OLIO SU TELA CM 70 X 65

 

Fulvio Ermete Adile

 

 

C’è una stanza. Piuttosto larga, il cui angolo sinistro sprofonda in un piccolo corridoio immerso nella penombra, e che termina in una porta socchiusa. Sulla destra della stanza un’altra porta, chiusa, di legno di pioppo; c’è una chiave nella toppa. Sulla parete di sinistra c’è un’ampia finestra rettangolare, semiaperta, e dai suoi vetri splendenti ed istoriati esplode una debole e smorta luce gialla, che riempie l’intera stanza di contorni opachi e spenti, disegnando sul piastrellato esagonale bianco e blu delle ombre diafane e smozzicate. Al centro della stanza è seduta una donna matura, con una gonna marrone dalle ampie falde e ricamata ai bordi, che quasi si confonde con l’ebano dello scranno. Le mezze maniche del suo corpetto giallo sfociano in due braccia rosee e corpulente: il bianco della carne ed i riflessi luminosi dell’abito si sposano in un corpo unico. La mano destra tiene saldamente uno degli angoli inferiori di un foglio di carta intestata; quella sinistra, con un vistoso barbaglio bianco all’anulare, regge il margine laterale dello stesso foglio; le dita disegnano una ragnatela di pieghe grigie nel bianco maculato di nero della carta. Il volto della donna è rivolto verso destra: la bocca strettamente serrata in una piega vagamente amara, il labbro inferiore impercettibilmente stretto in un piccolo morso rosso. Sulla fronte compare una fitta serie di rughe parallele, tagliate perpendicolarmente da alcune ciocche luminose; i due punti castani degli occhi, mobili dentro la macchia di luce del viso, cercano di mettere a fuoco il volto di una giovane in piedi alla loro sinistra. La giovane tiene le braccia conserte in una posa rigida; le dita sono serrate contro le braccia, le nocche sbiancate e quasi ossee. La sua testa, reclinata verso il basso in direzione del foglio, è munita di una lunga treccia scura che scompare dietro la camicia azzurra dai bordi ricamati. Una profonda ruga verticale solca la fronte candida della ragazza, l’iride verde mare degli occhi naviga nell’ampio bianco della sclera; la bocca socchiusa in un incerto stupore. Dietro le due donne, addossato al muro intonacato di un bianco pulito, trova posto una cassettiera di legno: sulla cassettiera, coperti dalla figura delle donne in primo piano, sono posati dei soprammobili di varia forma, tra cui spicca proprio nel mezzo una madonna di ceramica smaltata.

C’è una stanza. Molto larga, dal pavimento piastrellato ad esagoni bianchi e blu. Il suo angolo sinistro scompare verso un corridoio buio come la pece. Sulla parete sinistra c’è una finestra; le sue vetrate sono istoriate, vi si scorge a malapena un timido riflesso arancione che si affaccia sul buio impenetrabile della notte. La stanza è un groviglio inestricabile di tonalità scure ed atre; solo una lampada ad olio illumina il locale, la sua fiamma una piccola macchia rosso arancio che sembra quasi ballare dentro una teca trasparente ed annerita. La lampada è posta sopra una grossa cassettiera, accanto a tanti soprammobili il cui colore è acceso solo per metà: un gallo di bronzo impennato in un vigoroso ed eterno canto, dei piccoli ritratti di famiglia, una madonna di ceramica smaltata e due gondole veneziane costruite in legno. Dalla base di ogni soprammobile si diparte una lingua oblunga e scurissima, che rende la cassettiera un continuo conflitto di vividi chiaroscuri. Sulla stessa parete della cassettiera è appeso un quadro di modeste dimensioni di forma ovale; ogni dettaglio è soffocato dal buio e dalla penombra. A destra, sulla stessa parete, si apre una porta di legno di pioppo: la porta conduce verso un’altra stanza, con al centro un ampio letto d’ottone, con le lenzuola ricamate in azzurro. Sul letto è seduta una giovane che rivolge la schiena alla porta; sulla schiena scende morbida una lunga treccia nera, a contrastare sul bianco della nuca. Con la mano sinistra la ragazza tiene aperto un cassetto: con la destra solleva delicatamente un’opaca collana di perle, la cui estremità inferiore viene inghiottita da una grossa scatola di legno. La scatola è sorretta da altre due braccia femminili corpulente e grasse, che sbucano da due mezze maniche di colore giallo chiaro; il resto di questa seconda persona scompare dietro il margine destro della porta. La stanza da letto è molto ben illuminata.

C’è una stanza, ampia e spaziosa ma non enorme. Sulla destra della parete frontale è situata una porta scura, di legno di pioppo, chiusa. Scorrendo in basso troviamo una maniglia d’ottone, e sulla maniglia una mano femminile, dalle dita delicate, pallida ma non esangue. La mano prosegue in un levigato braccio nudo su cui una debole penombra spande una tinta rosata. L’arto appartiene ad una giovane ragazza che indossa un abito nero piuttosto attillato, senza maniche, sul cui sfondo brucia il bianco latteo del braccio destro, che ricade mollemente lungo il fianco. All’altezza del petto il tessuto nero è gonfiato dalle rotondità dei seni, le cui sommità scivolano verso l’ombelico seguendo delle pieghe verticali, ingrigite dalla luce che proviene da sinistra: ovvero da una finestra di vetro istoriato, chiusa. Dalla vita in giù il corpo della ragazza prosegue lungo le curve di una lunga e stretta gonna nera da cui spuntano, nudi, due piedi eburnei, in movimento sul lastricato ad esagoni bianchi e blu. Il volto della ragazza è sollevato, e sotto il mento rialzato la verticale del collo divide la zona di luce da quella d’ombra. Le labbra sono schiuse in un sorriso pronunciato, mentre le sopracciglia ricadono diagonalmente sugli occhi in un’espressione inebetita. Sotto il mento compare un bicchiere di vetro, pieno fino a metà di un liquido rosso scuro; il bicchiere è retto da una mano squadrata ed ingioiellata, il cui braccio scompare ad arco dietro la schiena della giovane. Addosso a lei, sulla destra, troviamo un uomo abbastanza alto, con un cappello rosso a tesa larga che ne adombra il volto; solo un paio di baffi ritti e nerissimi ed una fila di denti brillanti risaltano dentro quell’ombra; il capo è quasi schiacciato contro la treccia nera di lei. Il corpo dell’uomo è quasi interamente nascosto dietro la giovane donna; rimangono scoperti una gamba vestita a righe nere e giallo ocra ed un braccio vestito di seta bianca, dal polsino ricamato, i cui contorni sono resi vividamente opachi dalla luce del sole. La sua mano destra, grossolana ed irsuta, è adagiata aperta poco sopra il ginocchio destro della ragazza. Dietro i due si intravede malamente una cassettiera, su cui sono poggiati dei soprammobili; sulla stessa parete bianchiccia, all’angolo in alto a destra, un ovale pulito si staglia contro la polvere. Sulla sinistra della stanza troviamo un corridoio, ed in fondo al corridoio una porta socchiusa.

C’è una stanza, molto larga; resa ancora più spaziosa dalle sue pareti spoglie e polverose. In un angolo troviamo un ovale pulito dentro il quale spicca un piccolo chiodo nero. Sotto questo ovale è adagiata contro la parete una grossa cassettiera; uno dei grossi cassetti dalle maniglie di ottone annerito è aperto, a mostrare un sacchetto marrone, anch’esso aperto, con dentro dei dischetti metallici di vario colore. Sulla cassettiera sono posati solo alcuni piccoli ritratti di famiglia, uno dei quali è poggiato sul fianco sul lato. A destra della stessa parete c’è una scura porta di legno, di pioppo, socchiusa. Il pavimento della stanza è lastricato di esagoni blu e bianchi; su questo pavimento sono disegnate delle ombre smozzicate che si dipartono da alcuni pezzi di carta appallottolata, da alcuni indumenti femminili di colore nero e da un secchio di latta, sberciato. Dal secchio, posto all’angolo con un corto corridoio in penombra, si innalza un manico di scopa, la cui punta è adagiata contro il muro bianco ingrigito da alcuni strati di polvere. Al centro della stanza, leggermente spostata sulla destra, c’è una giovane ragazza, in posizione eretta, che sta camminando. Il corpo della ragazza, coperto solo di un paio di mutande bianche dagli orli sfilacciati, è chiaro, pallido, chiazzato in più punti di alcune macchie arrossate; sul gomito destro, alla base del collo, sulla coscia poco sopra il ginocchio. La mano destra di lei è stretta attorno a due oggetti da toeletta: una spazzola rosso scuro, dalle setole rovesciate all’infuori, ed un paio di forbici lucide, semiaperte: su una delle due lame è possibile osservare una piccola macchia di ruggine. Il volto della ragazza è di profilo: la bocca, dal colore spento ed esangue, è leggermente aperta e con gli angoli appena ritorti verso il basso. L’occhio destro ha le palpebre socchiuse, bordate di un rosso vivido che richiama la brillante vampa del naso; la pupilla, umida ed acquosa, brilla nonostante questo lato della stanza sia meno illuminato. Dalla nuca una pioggia filamentosa di lunghi capelli neri si distende contro la schiena nuda, coprendola disordinatamente. La debole luce che proviene dalla finestra che si apre sulla parete sinistra della stanza illumina la chioma di tenui riflessi d’ebano.

C’è una stanza. Abbastanza grande. Addossata alla parete si trova una cassettiera, con sopra poggiati due piccoli ritratti familiari, uno dei quali è storto su di un fianco. Sulla cassettiera si trova un piccolo lume a petrolio, spento; la stanza è illuminata solo da una debole luce che proviene da una finestra a vetri istoriati, che mostra un cielo plumbeo e nuvoloso. Il pavimento della stanza, malamente illuminato, lascia soltanto intravedere delle piastrelle esagonali di due colori in forte contrasto tra loro, uno molto chiaro e l’altro molto scuro; esso è parzialmente coperto da alcuni oggetti come delle pallottole di carta, un secchio di latta rovesciato su di un lato con una grande ammaccatura, una scopa di saggina e delle vesti femminili di cui alcune scure ed una chiara, forse bianca, probabilmente un indumento intimo. Poco sopra la scopa c’è un piccolo corridoio, fiocamente illuminato: a malapena si intravede alla fine una porta aperta, spalancata che da verso un ambiente ancora più scuro: è possibile scorgere solo il contorno nerissimo di un mobile. Dal lato opposto della stanza c’è una donna, piuttosto corpulenta, vestita di una gonna marrone e di un corpetto giallo a mezze maniche, liso in più punti. La donna è rivolta di spalle, ed è parzialmente ripiegata su sé stessa, con il sedere sporto all’indietro. La sua mano sinistra è appoggiata con tutto il palmo aperto sullo stesso muro del cassettone, a destra dello stesso. Le dita sono grassocce e nude. Il braccio destro è completamente piegato, la mano adagiata sul viso a metà altezza, approssimativamente in corrispondenza della bocca e del naso. La donna è posta davanti ad una porta aperta, e col suo corpo copre parzialmente la visuale della stanza adiacente. Si può scorgere un letto in ottone su cui è disteso, spiegazzato, un lenzuolo di colore chiaro. Sul letto è disteso qualcuno; oltre la figura monumentale della donna si vede spuntare un paio di piedi, piccoli piedi femminei di cui si scorge il pallore, nonostante la stanza sia in penombra: la pianta del piede destro, esposta, è molto sudicia. La cassettiera è aperta: si vede sbucare fuori un sacchetto aperto, con dentro delle monete di vario colore.



Mi chiamo Fulvio Ermete Adile, abito in provincia di Messina, ed ho 24 anni. Sono da poco laureato in giurisprudenza, e coltivo l'hobby della scrittura da poco tempo, poco più di un anno a dire il vero. Ho vinto il primo premio al concorso "L'Egida di Minerva" edizione del 2003, svoltosi presso il comune di Novara di Sicilia. Ho pubblicato vario materiale in giro per internet, ed i miei autori preferiti sono Joyce, Kafka, Zola, Dostoevskij, Dick, Vittorini, Primo Levi, Pirandello, Borges... (so che sto dimenticando qualcuno, ma per adesso può bastare!:)



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