Il vecchio Ariosto Albuquerque era stato il ricco proprietario dell'Ufficio Notarile Pratiche e Ingiunzioni della piccola città di Piraí, fino alla metà di ottobre del 1930, quando le truppe rivoluzionarie di Vargas arrivando dal Rio Grande conquistarono la Capitale.
Legato a filo doppio all'oligarchia rurale da poco sgominata, Ariosto si vide confiscare il proprio ufficio a vantaggio di un commerciante di bibite. Il vecchio non sopravvisse nemmeno il tanto di vedersi in miseria, e lasciò in eredità all'unica figlia Marieta, incinta di cinque mesi, qualche debito, vecchie scartoffie e un genero poeta ed epilettico, di nome Castilho, che a sua volta la lasciò vedova quattro anni più tardi, prima ancora che avesse finito di svezzare un bambino di nome Herbert.
Più o meno nello stesso periodo, in un quartiere povero e sporco di Piraí, nasceva, dal ventre di una prostituta negra il cui nome è stato dimenticato da tutti, un bambino prematuro e orrendo vittima di un infortunio ostetrico, a metà tra il parto e l'aborto.
Il grassoccio mulatto crebbe, ma crebbe poco, senza nemmeno sfiorare il metro e mezzo: un barilotto di grasso e scimunito, argomento di chiacchiera per tutta la città, per via della sua risata per ogni cosa e per nessuna ragione, una risata che risuonava nella notte, svegliava i bambini e atterriva gli insonni.
Lo chiamavano Bolota, e siccome non parlava e non aveva documenti, era impossibile conoscerne il vero nome. Così il negro restò Bolota e nient'altro, motivo di filastrocche e sfottiture da parte di bambini e perdigiorno: una figura sgraziata e stolida che concorreva a ravvivare il bucolico paesaggio di una cittadina dell'interno.
Dona Marieta guadagnava pochi soldi aiutando a confezionare abiti da sposa - a Piraì si celebravano ogni mese da tre a cinque matrimoni del ceto medio. La signora finanziò a prezzo di enormi sacrifici l'istruzione di Herbert Albuquerque de Castilho, e non perché non guadagnasse il necessario, ma piuttosto perché aveva contratto il vizio di scommettere più del ragionevole durante le partite di domino che si tenevano alla pensione Roma.
La vita di Bolota era ben semplice. Negli intervalli in cui non rispondeva sghignazzando a ceffoni sulla testa, insulti e pedate nel sedere, lo sciancato puliva i vetri e la carrozzeria dei taxi della Rua Direita, accanto alla stazione degli autobus, e in cambio riceveva dagli autisti una mancetta o un bicchiere di caffellatte al bar della stazione, ingollato in pochi secondi, tra vane risate, con gli occhi umidi e grati.
La vita di Herbert era un po' più complicata. Al giovane alto e pallido - aveva ereditato la complessione del padre -, l'istruzione non giovò affatto. Aveva in cambio un temperamento istrionico che gli fruttava metà delle sue entrate, realizzate quotidianamente dalle dieci a mezzanotte come pagliaccio nel bordello Vista Alegre, di proprietà della vecchia tenutaria Dona Neuza, la quale solertemente si prendeva cura di reclute infoiate, commessi viaggiatori, commercianti, poliziotti, un direttore di banca frequentatore assiduo, e perfino poteva vantare la storica visita di un ex-prefetto della città di Vassouras.
Le "ragazze" radunate da Dona Neuza per la casa di piacere componevano un mosaico di razze e tipi che frastornava i "clienti": bionde, rosse, brune, mulatte di ogni sfumatura, meticce, albine, creole, negre e negrissime. Variavano riccamente nella distribuzione di ossa, carni e flaccidezze, ed avevano in comune solo il fatto di essere state tutte scacciate dal focolare paterno durante la prima adolescenza per essersi fatte ingravidare da qualche stallone sdentato del circondario.
Tutte le sere, per due ore, il centro del salone del bordello, delimitato da tavoli ricoperti di bottiglie di birra, ai quali sedevano i "clienti" con le avide puttanelle sulle cosce, si trasformava in una specie di circo pornografico nel quale il pagliaccio Simplicio era l'attrazione più attesa. Oltre a lui, che compieva piroette e capriole con i coglioni ben in mostra, raccontava con grazia barzellette sudicie e concludeva il proprio numero estraendo dai pantaloni di raso rosso al posto del sesso un cobra enorme che poi offriva agli ansimanti clienti, c'era anche la scopata del mangiatore di fuoco con la donna barbuta, che in una delle fiammeggianti emissioni del compare rischiava anche di perdere la preziosa barba. C'era poi il mangiatore di spade, che, tra gli applausi e i brindisi della platea, concludeva il proprio numero ingoiando fino alle palle l'organo immenso del nano Coleirinho - prodezza ben più ammirevole che farsi passare per la gola sciabole e fioretti. Lo sfondo musicale dello spettacolo era diretto dal "maestro" Borboleta, un vecchio cisposo che sbavava sopra i tasti del piano, accompagnato da un ragazzetto della Banda Musicale della Scuola Media di Piraí, che batteva spasmodicamente le bacchette su un tamburo per aumentare la tensione nei momenti cruciali, e da un trombettista afasico di nome Washington.
La commistione di circo e lenocinio era stata una brillante trovata di Dona Neuza, che cosí promuoveva il rilassamento e l'euforia dei "clienti", generalmente afflosciati dopo una giornata di lavoro, attizzava la fregola mercenaria e incrementava il consumo di birra, una voce significativa negli introiti del cabaret circense Vista Alegre, orgoglio e disdoro di Piraí.
L'altra metà delle entrate di Herbert veniva realizzata tra la mezzanotte e le dieci di mattina, in qualità di tassista, su una vecchia Citroen nera, che aveva il suo punto di partenza alla stazione degli autobus. Il servizio pubblico cominciava solo alle sette, e durante la notte il taxi di Herbert era l'unico mezzo disponibile della città. I suoi clienti tipici erano coppiette clandestine di ogni genere, malati cronici, partorienti colte di sorpresa o le vittime di infarti - tutti clienti che pagavano ogni corsa il doppio.

 
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