SOTTACQUA

Doris Lessing



Mentre andava alla spiaggia, la prima mattina delle vacanze, il ragazzo inglese si fermò a una svolta del sentiero e guardò in giù, verso una baia selvaggia e rocciosa, e poi verso la spiaggia affollata che conosceva così bene dagli anni scorsi. Sua madre continuò a camminare davanti a lui, portando in una mano una borsa a righe dai colori vivaci. L'altro suo braccio, penzolante sul fianco, era bianchissimo nel sole. Il ra­gazzo osservò quel braccio bianco e nudo, e riportò gli occhi, che ebbero una rapida contrazione, sulla baia e, ancora, verso sua madre. Quando questa s'accorse che non le stava accanto, si voltò. "Oh, sei là, Jerry!" disse. Parve impaziente, poi sorrise. "Come, caro, preferiresti non accompagnarmi? Preferiresti.." S'acci­gliò, chiedendosi ansiosamente quali altri svaghi, da lei non immaginati per trascuratezza o mancanza di tempo, egli potesse desiderare in segreto. Il ragazzo conosceva bene quel sorriso ansioso, di scusa. Il rimorso lo spinse a correre da lei. Eppure, mentre cor­reva, guardava indietro, di sopra la spalla, verso la baia selvaggia; e ci pensò per tutta la mattinata, mentre giocava sulla spiaggia, al sicuro.

Il mattino seguente, quando fu l'ora di ritornare alle quotidiane nuotate e ai quotidiani bagni di sole, sua madre disse: "Sei stanco della solita spiaggia, Jerry? Ti piacerebbe andare da qualche altra parte?" "Oh, no!" disse lui in fretta, sorridendole sotto quell'immancabile fitta di rimorso: un sentimento simile alla cavalleria. Però, mentre scendeva assieme a lei per il sentiero, non seppe frenarsi: "Mi piacerebbe andare a dare un'occhiata a quegli scogli laggiù."

Lei considerò l'idea con la massima attenzione. Sem­brava un posto abbastanza selvaggio, e non c'era nes­suno, ma disse: "Va bene, Jerry. Quando ti sarai stan­cato, vieni alla spiaggia grande. Oppure torna direttamente alla villa, se preferisci." S'allontanò, dondolando il braccio nudo, ora lievemente arrossato dal sole del giorno prima. E lui fu quasi tentato di correrle die­tro, sembrandogli intollerabile che dovesse andare sola; ma si trattenne.

Lei pensava: è chiaro che è abbastanza grande per cavarsela senza di me. Me lo sono forse tenuto troppo attaccato? Non deve sentirsi costretto a starmi vicino. Bisogna che stia attenta.

Era figlio unico, e aveva undici anni. Lei era vedova. Non voleva essere opprimente, ma non voleva nean­che trascurarlo. Andò alla spiaggia, preoccupata.

Jerry, appena vide che sua madre aveva raggiunto la spiaggia, cominciò la ripida discesa verso la baia. Da dove si trovava, lassù in alto, tra rocce rosso-scuro, la baia appariva come una conca d'acqua verde azzurra, in mo­vimento, crespata di bianco. Man mano che scendeva, notò che la baia si allargava tra piccoli promontori e insenature di roccia scabra e aguzza, e la superficie del mare, increspandosi e ripiegandosi su se stessa, rivelava macchie di un rosso e azzurro piú intenso. Finalmente, mentre correva a balzi e scivoloni giù per gli ultimi metri, vide un frangersi di candida spuma e, sulla sabbia bianca, la traccia lucente dell'acqua bassa, e, più oltre, un azzurro compatto e carico.

Corse dritto nell'acqua e cominciò a nuotare. Era un buon nuotatore. S'allontanò rapidamente, passando sulla sabbia luccicante e su una zona intermedia dove sottacqua le rocce s'allungavano come mostri scoloriti, e fu in mare aperto: un mare caldo dove irregolari correnti fredde, venendo dal fondo, colpirono le sue membra.

Quando fu così al largo che, voltandosi indietro, poté spaziare lo sguardo non solo sulla piccola baia, ma anche oltre il promontorio che separava la baia dalla spiaggia grande, galleggiò sulla superficie elastica e cer­cò sua madre. Eccola là, una chiazza gialla sotto un ombrellone che pareva una fetta di buccia d'arancia. Tornò a nuoto alla spiaggia, sollevato perché sapeva che lei era là, ma sentendosi improvvisamente molto solo.

All'estremità di un piccolo capo che costituiva un lato della baia, a qualche distanza dal promontorio, c'era un ammasso disordinato di rocce. In cima, alcuni ragazzi si stavano strappando di dosso i vestiti. Scesero di corsa, nudi, sugli scogli. Il ragazzo inglese nuotò nella loro direzione, e si mantenne a breve distanza. Erano della costa, tutti quanti con un'abbronzatura uniforme e scura, e parlavano una lingua che egli non comprendeva. Essere con loro, dei loro, era un desiderio che gli riempì tutto il corpo. Nuotò un po' più vicino; si voltarono e lo osservarono con occhi socchiusi, scuri e vigili. Poi uno sorrise e agitò la mano. Fu sufficiente. In un minuto, nuotò fin là e fu sugli scogli assieme a loro, con un sorriso che era una implorazione disperata e nervosa. Lo salutarono con urla allegre, poi, siccome conservava il sorriso esitante di chi non capisce, compresero che era uno straniero allontanatosi dalla propria spiaggia e si accinsero a di­menticarlo. Ma lui era felice. Era con loro.

Cominciarono a tuffarsi e a rituffarsi da un alto scoglio in una conca di mare azzurro, tra rocce scabre e puntute. Dopo essersi tuffati, tornati a galla, facevano il giro a nuoto, si aiutavano a salire, e attendevano il turno per tuffarsi di nuovo. Erano ragazzi grandi: uomini, per Jerry. Si tuffò, e quelli stettero a guardarlo, e, quando fece il giro a nuoto per rimet­tersi in fila, gli fecero posto. Comprese d'essere stato accettato, e si tuffò di nuovo, con attenzione, fiero di sé.

Subito dopo il più robusto dei ragazzi si portò in bilico, si gettò in acqua, e non tornò a galla. Tutt'in­torno, gli altri stavano a guardare. Dopo aver atteso che la lucida testa bruna riaffiorasse, Jerry lanciò un grido d'allarme. Lo guardarono annoiati; poi volsero di nuovo gli occhi verso l'acqua. Dopo molto tempo, il ragazzo venne a galla dall'altra parte di una grossa roccia scura, scaricando l'aria dai polmoni in un ansito sibilante e con un grido di trionfo. Subito dopo si tuffarono tutti gli altri. Un attimo prima, il mattino pareva pieno di ragazzi vocianti; subito dopo, l'aria e la superficie dell'acqua furono deserte. Ma attraverso l'azzurro intenso si potevano scorgere forme scure che guizzavano e procedevano a tentoni.

Si tuffò anche Jerry, superò veloce il branco di nuo­tatori subacquei, vide una nera parete di roccia sopra di lui, la toccò e sali subito alla superficie, dove la parete formava una bassa barriera oltre la quale po­teva spingere lo sguardo. Non c'era nessuno in vista. Sotto di lui, nell'acqua, le ombre scure dei nuotatori erano scomparse. Infine uno, e poi un altro ancora dei ragazzi venne a galla dall'altra parte della barriera di roccia, ed egli comprese che avevano attraversato a nuoto qualche breccia o anfratto nella roccia. Si tuffò di nuovo. Attraverso la bruciante acqua salata non riuscí a scorgere altro che la roccia nuda. Quando tornò a galla, i ragazzi erano tutti sullo scoglio che fungeva da trampolino, e si preparavano a tentare l'opera­zione un'altra volta. Allora, preso dal terrore di non riuscire, strillò, in inglese: "Guardatemi! Guardate!"e cominciò a sollevare spruzzi ed a scaldare nell'ac­qua come un cagnolino che ha voglia di divertirsi.

Quelli abbassarono gli occhi, con aria grave, acci­gliati. Conosceva quel cipiglio. Nei momenti di insuc­cesso, quando faceva il pagliaccio per richiamare l'at­tenzione di sua madre, era proprio con quell'aria grave e imbarazzata che lei lo guardava. Nella sua bruciante vergogna, sentendosi sulla faccia il sorriso d'implora­zione come una cicatrice che non avrebbe mai potuto cancellare, guardò in alto, verso il gruppo dei ragazzi abbronzati, in piedi sulla roccia, e gridò: "Bonjour! Merci! Au revoir! Monsieur, monsieur!" mentre si metteva le dita attorno alle orecchie e le moveva avanti e indietro.

Un'ondata gli entrò in bocca; restò mezzo soffocato, andò a fondo, venne a galla di nuovo. Lo scoglio, che un attimo prima sosteneva il peso dei ragazzi, parve balzare fuori dall'acqua appena il loro peso fu tolto. Volavano giù nell'acqua, adesso, scavalcandolo; l'aria era piena di corpi che cadevano. Infine lo scoglio ri­mase deserto nella calda luce del sole. Contò uno, due, tre...

A cinquanta si spaventò. Certo stavano annegando tutti quanti sotto di lui, nelle cavità sottomarine della roccia! A cento, si guardò attorno e fissò smarrito il fianco deserto della collina, chiedendosi se doveva in­vocare aiuto. Contò più in fretta, sempre più in fretta, per farli risalire subito, per portarli rapidamente alla superficie, per annegarli rapidamente: qualunque cosa, piuttosto che il terrore di continuare a contare nella celeste vacuità del mattino. Ed ecco che, a centoses­santa, l'acqua oltre lo scoglio fu piena di ragazzi che soffiavano come brune balene. Ritornarono a nuoto alla spiaggia, senza degnarlo d'uno sguardo.

Tornò ad arrampicarsi sulla roccia che faceva da trampolino e si mise a sedere, sentendo sotto le cosce la calda asperità dello scoglio. I ragazzi raccolsero gli abiti e s'allontanarono di corsa lungo la spiaggia, verso un altro promontorio. Se ne andavano per non averlo tra i piedi. Pianse senza ritegno, con i pugni negli occhi. Nessuno lo vedeva, e pianse finché non ne poté

Gli parve che fosse trascorso molto tempo, e nuotò fin dove riusciva a vedere sua madre. Sí, era ancora là: una macchia gialla sotto un ombrello color aran­cione. Ritornò a nuoto al grande scoglio, vi si arram­picò e si tuffò nella conca azzurra tra gli spuntoni di roccia, zannuti e rabbiosi. Andò giú finché toccò di nuovo la parete di roccia. Ma il sale gli bruciava tanto gli occhi che non riusciva a vedere.

Venne a galla, nuotò fino alla spiaggia e tornò alla villa ad attendere sua madre. Presto lei salì per il sentiero a passo lento, facendo dondolare la borsa a righe, con il braccio arrossato, nudo, che penzolava sul fianco. "Voglio una maschera subacquea," ansimò lui, spavaldo e implorante.

L'osservò, paziente, mentre diceva con noncuranza: "Be', sì, certo, caro."

Ma subito, subito, subito! Doveva averla in quell'i­stante, non un minuto più tardi. Insistette e la impor­tunò finché lei lo accompagnò in un negozio. Appena ebbe comperato la maschera, gliela strappò di mano come se lei volesse tenerla per sé, e corse via, giù per il sentiero ripido, alla baia.

Jerry nuotò fino alla grossa barriera di roccia, si mise la maschera, e si tuffò. L'urto dell'acqua allentò la maschera, che fece acqua. Capì che doveva immer­gersi fino alla base della roccia partendo dalla super­ficie dell'acqua. Strinse bene la maschera, si riempi i polmoni, e provò a galleggiare, faccia in giù, sull'ac­qua. Adesso riusciva a vedere. Era come se avesse occhi diversi, occhi di pesce cui tutto si rivelava chiaro e delicato, tremolante nell'acqua luminosa.

Sotto di lui, due o tre metri più in basso, c'era una distesa di sabbia bianca e luccicante, perfettamente pu­lita, resa ondulata, ferma e compatta dalle maree. Vi si diressero due forme grigiastre, simili a lunghi pezzi affusolati di legno o di lavagna. Erano pesci. Li vide bilanciarsi immoti, naso contro naso, fare un guizzo in avanti, allontanarsi con uno scarto, e fare un altro giro. Era come una danza acquatica. Pochi centimetri più su, l'acqua luccicava come se fosse attraversata da una cascata di zecchini d'oro. Altri pesci, miriadi di pesci piccolissimi, lunghi quanto la sua unghia, si lasciavano portare dalla corrente attraverso l'acqua, e in un attimo poté sentire le innumerevoli piccole pun­ture contro le membra. Era come nuotare nell'argento in scaglie. La grande roccia che i ragazzi avevano attraversato a nuoto sorgeva perpendicolarmente dalla sabbia bianca, nera, coperta di radi ciuffi di alghe ver­dastre. Non riusci a scorgervi alcun anfratto. Scese nuotando fino alla sua base.

Risalì varie volte, si riempi d'aria i polmoni, e tornò giù. Ripetutamente tastò la superficie della roccia, frugandola, quasi abbracciandola nel disperato bisogno di trovare l'entrata. Poi, finalmente, mentre si aggrap­pava alla parete nera, alzò le ginocchia e spinse i piedi in avanti, e i piedi non incontrarono alcun ostacolo. Aveva trovato l'apertura.

Guadagnò la superficie, si arrampicò sulla barriera di roccia, frugò tra le pietre che la ingombravano finché ne trovò una abbastanza grossa e, con questa tra le braccia, si lasciò cadere dal ciglio della roccia. Calò, trascinato dal peso, dritto sul fondo sabbioso. Tenen­dosi attaccato all'àncora di pietra, si sdraiò sul fianco e scrutò sotto la buia sporgenza, nel posto in cui aveva infilato i piedi. Riuscì a scorgere la fessura. Era un'apertura irregolare, buia, ma non riuscì a spingervi lo sguardo in profondità. Lasciò andare l'àncora, s'attaccò con le mani all'orlo della fessura, e cercò di cac­ciarsi dentro.

Infilò la testa, si trovò con le spalle incastrate, le mise di sbieco, e fu dentro fino alla vita. Piú in là non riusciva a veder nulla. Gli sfiorò la bocca qualcosa di molle e vischioso, vide un'alga scura che ondeggiava contro la roccia grigiastra, e fu preso dal panico. Pensò ai polipi, alle piante strangolatrici. Rinculando, si spinse fuori e intravide, mentre si ritirava, un in­nocuo tentacolo d'alga marina che si lasciava portare dalla corrente verso la bocca della galleria. Ma bastò. Raggiunse la luce del sole, nuotò fino a riva, e si distese sulla roccia ch'era servita da trampolino. Abbassò lo sguardo sull'azzurra conca d'acqua. Sapeva di doversi aprire la strada attraverso quella caverna, o buco, o galleria, e sbucar fuori dall'altra parte.

Innanzitutto, pensò, doveva imparare a controllare la respirazione. Si lasciò cadere nell'acqua con un'altra grossa pietra tra le braccia, in modo da potersi disten­dere senza fatica sul fondo del mare. Contò. Uno, due tre. Contava con regolarità. Sentiva il sangue pulsargli in petto. Cinquantuno, cinquantadue... Il petto gli doleva. Mollò la pietra e sali alla superficie. Vide che il sole era basso. Corse alla villa e trovò sua madre a tavola per la cena. Gli chiese soltanto: "Ti sei diver­tito?" e lui rispose: "Sí."

Per tutta la notte il ragazzo sognò la cavità piena d'acqua nella roccia, e subito dopo colazione andò alla baía.

Quella sera cominciò a colargli il sangue dal naso. Ore ed ore era rimasto sottacqua, per imparare a trattenere il respiro, e adesso si sentiva debole e stor­dito. Sua madre disse: "Al tuo posto non esagererei, caro."

Quel giorno, e il giorno dopo ancora, Jerry esercitò i suoi polmoni come se tutto, la vita intera e l'avve­nire, dipendesse da quel tentativo. La sera il sangue gli colò di nuovo dal naso, e sua madre insisté perché il giorno dopo andasse con lei. Per Jerry fu un tormento sprecare una giornata del suo minuzioso alle­namento, ma restò con lei su quell'altra spiaggia, che ora pareva un posto adatto ai bambini piccoli, un posto dove sua madre poteva starsene distesa al sole, al sicu­ro. Non era la sua spiaggia.

Il giorno dopo non chiese il permesso di andare alla sua spiaggia. Ci andò, prima che sua madre potesse valutare i pro e i contro della faccenda. Scoprí che un giorno di riposo aveva aumentato il suo conto di dieci. I ragazzi grandi avevano compiuto la traver­sata mentre lui contava fino a centosessanta. Aveva contato in fretta, per la paura. Se tentava, adesso forse ce l'avrebbe fatta ad attraversare quella lunga galleria, ma non voleva provare ancora. Una perseveranza, insolita e per niente infantile, un'impazienza controllata, lo inducevano ad attendere. Nel frattempo, si stendeva sottacqua sulla sabbia bianca, adesso ingom­bra delle pietre che aveva portato giù dall'aria aperta, e studiava l'entrata della galleria. Ne conosceva ogni angolo ed ogni sporgenza, fin dove l'occhio arrivava. Era come se già si sentisse attorno alle spalle le sue asperità.

Alla villa, sedette accanto all'orologio, in un momen­to in cui sua madre non c'era, e controllò il tempo. Con incredulità, e quindi con orgoglio, constatò che riusciva a trattenere il respiro senza sforzo per due minuti. Le parole "due minuti," autorizzate dall'oro­logio, resero più vicina l'avventura che gli era tanto necessaria.

Di lí a quattro giorni, disse con noncuranza sua ma­dre una mattina, sarebbero dovuti tornare a casa. Deci­se allora di fare il tentativo il giorno prima della parten­za. L'avrebbe fatto anche a rischio della vita, si disse, in atto di sfida. Ma due giorni prima della partenza, un giorno trionfale in cui aumentò di quindici il suo conto, gli colò tanto sangue dal naso che si sentì venir meno e dovette stendersi sulla grande roccia snervato come una foglia d'alga, a osservare il sangue rosso e denso che gocciolava sulla roccia e colava lentamente in mare. Era spaventato. E se fosse svenuto nella gal­leria? Se fosse morto là sono, in trappola? Se... gli girava la testa, nel sole caldo, e quasi s'arrese. Pensò di ritornare alla villa per coricarsi: l'estate prossima, forse, più grande di un anno, allora avrebbe attra­versato la breccia.

Ma subito dopo aver preso questa decisione, o pen­sato di averla presa, si trovò seduto sulla roccia a guardar giù nell'acqua, e capì che allora, in quel mo­mento, col naso che aveva appena smesso di sangui­nargli e la testa che ancora gli doleva e batteva... quello era il momento di tentare. Se non lo faceva ora, non l'avrebbe fatto piú. Tremò all'idea di non avere il coraggio di avventurarsi, e tremava per il terrore di quell'interminabile galleria sotto la roccia, sotto il mare. Nell'aperta luce del sole, la barriera di roccia pareva ancora piú larga e pesante; tonnellate di roccia che premevano sul luogo dove doveva andare lui. Se fosse morto lì sotto, sarebbe rimasto nella galleria finché un giorno — forse non prima dell'anno seguen­te — quei ragazzi grandi vi sarebbero penetrati a nuo­to e l'avrebbero trovata ostruita.

S'infilò la maschera, la strinse, provò il tubo. Gli tremavano le mani. Poi scelse la pietra più grossa che poteva trasportare e si lasciò scivolare oltre il ciglio della roccia, finché fu per metà nell'acqua fresca che lo avvolgeva da ogni parte, e per metà nel sole caldo. Guardò un attimo in alto, verso il cielo vuoto, si riem­pí i polmoni una volta, due volte, poi andò rapidamente a fondo con la pietra. La lasciò andare e cominciò a contare. S'attaccò con le mani agli orli dell'anfratto e si spinse dentro, con le spalle di traverso, come ricordava di dover fare, facendo leva con i piedi

Presto fu dentro con tutto il corpo. Era una piccola apertura nella roccia, piena d'acqua grigio-giallognola. L'acqua lo spingeva in alto contro il soffitto. La volta era scabra e gli pungeva la schiena. Si tirò avanti con le mani – in fretta, in fretta – e usò le gambe come leve. Picchiò la testa contro qualcosa; un dolore acuto lo stordì. Cinquanta, cinquantuno, cinquantadue... Era senza luce, e l'acqua pareva schiacciarlo con il peso della roccia. Settantuno, settantadue... Non c'era sforzo nei suoi polmoni. Si sentiva come un pallone gonfio, i polmoni erano leggeri e distesi, ma la testa gli ron­zava.

Veniva sospinto di continuo contro la volta aguzza, per giunta anche viscida. Gli tornarono in mente i polipi, e si chiese se la galleria non poteva esser piena di piante marine capaci d'intrappolarlo. Con un calcio si diede una spinta in avanti, convulsa e terrorizzata, abbassò la testa, e nuotò. Piedi e mani si muovevano liberamente, come nel mare aperto. La cavità doveva essersi allargata. Capí che bisognava nuotare in fret­ta, ma aveva paura di sbattere la testa se la galleria si restringeva.

Cento, centouno... L'acqua si fece chiara. Lo colmò un senso di vittoria. Cominciavano a dolergli i polmo­ni. Ancora poche bracciate, e sarebbe stato fuori. Con­tava selvaggiamente; disse centoquindici, poi, molto tempo dopo, ancora centoquindici. Intorno a lui l'ac­qua era d'un chiaro verde smeraldo. Quindi vide, so­pra la testa, una spaccatura che saliva attraverso la roccia. La luce del sole vi cadeva dentro, rivelando la scura roccia pulita della galleria, una conchiglia e, più avanti, la tenebra.

Era allo stremo delle forze. Guardò in alto, verso la fenditura, come se fosse píena d'aria e non d'ac­qua, come se potesse accostarvi la bocca per aspirare aria. Centoquindici, udì se stesso dire dentro la sua testa... ma l'aveva detto tanto tempo fa. Doveva farsi strada nella tenebra che gli stava davanti, altrimenti sarebbe annegato. La testa gli scoppiava, gli si spac­cavano i polmoni. Centoquindici, centoquindici, gli martellava nella testa; e debolmente s'affrettò alle rocce, nell'oscurità, tirandosi avanti, lasciandosi alle spal­le il breve tratto d'acqua illuminata dal sole. Sentì che stava per morire. Stava piombando in uno stato di incoscienza. Continuò a lottare nel buio, fra intervalli di svenimento. Un dolore immenso, crescente, gli empiva la testa; poi l'oscurità si spezzò con un'esplosio­ne di luce verde. Le sue mani, brancolando in avanti, non incontrarono nulla, e i piedi, scalciando, lo proiet­tarono fuori, nel mare aperto.

Si lasciò portare alla superficie, il viso teso in alto, verso l'aria. Boccheggiava come un pesce. Sentí che adesso sarebbe andato a fondo e sarebbe annegato; non aveva la forza di coprire a nuoto i pochi metri che lo separavano dallo scoglio. Ma vi si era già abbar­bicato, e vi si stava issando. Giacque a faccia in giù, respirando affannosamente. Non riusciva a vedere al­tro che un buio venato di rosso, coagulato. Pensò che gli occhi dovevano essergli scoppiati; erano pieni di sangue. Si strappò la maschera e uno spruzzo di san­gue calò in mare. Il naso gli sanguinava, e il sangue aveva riempito la maschera.

A mani giunte raccolse manate d'acqua dal mare freddo e salato, se la buttò sul viso, e non sapeva se quello di cui sentiva il sapore era sangue oppure acqua salata. Dopo un po' il suo cuore si calmò, gli occhi gli si schiarirono, e si rizzò a sedere. Riuscí a scorgere i ragazzi del posto che si tuffavano e giocavano tra loro a circa ottocento metri di distanza. Non li voleva. Non desiderava altro che tornare a casa per buttarsi sul letto.

Di lí a poco Jerry tornò a riva a nuoto e si iner­picò lentamente su per il sentiero, fino alla villa. Si gettò sul letto e dormí, destandosi al rumore di passi sul sentiero. Sua madre era di ritorno. Corse nella stanza da bagno, pensando che lei non doveva vedergli il viso con le macchie di sangue, o i segni delle lacrime. Uscí dalla stanza da bagno e la incontrò mentre entrava nella villa, sorridente, con gli occhi accesi.

"Hai passato una bella mattinata?" domandò, po­sandogli per un attimo la mano sulla spalla calda e bruna.

"Oh, sí, grazie," disse lui.

"Sembri un po' pallido." E poi, lucida ed ansiosa: "Come hai fatto a picchiare la testa?"

"Oh, l'ho picchiata," rispose.

Lo guardò da vicino. Era affaticato, aveva gli occhi vitrei. Si preoccupò. Poi si disse: "Non agitarti per nulla! Non gli può accadere niente. Nuota come un pesce."

Andarono a pranzo, insieme.

“Mamma,” disse lui, “riesco a stare sottacqua per due minuti... tre minuti, almeno.” Dovette dirlo, altrimenti scoppiava.

“Davvero, caro?” disse lei. “Be’, io non esagererei. Credo che dovresti smettere di nuotare, per oggi.”

Era pronta a una discussione, ma lui si diede su­bito per vinto. Andare alla baia non aveva più la mi­nima importanza.




(Tratto dalla raccolta L’abitudine di amare, Feltrinelli editrice, Milano, 1959. Traduzione di Vincenzo Mantovani.)



Doris Lessing ha vinto il Premio Nobel per la Letteratura nel 2007.

 



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