generazione del boom? Decisero innanzitutto di pubblicare essi stessi le loro cose, o meglio, di stamparle artigianalmente, copia per copia, a volte anche a mano, con disegni diversi per ogni copia, oppure con le fotocopie di allora, con i ciclostili elettrici e quelli ad alcool, i caratteri di un azzurro forte (e quell'odore penetrante ce l'ho ancora oggi nelle narici), per poi venderli o regalarli, quei libercoli, nei ristoranti di una bohème che risorgeva, nei tanti bar all'aperto, sulle spiagge, nelle fiere, oppure inviarli per posta (erano ancora anni di piombo, il DOPS e l'SNI, la polizia politica, erano infiltrati da tutte le parti, occorreva perciò una diffusione discreta, un foglio di carta, niente show, niente film, niente spettacolo pubblico...), o lasciarli in vendita nelle librerie - piccole pile sempre accanto al registratore di cassa dei librai più complici, in attesa di lettori altrettanto complici che non mancavano affatto. Questa era la (oggi leggendaria) literatura marginal (letteratura marginale), o literatura nanica (letteratura nana), come la chiamavano quelli del gruppo del settimanale satirico O Pasquim, del quale facevo parte anch'io allora, l'ultimo arrivato. Oppure la chiamavano, appunto, Geração Mimeógrafo (generazione ciclostile), la quale dietro quella precarietà quasi ridicola di mezzi compieva in quegli anni, alla sua medesima insaputa, il più radicale e profondo rinnovamento della letteratura brasiliana dai tempi del Movimento de Arte Moderna del 1922, del Movimento Antropofágico.
E proprio lì, attorno a quei ciclostili puzzolenti e a quelle spillatrici che ci foravano le dita, nasceva anche il mio idillio, il mio periodo favoloso, in tutti i sensi della parola, un tempo perduto e ora ritrovato. E se vogliamo proprio essere proustiani, era anche un tempo di profumo di patchouli, d'incenso di sandalo, di lavanda sul collo delle ragazze, del sapore del vino caldo nell'inverno di Ouro Preto, cantando insieme al gruppo Maria Déia per dimenticare il freddo, di riso integrale con igname, di cachaça rossa senza nome fatta nei cortili di Minas, ma anche di fettuccine alle tre del mattino nel Baixo Leblon, o di un filetto alla cubana in fondo al ristorante Lamas, insieme ai vecchi giornalisti del clandestino Partito Comunista, o nel Lucas, nell'Edificio Maleta, a Belo Horizonte, o nei bar della Rua Rego Freitas, a São Paulo, vicino al Teatro Opinião, sempre guardandosi attorno, sempre molto affamati, a fare sempre le ore piccole, la madrugada, e nonostante tutto sempre felici, come poi mai più saremmo stati.
Tè alla menta, tè di capim-limão. Profumo di rugiada, di marijuana. Il profumo dei riccioli di una certa Malu, che non ho mai più rivisto. Il sapore delle lacrime raccolte sulle sue labbra in un bacio commosso e in un abbandono assoluto.
Non vorrei aggiungere più niente a questo punto. Ho trovato un fotogramma all'altezza dell'idillio.
Va be', torniamo alla letteratura.
La letteratura, si sa, non è solo testo, è anche una comunità, i suoi templi e i suoi riti. È proprio la forza delle sinergie che si sviluppano dentro una comunità letteraria e nei rapporti col suo pubblico che alla fine fa emergere i talenti individuali, i quali altrimenti verrebbero artisticamente abortiti, e si sarebbero dispersi per altre strade. Quella fase della storia brasiliana aveva una comunità in attività febbrile, che celebrava quotidianamente i suoi riti. A partire del 1975, quando un nuovo pubblico, avido di informazioni che non fossero solo le menzogne trasmesse dalla propaganda di regime, si era finalmente appassionato al nuovo fenomeno, e ogni settimana apparivano nuove riviste letterarie, che riscuotevano un successo tale da essere vendute nelle edicole e non solo nelle librerie, con tirature di migliaia di copie per ogni edizione: si chiamavano Ficção, Escrita, Inéditos, O Saco, Protótipo, Teia, e tante altre. Nel 1976, l'industria editoriale si rese conto a sua volta dello stato delle cose e cominciò a investire in quella nuova generazione. Per esempio, la casa editrice Codecri, appartenente a O Pasquim, pubblicava la collana Histórias De Um Novo Tempo (Storie di un tempo nuovo), con 12 racconti di 6 giovanissimi autori, tutti al di sotto dei 25 anni, che in una settimana vendette circa 30 mila copie, un record mai più uguagliato da autori esordienti in Brasile. I nomi: Caio Fernando Abreu, Luiz Fernando Emediato, Domingos Pellegrini Jr., Jefferson Ribeiro de Andrade, Antonio Barreto ed io stesso.
Un po' più tardi la professoressa Heloisa Buarque de Hollanda, che già promuoveva in casa sua a Rio un salotto letterario d'avanguardia frequentato tra gli altri da Chacal, Ana Cristina Cesar, Cacaso, curava la collana di poesia 26 Poetas Hoje (26 poeti di oggi), che ebbe una grande risonanza sulla stampa e fece conoscere un'intera generazione emergente di poeti, anche se le scelte compiute allora dalla professoressa erano troppo personali e privilegiavano soltanto una delle tendenze in atto nel Paese, quella cioè della poesia minimalista, underground ("udigrudi", si diceva per scherzo allora), a scapito della corrente più impegnata politicamente e di quella che perseguiva un rinnovamento della potente vena lirica della tradizione, creando cosí una spaccatura insanabile che ancora oggi è una ferita aperta nella vita poetica brasiliana (si diceva allora che il "territorio brasiliano" coperto dalla collana di Heloisa cominciava all'Arpoador e finiva all'Avenida Niemeyer, ossia gli estremi della spiaggia di Ipanema, e basta).

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