EMERGENZA NAZIONALE

- Brano tratto dal romanzo La valle dei cavalieri -



Raffaele Crovi

 

 

(...) Ho ricevuto Marzoli, il dirigente della tenenza dei carabinieri di Castelnuovo venuto per informarmi che, durante un sopralluogo all'Osteria di Caiano, di proprietà dell'architetto Anselmi, nello scantinato di un'annessa tipografia, che stampa una rivista d'arte d'avanguardia, è stato trovato, tra volantini con messaggi rivoluzionari di Lotta Continua e Potere Operaio, un piano per il mio rapimento, che dovrebbe avvenire, perché il fatto risulti clamoroso, durante una riunione della giunta amministrativa comunale. Giudicandomi distratto e addirittura disinformato sulla situazione d'emergenza nazionale, il tenente, mentre gradiva un bicchiere di moscato e due fette di una torta di riso un po' troppo ricca di Sassolino, mi ha riassunto i recenti drammatici fatti romani: il 2 febbraio, in seguito a cariche incrociate di giovani rivoltosi e poliziotti, un giovane agente è morto per un colpo di pistola alla nuca e due studenti sono morti in seguito a ferite prodotte da erratici colpi di mitra; l'11 febbraio una folla di studenti, freaks, disoccupati, drogati e indiani metropolitani ha dato inizio all'occupazione dell'università sfondando le porte della cappella subito trasformata in stanza di bivacco e organizzando un processo a un giornalista comunista, definito provocatore fascista; ieri, 17 febbraio, una disarticolata rivolta, inscenata con pugni, schiaffi, calci, lanci di vernice, schizzi di schiuma di estintori, fondate di pezzi d'asfalto, sassate, bastonate e sprangate, ha interrotto un comizio di Luciano Lama, segretario della Confederazione Generale del Lavoro, in piazza della Minerva dove circolavano slogans come "I Lama stanno nel Tibet", "Il sindacato cagone invoca lo Stato e il padrone", "È ora, è ora, miseria a chi lavora", "Nessun dovere, solo piacere".
Se la Storia è una catena di metafore, questi slogans promettono solo stupidità e violenza. E se, per cambiare la Storia, non basta ragionare sugli eventi, bisognerà garantirci un futuro rieducando i giovani alla responsabilità sociale, attraverso un'attenuazione dell'idolatria dei diritti individuali e un coinvolgimento nei doveri collettivi.
Sono tornato su queste idee mentre, questa mattina presto, osservavo Gemma preparare con pazienza il forno per il pane: dopo averlo infuocato con fascine di legna grossa fino al punto che la volta diventava bianca e il pavimento di mattoni, battuto da un bastone, faceva scintille, ha raccolto braci e cenere negli scaldini e poi pulito ripetutamente tutta la bocca con uno spazzolone di foglie di granoturco che calava secco e sporco in un secchio d'acqua dal quale lo ritirava umido e pulito.
Ho spezzato un po' di pane caldo per i gatti e gli uccelli. Ai gatti piace la mollica ammollata nel latte, agli uccelli da richiamo, sistemati nelle gabbiette in un angolo del laboratorio che funziona da muda, piace invece la crosta sbriciolata mescolata con polpa di pere secche. In Lunigiana mangiavo croste calde di pane con il sale e l'olio: una leccornia. Perciò, quando nel 1898 sentii parlare delle rivolte milanesi per il rincaro del pane e della violenta repressione operata dal generale Fiorenzo Bava Beccaris, nutrii un grande disprezzo per questo generale che non rispettava il cibo della sopravvivenza.
Mangiare pane condito con l'olio mi puliva la gola e mi rendeva limpida la voce, come dimostrai in casa Robecchi nel concerto dell'Immacolata del 1898 in cui cantai "'O sole mio", la nuova canzone che quell'anno furoreggiava. Durante la guerra tornai a masticare pane e sale per ricavarne energia e coraggio. E avevo l'abitudine di masticare pane e olio prima di far lezione a scuola o prima di affrontare un comizio in piazza: ero sicuro che la mia voce ben oliata avrebbe convinto di più.
Con grandi proteste di Gemma, a fine mattinata ho addirittura masticato pane, olio e fiori di biancospino: le siepi di recinzione del frutteto da tre giorni ne sono piene. I fiori di biancospino, secondo la mia fantasia di ragazzo, davano al pane un sapore di mandorle. Gemma sostiene, invece, che sono velenosi; favoleggia che con un infuso di fiori di biancospino si uccise l'Ivonne Sarti. La vicenda della famiglia Sarti è stata per lo meno stravagante; per mezzo secolo in quella casa si era accumulata ricchezza per merito delle donne che, per denaro, facevano l'amore con i forestieri maturi che capitavano nella loro osteria; mentre Ivonne, senza marito e senza figli perché sterile, il patrimonio l'aveva dissipato per pagarsi i giovani che invitava a scaldarle il letto.

 


(Brano tratto dal romanzo La valle dei cavalieri, Marsilio editori, Venezia, 2000.)


Raffaele Crovi, (1934-2007), è stato scrittore, produttore televisivo ed editoriale, ha pubblicato, tra l'altro, la raccolta di poesie Pianeta Terra, la raccolte di racconti Amore di domenica e la biografia critica Il lungo viaggio di Vittorini. Con La valle dei cavalieri ha vinto il Premio Supercampiello 1993.

 

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