LA PARTENZA
( – brano del romanzo Il vuoto del tuo corpo – )

Paula Izquierdo

 

[Blanca Vallejo è una fotografa di talento, vive e lavora a Madrid ed è sposata con Germán, un uomo che la tratta con rispetto ma che al tempo stesso la ignora. Il matrimonio, inaspettato, arriva nel momento in cui scopre di aspettare una bambina, Inés, che purtroppo nasce già morta. Da questo tragico momento in poi Blanca sembra assumersi ogni colpa anche quella del marito assente, dedito agli amici, agli impegni. L’incontro con Jaime, un uomo sposato, riesce a farle provare nuove emozioni e a darle la forza di abbandonare il marito per dedicarsi con tranquillità al proprio lavoro ma soprattutto alla propria vita ormai da troppo tempo soffocata. Tutto il racconto si snoda a ritroso, nella mente del personaggio, dopo una notte d’amore trascorsa con un terzo uomo, Alberto, fotografo famoso conosciuto a casa di amici. Nell’abbandonare il letto, lascia un vuoto tra le lenzuola, quel vuoto che si è portata dentro fino a quando non è riuscita ad analizzare il suo passato per liberarsene ed iniziare così a costruire il suo vero futuro. Il brano qui riportato è forse il più importante del romanzo, in cui Blanca annuncia al marito di volerlo lasciare per andare a vivere sempre nella stessa città ma da persona autonoma, lasciandosi alle spalle, solo apparentemente, anche il ricordo più doloroso, quello della figlia mai nata, ormai l’unica ragione che continuava a legarli.]

 

(...)
Blanca si sentì come se qualcuno le stesse rubando l’aria, come se le avessero fatto un buco in testa e ne fuoriuscisse la sostanza, una bile nera, mentre guardava Germán e vedeva come si stava oscurando in faccia. Volle distogliere lo sguardo e si fissò sui fogli sparsi sul suo tavolo da lavoro: c’era un ritaglio di giornale, una recensione su un’esposizione di Darío Villalba. Lì, come se si trattasse della faccia di Germán, appariva una riproduzione di una fotografia a colori intitolata “Appena morto”, questa testa di morto con il cranio rasato, gli occhi socchiusi e la bocca semiaperta come se volesse dire un’ultima parola, il rantolo prima di morire. Germán sbiancò, il suo respiro diventò affannoso, i capelli sparirono dalla testa, quello era l’uomo che tanto aveva amato, e ora era morto. Sospeso nel tempo senza respiro, sulle labbra una leggera pellicola di saliva che si stava asciugando, lo splendore della vita era scomparso per sempre dal suo sguardo. Germán si sedette sul parquet dello studio e, dopo un momento di silenzio disse, con la voce che gli restava:
– Uno di noi due dovrà andarsene.
Fu Blanca che decise di andarsene. In fin dei conti era lei che aveva disfatto il matrimonio; le sembrava logico essere lei ad andarsene, sopportare la sensazione di andare via lasciando tutte le cose che le appartenevano e che nel tempo passato insieme avevano avuto una collocazione, furono persino scelte per quell’angolo, o quella parete, o per quel mobile della casa condivisa. Il trasloco durò quasi una settimana. Nel frattempo, Germán se ne andò con un amico a trascorrere alcuni giorni fuori Madrid. Non le disse dove, non aveva neppure importanza. Blanca non ebbe l’opportunità di spiegargli niente, forse continuava a dirlo a se stessa dal giorno in cui si erano sposati. Il loro matrimonio era stato la costruzione di una grande assenza, che si contrappose tra loro, fino ad arrivare a soffocarli. La univa a Germán solamente la nostalgia dell’amore che le aveva donato; un filo precario di ciò che avrebbe potuto essere la loro vita da sposati, condizionata dall’idea di che fine aveva fatto l’amore, impegnata nella ricerca della traccia di una storia scritta nel loro immaginario. Ma tutto questo era accaduto prima, quando poteva solo immaginarlo. Prima, quando aspettava ad occhi aperti che lui apparisse, nella sua vita, per amarla. Niente fu come lei aveva creduto, e i giorni si impegnavano insistentemente nel dimostrarlo, sebbene non fosse riuscita ad accorgersene fino a molto tempo più tardi. Non pensava che andandosene per sempre dal suo fianco, non si sarebbe riconosciuta in colei che stava distruggendo quella relazione in cui aveva tanto creduto quando era ancora solo un progetto. Blanca pensò che probabilmente Germán stesse aspettando che accadesse qualcosa del genere, altrimenti perché non le aveva chiesto nessuna spiegazione? Che pensava Germán della sua decisione? Come si sentiva? Perché non aveva lottato per averla, perché non aveva opposto alcuna resistenza? Non aveva detto niente, questo era il problema, non aveva mai detto niente. Dopo aver passato tanto tempo al suo fianco, non sapeva chi era Germán, cosa aveva nella testa, come pianificava il futuro, cosa poteva provare: né un gesto, né un rimprovero, né una domanda. Forse era meglio così. Chissà se sospettava che avesse conosciuto un altro uomo. Non sarebbe mai riuscita a saperlo. Dopo una settimana passata da sola in casa riesaminando ogni fatto accaduto tra quelle pareti – mille dettagli dimenticati, notti d’amore spese, desideri consumati –, finì di impacchettare tutte le sue cose consunte dalla paura. Chiuse la stanza di Inés, il suo studio, e sigillò un orologio senza lancette: l’ultimo resto di una famiglia. Il giorno in cui se ne andò da casa sua lasciandoci le chiavi, aveva creduto che questa tappa della sua vita si sarebbe trasformata in un ricordo, dapprima nitido, più avanti torbido e infine impossibile da immaginare. Ma non fu così. Si era sbagliata, non importa dove andiamo, quello che siamo ci accompagna sempre, niente di ciò che era accaduto scomparve del tutto dalla sua memoria.

Cercò un appartamento assolato dove poter vivere e metter su il suo studio fotografico; il requisito era che trovasse due stanze, due luoghi: uno per dormire e l’altro dove fare fotografie. Non le importava che la camera da letto fosse più o meno piccola; ma la stanza per lo studio doveva essere ampia e assolata. Dovette cercarlo giorno e notte prima di trovarlo. Non fu un compito finanziariamente facile: non volle farsi passare per la testa di chiedere aiuto a Germán e tanto meno a Jaime. Facendo i suoi conti, calcolò che, nella peggiore delle situazioni avrebbe potuto realizzare tre sessioni mensili di fotografia, e ciò implicava, applicando le sue tariffe da apprendista, cento o centocinquantamila pesetas al mese, ad esagerare. Così si impose come top sessantamila pesetas d’affitto. Alla fine trovò un appartamento in via Toledo, settanta metri quadri, ma con una finestra sulla città, senza ascensore e senza portiere. Bene, pensò, ora più nessuno controllerà la mia vita. Neppure il portiere. La casa aveva bisogno di un’accurata pulizia, ma andava bene.

La notte, da sola, era più lunga di quello che si era immaginata; i giorni erano giorni, niente di più. Le costò abituarsi a quel luogo, ai rumori della notte, al calore trasudante di quella estate, all’odore che sprigionavano le pietre bagnate di quel quartiere, all’inclinazione della strada, a trovare il bagno, dopo un brutto sogno, per l’abitudine situato in una parete che non si apriva, che non portava a nessun posto, che ormai non c’era più. Allora si ricordava di Germán e si chiedeva se forse non era andata troppo lontana, e così iniziava ad albeggiare, mentre ascoltava lo strillo acuto delle rondini, che non si fermano perché hanno le ali più grandi del corpo e se lo facessero non potrebbero ripartire, e volano corteggiando le zanzare che trovano nel loro tragitto e di cui si alimentano. Tutto ciò era stato lui ad insegnarglielo. Blanca si affacciava al balcone e guardava la gente passare, entrare dal panettiere, salutare il fruttivendolo; osservava le madri che tenevano per mano piccoli bambini con grandi zaini, come se andassero a fare un lungo viaggio, senza ritorno. Un autobus li prende e li lascia, li inghiottisce e li restituisce, che penseranno i bambini della loro vita. Lei seguiva i passi di una biondina dagli occhi azzurri e i lunghi capelli cenerini, sembrava angosciata, la vigilava fino a vederla allontanarsi nell’autobus. Le piaceva guardarla. Dopo chiudeva le persiane, faceva scorrere le tende nere dello studio, si sedeva sul suo sgabello di legno e restava così nell’oscurità, immaginando forme. Trascorreva lunghe ore al buio. Quello era il suo modo di concentrarsi; ma c’erano delle volte in cui non sopportava la sua mente in bianco, incapace di costruire qualsiasi immagine, e allora accendeva la luce e si metteva a leggere per non pensare. Ripeteva questa operazione ogni mattina, dopo essersi trattenuta un attimo al balcone, osservando la strada stretta, alla quale iniziava ad abituarsi.

Blanca aveva cercato una casa con un ascensore, ma le era riuscito impossibile trovarla; aveva sempre desiderato vivere in questa zona; vicino al Rastro, sebbene i personaggi delle sue fotografie avrebbero dovuto salire cinque piani di scale, storte, consunte dal passare degli anni. Chi le avrebbe detto che avrebbe raggiunto nuovamente la sua indipendenza; chi le avrebbe detto il giorno che entrò nel consultorio dell’ecografo che stava perdendo la sua libertà per sempre. Quando disse a Germán che se ne andava, lui non rispose. era seduto sul parquet dello studio in quel momento:

– Credo di essere io quella che deve andarsene.

Povero Germán: ora dovrà portarsi da solo la colazione a letto. Quando si trasferì in un appartamento pensò che finalmente avrebbe recuperato la sua individualità. In realtà nessuna delle spiegazioni che si era data a se stessa erano sicure; l’unica cosa che lei desiderava era riconquistare la luce, lo spazio, aveva bisogno di tempo per poter lavorare, chissà forse non lo avrebbe avuto mai, ma non voleva arrivare alla fine dei suoi giorni senza aver provato. E in questo intento tutto il resto doveva essere scartato, incluso la possibilità di dover dividere la vita con qualcuno. Aveva bisogno di stare sola per pensare. Era arrivata ad un punto in cui facendo quello che si proponeva, la gente intorno la infastidiva. Sebbene il paradosso fosse che aveva proprio bisogno della gente per raggiungere lo stadio a cui desiderava arrivare. Le sue fotografie non sarebbero esistite se non c’era uno spettatore che le guardava; ma Blanca, in quel momento, era troppo occupata a creare l’ambente propizio, le condizioni precise.

 


(Paula Izquierdo, “El hueco de tu cuerpo”, Ed. Anagramma, Barcelona, 2000. Brano tradotto in Italiano da Samanta Catastini.)


Paula Izquierdo è nata a Madrid nel 1962. Laureata in Psicologia, la sua attività professionale è sempre stata strettamente collegata alla diffusione della cultura. Attualmente, oltre ad essere autrice di romanzi di successo, lavora come giornalista nel quotidiano El Mundo, per la sua spiccata capacità nell’intervistare o analizzare scrittori di successo. Nel 1997 pubblica il suo primo romanzo, “ La vida sin secretos” che la consacra al pubblico come una delle scrittrici più vendute ed apprezzate in Spagna. Nel 2000 esce “El Hueco de tu cuerpo” e un saggio “ Cartas de amor salvaje”. Nello stesso anno riceve il premio per la narrativa breve (Uned) grazie al racconto “Sin prisa” . Nel 2002 pubblica una raccolta di testi brevi “Anónimas” , dove protagoniste sono 12 donne che raccontano le loro ossessioni analizzando le loro stesse vite.




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