER LA CONOSCENZA DELL’ITINERARIO ARTISTICO DEL REGISTA, MA ANCHE PER LA SUA PARTECIPAZIONE, COME INTELLETTUALE IMPEGNATO E ONESTO, AL CONSOLIDAMENTO DELLA RIVOLUZIONE CUBANA E DEL RUOLO DELLE ARTI IN UNA SOCIETŔ RIVOLUZIONARIA. IL LIBRO Č STATO PUBBLICATO NEL 2007 IN SPAGNA CON IL TITOLO VOLVER SOBRE MIS PASOS. NEL BRANO QUI RIPORTATO, SCRITTO NEL 1990, GUTIÉRREZ ALEA, GUARDANDO UNA VECCHIA FOOTGRAFIA CON ERNESTO GUEVARA, RICORDA LE SUE PAROLE CHE EVOCAVANO MOMENTI DELLA GUERRIGLIA NELLA SIERRA MAESTRA. UN’EPOPEA CHE, NEL 1960, TITÓN SI APPRESTAVA A FILMARE PER LA SUA OPERA PRIMA COME REGISTA: HISTORIAS DE LA REVOLUCÓN. –



Cosa mi ha fatto coincidere con il Che proprio in quel momento e in quel posto? Siamo sulla Sierra Maestra, poco tempo dopo la vittoria. Cosa abbiamo davanti che reclama in questo modo il nostro interesse?

Mi è toccato il privilegio di avere trenta anni trenta anni fa, nel momento miracoloso - per dirlo in qualche modo - del trionfo, nel mio paese, delle forze del bene sulle forze del male: un momento eccezionale in cui abbiamo la convinzione di essere più che mai vivi. Più pieni. Con la certezza che tutto quello che verrà, alla lunga, in ultima istanza, non potrà che essere migliore. Ma anche con non pochi timori visto che stavamo entrando a tutta forza in una nuova rotta, in un cammino sconosciuto in cui biso­gnava inventarsi tutto. E questo significava sbattere la testa contro il muro fino a farlo cedere. Perché alla fine cede sempre. In ultima istanza...

Ricordo di aver passato una notte, fino a tardi, a parlare con il Che.

Io stavo per cominciare a dirigere il mio primo film, Historias de la revolu­ción , in cui volevamo mostrare tre momenti drammatici della lotta contro Batista. Tre storie, come in Paisà . E una delle storie, naturalmente, avrebbe dovuto svolgersi sulle montagne, sulla Sierra Maestra, mentre i protagonisti che non avrebbero portato il nome degli eroi che erano diventati famosi in questa lotta, sarebbero stati anch'essi degli eroi, nella loro giusta misura. Un film il cui proposito era semplicemente quello di celebrare il trionfo, di farci gioire con le vicende di quel processo.

Io stavo cercando del materiale per sviluppare queste storie e il Che mi raccontava una quantità di aneddoti personali in cui l'eroe era sempre qualche altro combattente e in cui lui si era sempre sbagliato a giudicarlo.

Molte di queste storie le aveva già scritte lui e le aveva riunite in un libro: Pasajes de la guerra revolucionaria . Ma ce ne era una che non compare in questo libro e che lui mi ha raccontato un po' controvoglia, solo perché io insistevo visto che un suo attendente ne aveva fatto cenno. In questa storia la sua par­tecipazione rivelava i limiti che gli imponeva la sua condizione umana rispet­to ad una decisione fondata solamente sulla logica militare. In poche parole: un piccolo gruppo di ribelli viene sorpreso dalle truppe governative. La corre­lazione di forze è talmente sproporzionata che non è possibile affrontare il combattimento. È necessario ripiegare, fuggire. Ma il gruppo viene inseguito e bombardato con ogni genere di mitraglia. Uno dei compagni cade ferito in modo tale che è impossibile portarselo a spalla. Ha un punto della colonna vertebrale spezzato e qualsiasi movimento, anche il più lieve, gli produce un dolore insopportabile. Il capo del gruppo sa che non c'è niente da fare. Non c'è modo di salvarlo perché la ferita è mortale. Il ferito si è reso conto della situazione e chiede ai suoi compagni di lasciarlo e di cercare di salvarsi. Tutti sono convinti che questo è esattamente ciò che devono fare, ma nessuno è capace di abbandonare il moribondo. Restano li, mentre i soldati stringono il cerchio intorno a loro.

Mi è sembrato che questo aneddoto rappresentasse una situazione fortemente drammatica e ho deciso di utilizzarlo come base per sviluppare la storia che andavamo a collocare sulla Sierra Maestra. Ultimata la sceneggiatura, siamo andati a filmarla.

In quei giorni la madre del Che era arrivata dall'Argentina a trovarlo e lui aveva deciso di portarla sulla Sierra Maestra, per mostrarle alcuni dei luoghi dove aveva combattuto. E fu così che ci siamo incontrati di nuovo e che lui ha saputo che stavamo filmando la storia che lui stesso mi aveva raccontato. Ri­cordo che il giorno dopo il nostro incontro avevamo previsto di filmare la scena iniziale: un'imboscata messa in atto dal piccolo gruppo di ribelli contro una carovana dell'esercito. Ho mostrato al Che il luogo che avevamo scelto per montare la scena e lui ha sorriso prima di rivelarmi: "È proprio qui che io avevo organizzato l'imboscata", e poi si è messo a raccontarmi come aveva fatto.

Oggi, dopo trenta anni, mi domando: Come siamo arrivati fin qui? Che ne è stato dei nostri sogni? Continuiamo ad essere minacciati da un nemico potente che non cede nel suo impegno di stringere l'assedio intorno a noi. Quella situazione, che mi aveva raccontato il Che, salvando tutte le distanze, potrebbe ripetersi in qualsiasi momento. Che dovremmo fare in un caso simi­le? Questa domanda continua ad inquietarmi. Seguitiamo ad improvvisare ancora e ancora, siamo inciampati ripetute volte sulla stessa pietra e molte volte non riusciamo a spiegarci cosa sia successo. Poco a poco abbiamo finito con lo scoprire che la storia ha i suoi tempi e che, per quanto possiamo avan­zare rapidamente, la strada che abbiamo davanti a noi è molto più lunga di quello che sognavamo trent'anni fa.

Ma è anche vero che siamo arrivati fin qui con una rara dignità. E con una profonda sensazione di essere vivi.


(Articolo tratto dalla rivista Latinoamerica e tutti i sud del mondo, n° ½ del 2008.)




Tomáz Gutiérrez Alea
, regista di Fragola e cioccolato , è stato tra i fondatori della scuola di Cinema di l'Avana.


 


        
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